ORDINANZA N. 385
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), promosso con ordinanza del 3 luglio 2007 dal Giudice di pace di Fano nel procedimento civile vertente tra M. M. ed il Comune di Fano, iscritta al n. 91 del registro ordinanze 2008 e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 5 novembre 2008 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.
Ritenuto che il Giudice di pace di Fano ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui prevede – nel testo modificato dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286 – che è «sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne»;
che il remittente – nel premettere di dover giudicare del ricorso proposto dal proprietario di un motociclo, sottoposto a sequestro in vista della successiva confisca, per essere stata contestata al conducente la realizzazione del reato di cui all’art. 186, comma 2, del medesimo codice della strada – deduce che la norma censurata, nel prevedere una sanzione («ossia il sequestro e la successiva confisca») che colpisce esclusivamente ciclomotori e motoveicoli, «crea un’ingiustificata disparità di trattamento tra i proprietari di tali mezzi e quelli di autoveicoli»;
che in base alla norma censurata, infatti, «a parità di violazione» (ed esattamente quella sanzionata dall’art. 186 del codice della strada), «solo i primi perdono la disponibilità ed in seguito la proprietà del mezzo»;
che, inoltre, la sanzione della confisca – sempre secondo il giudice a quo – «appare ed è sproporzionata in relazione alle conseguenze economiche, che colpiscono spesso chi, come il proprietario non conducente, non concorre minimante nel reato», e ciò anche in relazione al fatto che ciclomotori e motoveicoli hanno «un costo ed un valore normalmente inferiori a quello degli autoveicoli»;
che in forza di tali rilievi, pertanto, egli ha chiesto che venga dichiarata l’illegittimità costituzionale della disposizione suddetta;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sollevata venga dichiarata manifestamente inammissibile o infondata;
che la difesa statale – nel dedurre, previamente, che il giudice a quo non avrebbe motivato le ragioni della rilevanza della sollevata questione – evidenzia che, in ogni caso, la questione sarebbe già stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale, con la sentenza n. 345 del 2007.
Considerato che il Giudice di pace di Fano ha sollevato – in riferimento all’articolo 3 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui prevede – nel testo modificato dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286 – che è «sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne»;
che, tuttavia, con sentenza n. 345 del 2007, questa Corte – dopo aver premesso che, in via generale, è da ritenersi «non irragionevole la scelta del legislatore di prevedere una più intensa risposta punitiva, allorché un reato sia commesso mediante l’uso di ciclomotori o motoveicoli, con riferimento all’adozione di una sanzione accessoria, qual è la confisca, idonea a scongiurare la reiterata utilizzazione illecita del mezzo» (specie quando sussiste, «come avviene proprio nel caso contemplato dall’art. 186 del codice della strada», un «rapporto di necessaria strumentalità tra l’impiego del veicolo e la consumazione del reato») – ha escluso la fondatezza della censura di «disparità di trattamento tra utenti della strada», proposta anche dall’odierno remittente e basata sul rilievo che «l’operatività della confisca è stata limitata ad una sola categoria di veicoli e non è stata invece prevista a carico dei conducenti degli altri mezzi»;
che la citata sentenza, per un verso, ha evidenziato «che tale disparità non è neppure assoluta», in quanto, «per tutte le tipologie di veicoli, sempre adoperati per commettere un reato, l’applicazione della confisca» potrebbe «comunque avvenire ai sensi dell’art. 240 del codice penale», sebbene in tal caso essa operi «alla stregua non di una sanzione accessoria, bensì di una misura di sicurezza reale», misura, oltretutto, divenuta obbligatoria – salvo il caso che «il veicolo stesso appartenga a persona estranea al reato» – proprio nell’ipotesi in cui il reato commesso sia quello previsto dall’art. 186 del codice della strada (e ciò in ragione della modificazione apportata al testo di tale articolo dall’art. 4, comma 1, lettera b, del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, recante «Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica», come modificato, a sua volta, dall’art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione, 24 luglio 2008, n. 125);
