Ordinanza n. 317 del 2008

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ORDINANZA N. 317

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco               BILE                                                 Presidente

- Giovanni Maria   FLICK                                                Giudice

- Francesco          AMIRANTE                                             ”

- Ugo                   DE SIERVO                                             ”

- Paolo                 MADDALENA                                         ”

- Alfio                  FINOCCHIARO                                       ”

- Alfonso              QUARANTA                                            ”

- Franco               GALLO                                                    ”

- Luigi                  MAZZELLA                                             ”

- Gaetano             SILVESTRI                                              ”

- Sabino               CASSESE                                                ”

- Maria Rita          SAULLE                                                  ”

- Giuseppe            TESAURO                                               ”

- Paolo Maria        NAPOLITANO                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), promosso con ordinanza del 7 giugno 2007 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, in funzione di Giudice dell’udienza preliminare, iscritta al n. 1 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio del 9 luglio 2008 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino, con ordinanza del 7 giugno 2007, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), nella parte in cui stabilisce che – nel caso di diniego dell’autorizzazione all’utilizzazione delle intercettazioni «indirette» o «casuali» di conversazioni, cui abbia preso parte un membro del Parlamento – la relativa documentazione debba essere immediatamente distrutta, e che i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, acquisiti in violazione del disposto dello stesso art. 6, debbano essere dichiarati inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento, anziché limitarsi a prevedere l’inutilizzabilità della predetta documentazione nei confronti del solo parlamentare indagato;

che il rimettente, chiamato nel procedimento a quo a celebrare l’udienza preliminare, riferisce di come, durante la fase delle indagini preliminari, fossero state intercettate, per effetto di controlli in atto sulle utenze di altre persone, alcune conversazioni telefoniche intrattenute da un membro della Camera dei deputati;

che il pubblico ministero, ritenendo necessaria l’utilizzazione processuale nei confronti del parlamentare delle risultanze acquisite con l’intercettazione, aveva sollecitato il giudice per le indagini preliminari a chiedere la relativa autorizzazione, secondo quanto disposto dall’art. 6 della legge n. 140 del 2003;

che peraltro la Camera dei deputati, con delibera del 20 dicembre 2005, aveva stabilito di negare l’autorizzazione richiesta, restituendo gli atti al giudice in allora procedente;

che tale ultimo giudice, chiamato dalla legge a disporre la immediata distruzione del materiale pertinente alle intercettazioni, aveva sollevato, con ordinanza del 9 gennaio 2006, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge n. 140 del 2003;

che l’allora rimettente – come riferisce l’odierno giudice a quo mediante trascrizione integrale della relativa ordinanza – aveva sostenuto l’eccedenza della disciplina censurata (cioè della previsione di immediata distruzione del materiale probatorio in caso di diniego parlamentare dell’autorizzazione a farne uso nel procedimento) rispetto al «raggio di operatività delle guarentigie parlamentari, previste dall’art. 68 Cost.»;

che dette guarentigie, infatti, riguarderebbero unicamente le intercettazioni «dirette» delle conversazioni dei membri del Parlamento, e non potrebbero estendersi a quelle «occasionali», neppure in forza della locuzione «in qualsiasi forma», impiegata nel terzo comma del citato art. 68 Cost., la quale si riferisce piuttosto alle differenti possibili modalità di captazione delle comunicazioni intrattenute dal parlamentare;

che, secondo il primo rimettente, data l’eccedenza della garanzia rispetto alla «copertura» fornita dalla norma costituzionale, la disciplina censurata si sarebbe posta in contrasto con il principio di uguaglianza, sotto lo specifico profilo della parità di trattamento dei cittadini innanzi alla giurisdizione;

che infatti il sistema delle immunità e delle prerogative dei membri del Parlamento assumerebbe carattere eccezionale, e potrebbe valere solo per i casi espressamente considerati dal Costituente, in quanto ritenuti idonei ad interferire sulla libera esplicazione della funzione parlamentare;

che invece, sempre a parere del primo rimettente, la prescritta distruzione del materiale concernente intercettazioni «casuali» in danno del parlamentare, e la connessa regola di inutilizzabilità fissata nel comma 6 dell’art. 6 della legge n. 140 del 2003, non avrebbero avuto nulla «a che vedere» con la garanzia di libero esercizio del mandato elettivo;

che infatti – notava in allora il giudice a quo – le disposizioni censurate riguardano indagini non mirate nei confronti del parlamentare, e le risultanze acquisite, per altro verso, sono comunque inutilizzabili contro l’interessato, per effetto diretto del diniego deliberato dalla Camera di appartenenza;

che la prescritta distruzione avrebbe avuto, dunque, l’unico fine di tutelare «oltre modo» la riservatezza delle comunicazioni del parlamentare, con ingiustificata subordinazione del principio di eguaglianza;

che la disciplina censurata, inoltre, avrebbe determinato una irragionevole disparità di trattamento fra gli indagati, a seconda che tra i rispettivi «interlocutori occasionali» vi fosse o non un membro del Parlamento, dato che, nel primo caso, la distruzione connessa al diniego dell’autorizzazione avrebbe precluso l’uso probatorio non soltanto nei confronti del parlamentare, ma anche, ed ingiustificatamente, in danno dei suoi interlocutori, privi del mandato elettivo;