che, per altro verso, questa Corte – sempre nella menzionata decisione – ha ribadito come, in ogni caso, il «rimodellare il sistema della confisca, stabilendo alcuni canoni essenziali al fine di evitare che l'applicazione giudiziale della sanzione amministrativa produca disparità di trattamento» costituisce, comunque, un intervento «riservato alla discrezionalità legislativa»;
che, pertanto, non essendo stati prospettati dall’odierno remittente argomenti nuovi e diversi rispetto a quelli già esaminati dalla Corte (con la sentenza n. 345 del 2007 e con la successiva ordinanza n. 239 del 2008), si impone nel caso di specie una declaratoria di manifesta infondatezza della questione sollevata;
che, difatti, tale non può ritenersi quello fondato sul differente valore economico dei veicoli a due o a quattro ruote, giacché esso si risolve nella prospettazione di una disparità di mero fatto;
che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte «le cosiddette disparità di mero fatto – ossia quelle differenze di trattamento che derivano da circostanze contingenti ed accidentali, riferibili non alla norma considerata nel suo contenuto precettivo, ma semplicemente alla sua concreta applicazione – non danno luogo a un problema di costituzionalità, nel senso che l’eventuale funzionamento patologico della norma stessa non può costituire presupposto per farne valere una illegittimità riferita alla lesione (...) del principio di uguaglianza» (da ultimo, ex multis, sentenza n. 86 del 2008);
che, d’altra parte, neanche la denuncia dell’irrazionalità della norma, laddove non escluderebbe l’applicazione della confisca a carico del proprietario che sia un soggetto diverso dal conducente del mezzo responsabile della violazione, costituisce un argomento del tutto nuovo, essendo già stato affrontato da questa Corte con l’ordinanza n. 125 del 2008;
che tale pronuncia – nello scrutinare la legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies, del codice della strada, nella parte in cui prevedeva (nel suo testo originario, e cioè anteriore alle modifiche apportate dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge n. 262 del 2006) l’applicazione della confisca di ciclomotori e motoveicoli quale sanzione accessoria anche per le infrazioni amministrative di cui agli artt. 169, commi 2 e 7, 170 e 171 del codice della strada – ha affermato che «la responsabilità del proprietario di un veicolo per le violazioni commesse da chi si trovi alla guida costituisce, nel sistema delle sanzioni amministrative previste per le violazioni delle norme relative alla circolazione stradale, un principio di ordine generale»;
che la citata pronuncia, inoltre, ha precisato come a detto principio sia costituzionalmente obbligatorio derogare soltanto per quelle sanzioni che presentino contenuto «afflittivo personale», tale però non essendo «il caso della sanzione accessoria della confisca prevista dal censurato art. 213, comma 2-sexies, giacché essa mantiene i suoi effetti in un ambito puramente “patrimoniale”» (ordinanza n. 125 del 2008);
che alla luce delle suddette considerazioni deve dichiararsi la manifesta infondatezza della questione sollevata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 213, comma 2-sexies (comma introdotto dall’art. 5-bis, comma 1, lettera c, numero 2, del decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115, recante «Disposizioni urgenti per assicurare la funzionalità di settori della pubblica amministrazione», nel testo risultante dalla relativa legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nella parte in cui prevede – nel testo modificato dall’art. 2, comma 169, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria), comma aggiunto dall’art. 1, comma 1, della relativa legge di conversione, 24 novembre 2006, n. 286 – che è «sempre disposta la confisca del veicolo in tutti i casi in cui un ciclomotore o un motoveicolo sia stato adoperato per commettere un reato, sia che il reato sia stato commesso da un conducente maggiorenne, sia che sia stato commesso da un conducente minorenne», sollevata, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, dal Giudice di pace di Fano, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 17 novembre 2008.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Alfonso QUARANTA, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 novembre 2008.