che, sempre secondo il primo rimettente, sarebbe stato violato anche l’art. 24 Cost., giacché la distruzione immediata della documentazione, con conseguente perdita irrimediabile delle conversazioni intercettate, avrebbe potuto penalizzare o compromettere il diritto di difesa degli indagati o di altre parti (prima fra tutte, la persona offesa);

che la disciplina denunciata, da ultimo, sarebbe stata incompatibile con l’art. 112 Cost., giacché l’esercizio obbligatorio dell’azione penale sarebbe stato inevitabilmente frustrato dalla impossibilità di utilizzare le conversazioni in parola, allorché queste costituissero elemento di prova rilevante nei confronti di indagati privi delle guarentigie di cui all’art. 68 Cost.;

che l’odierno rimettente – chiusa la citazione del provvedimento fin qui evocato – riferisce di come, nelle more del relativo giudizio di legittimità costituzionale, il procedimento a quo sia progredito fino alla formulazione della richiesta di rinvio a giudizio ed alla fissazione dell’udienza preliminare;

che le conversazioni concernenti il parlamentare, del quale pure è stato chiesto il rinvio a giudizio, sono state indicate dal pubblico ministero quali fonti di prova nei confronti di ulteriori imputati;

che il giudice a quo, aderendo pienamente agli argomenti sviluppati dal primo rimettente in punto di non manifesta infondatezza, ritiene che la questione sollevata assuma una rilevanza specifica e diversa nell’ambito della fase cui attualmente è pervenuto il procedimento;

che infatti – secondo l’odierno rimettente – il primo giudice era chiamato a fare applicazione della norma che gli imponeva la distruzione del materiale probatorio, mentre al giudice dell’udienza preliminare spetta stabilire, nell’attuale disponibilità degli elementi de quibus, se gli stessi possano essere utilizzati per valutare la richiesta di rinvio a giudizio o per definire con sentenza eventuali riti alternativi;

che l’incertezza sulla utilizzabilità in chiave di prova del materiale concernente le intercettazioni relative al parlamentare imputato, oltre che condizionare le valutazioni giudiziali circa la completezza delle indagini e lo stesso fondamento della richiesta di rinvio a giudizio, inciderebbe negativamente sulle scelte difensive in merito all’eventuale richiesta di accesso ai riti speciali;

che dunque, secondo il rimettente, «la soluzione della questione di costituzionalità come prospettata dal Giudice delle indagini appare al riguardo imprescindibile»;

che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto nel giudizio con atto depositato il 13 febbraio 2008, chiedendo che venga dichiarata l’inammissibilità della questione;

che secondo la difesa erariale il rimettente, ove avesse inteso sindacare le conseguenze del diniego di autorizzazione deliberato dalla Camera, avrebbe dovuto promuovere conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e non questione incidentale di legittimità costituzionale;

che le censure del giudice a quo, se rivolte contro la previsione di un regime autorizzatorio per l’utilizzo delle intercettazioni «casuali» nei confronti di un parlamentare, dovrebbero considerarsi tardive, perché non sollevate al momento in cui l’autorizzazione è stata richiesta;

che, infine, le censure concernenti la distruzione del materiale probatorio difetterebbero di rilevanza, trattandosi di atti e documenti comunque inutilizzabili.

Considerato che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino solleva, in riferimento agli artt. 3, 24 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’art. 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato);

che il rimettente ha inteso censurare le norme indicate nella parte in cui impongono – nel caso in cui la Camera di appartenenza di un parlamentare neghi l’autorizzazione ad utilizzare nei confronti di questi comunicazioni intercettate occasionalmente, nell’ambito di controlli disposti a carico di altri soggetti – che la relativa documentazione venga immediatamente distrutta, e che i verbali, le registrazioni e i tabulati di comunicazioni, acquisiti in violazione del disposto dello stesso art. 6, siano dichiarati inutilizzabili in ogni stato e grado del procedimento, anziché limitarsi a prevedere l’inutilizzabilità della predetta documentazione nei confronti del solo parlamentare indagato;

che l’ordinanza di rimessione non prospetta alcuna censura che riguardi il regime autorizzatorio per l’uso processuale delle intercettazioni nei confronti del parlamentare interessato, o le conseguenze del diniego di autorizzazione quanto alla posizione del parlamentare medesimo;

che le eccezioni di inammissibilità prospettate dall’Avvocatura dello Stato sono dunque infondate;

che, nelle more del presente giudizio, è intervenuta la sentenza di questa Corte n. 390 del 2007, con la quale è stata dichiara l’illegittimità costituzionale dell'art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge 140 del 2003, «nella parte in cui stabilisce che la disciplina ivi prevista si applichi anche nei casi in cui le intercettazioni debbano essere utilizzate nei confronti di soggetti diversi dal membro del Parlamento, le cui conversazioni o comunicazioni sono state intercettate»;

che la conseguente modificazione delle norme poste ad oggetto dell’odierna questione di legittimità – intervenuta tra l’altro nel senso auspicato dal rimettente – impone che gli atti vengano restituiti al giudice a quo per una nuova valutazione di rilevanza della questione medesima.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Torino.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 29 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 30 luglio 2008.