ORDINANZA N. 299
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2, lettera b), e 14 dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 22 marzo 2007 dal Giudice di pace di Udine sul ricorso proposto da C. V. contro il Prefetto di Udine, iscritta al n. 585 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 34, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto che il Giudice di pace di Udine, con ordinanza del 22 marzo 2007, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2, lettera b), e 14 dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27 della Costituzione, «nella parte in cui prevede l’automatica irrogazione della sanzione del divieto di rientro nel territorio nazionale per un periodo minimo di 5 anni anche per gli extracomunitari entrati legittimamente e non informati dei diritti e doveri relativi all’ingresso e al soggiorno in Italia»;
che, in punto di fatto, il rimettente riferisce che una cittadina bielorussa ha proposto ricorso avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal prefetto di Udine, in data 26 agosto 2006, ai sensi dell’art. 13, comma 2, lettera b), del d.lgs n. 286 del 1998, per essere «entrata in Italia con un visto turistico rilasciato dall’Ambasciata greca in Bielorussia della durata di 10 giorni», ed essersi ivi trattenuta «senza chiedere il permesso di soggiorno entro il termine di 8 giorni»;
che, in particolare, nell’ordinanza di rimessione si precisa che, con il primo motivo del ricorso, la ricorrente si duole del fatto che, nonostante l’espressa previsione di cui all’art. 4, comma 2, del d.lgs n. 286 del 1998, non sarebbe stata informata dei diritti e doveri dello straniero in ordine all’ingresso e al soggiorno nel territorio nazionale; mentre, con il secondo motivo, lamenta che «la sanzione, comminata con il provvedimento impugnato, di non fare ritorno in Italia per 5 anni» si rivelerebbe «non solo spropositata e irrazionale vista la legittimità dell’ingresso nel territorio nazionale, ma soprattutto ingiusta se rapportata al medesimo trattamento riservato ai cittadini entrati clandestinamente»;
che, sulla base di tali doglianze, riferisce sempre il giudice a quo, la ricorrente ha insistito «per il parziale annullamento del decreto di espulsione limitatamente alla parte sanzionatoria», eccependo, contestualmente, la questione di legittimità costituzionale «dell’art. 13, comma 14, del d.lgs n. 286 del 1998 in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 16 Cost. e al principio della ragionevolezza e proporzionalità della sanzione»;
che il giudice rimettente, affermando che la causa oggetto di giudizio postula «l’applicazione degli artt. 4 e 13, comma 2, lettera b), e comma 14, del d.lgs n. 286 del 1998», ritiene fondati i dubbi di costituzionalità manifestati dalla difesa della ricorrente, sul presupposto secondo il quale, in base a detta normativa, «il Prefetto è tenuto […] ad emettere il decreto di espulsione dello straniero che si è trattenuto nel territorio dello Stato Italiano senza aver richiesto il permesso di soggiorno entro il termine di 8 giorni, salvo che il ritardo sia dipeso da “forza maggiore”», giacché tale esimente «deve connotarsi […] come “vis cui resisti non potest”»;
che, in particolare, osserva il rimettente, nella fattispecie concreta, «la ricorrente non ha invocato la “forza maggiore”», quale fattore esteriore ed indipendente dalla volontà del soggetto, ma l’ignorantia legis «determinata da comportamento colpevole dell’Amministrazione e costituente l’antecedente logico-fattuale della stessa “forza maggiore”»;
che, sempre ad avviso del rimettente, infatti, sarebbe «indubbio che il comportamento omissivo della P.A. determina in capo al cittadino extracomunitario il difetto dell’elemento psicologico idoneo, non già ad impedire l’adozione del provvedimento di espulsione, che, com’è noto, dipende dal fatto oggettivo dell’assenza di permesso di soggiorno, ma ad integrare un valido [recte: una valida] esimente all’irrogazione della sanzione del divieto di rientro sul territorio nazionale per un periodo compreso tra i 5 e i 10 anni»;
che, sotto altro profilo, osserva ancora il rimettente, l’espulsione dal territorio dello Stato «per il solo fatto di non aver incolpevolmente chiesto il permesso di soggiorno entro il termine di 8 giorni», risulterebbe assoggettata alla sanzione del «divieto di farvi ritorno per un periodo minimo di 5 anni al pari del cittadino extracomunitario entrato clandestinamente», con la conseguenza che «due comportamenti diversi» sono «assoggettati alla stessa sanzione» in «patente violazione del principio di ragionevolezza e di uguaglianza»;
che, con atto depositato in data 25 settembre 2007, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
che la difesa erariale ritiene, in particolare, non conferente il parametro costituzionale di cui all’art. 27 della Costituzione, posto che «la comminatoria della sanzione del divieto di rientrare nel territorio nazionale al cittadino extracomunitario» che vi sia entrato legittimamente e che «incolpevolmente non abbia chiesto il rilascio del permesso di soggiorno nei termini di legge», costituirebbe «una misura di carattere amministrativo che non incide sulla libertà personale del cittadino extracomunitario destinatario di tale misura», ma solo sulla libertà di circolazione;
che, peraltro, osserva sempre la difesa erariale, «anche a voler ammettere il carattere sanzionatorio del divieto di rientro nel territorio nazionale», il mancato rispetto dell’obbligo imposto dall’art. 4, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998 non varrebbe ad escludere la colpevolezza della violazione, da parte del cittadino straniero entrato legalmente nel territorio nazionale, dell’obbligo di chiedere – nei termini di legge – il rilascio del permesso di soggiorno, posto che graverebbe comunque sul medesimo «l’onere di informarsi sulla disciplina del soggiorno in Italia dei cittadini extracomunitari».
Considerato che il Giudice di pace di Udine dubita della legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2, lettera b), e 14 dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27 della Costituzione, «nella parte in cui prevede l’automatica irrogazione della sanzione del divieto di rientro nel territorio nazionale per un periodo minimo di 5 anni anche per gli extracomunitari entrati legittimamente e non informati dei diritti e doveri relativi all’ingresso e al soggiorno in Italia»;
che, tuttavia, il denunciato automatismo dell’irrogazione della sanzione de qua non discende direttamente dal suddetto combinato disposto oggetto di censura, bensì dal comma 13 del medesimo art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, peraltro, dal tenore dell’ordinanza di rimessione non risulta chiaro se l’intervento di questa Corte dovrebbe coinvolgere il citato automatismo in quanto tale o, in alternativa, l’entità del periodo minimo del divieto di rientro che il rimettente giudica sproporzionato;
che, in ogni caso, alla assenza di chiarezza del petitum si accompagna il difetto di una soluzione costituzionalmente obbligata nell’ambito di quelle astrattamente possibili, che consentirebbe di superare tale automatismo o la suddetta sproporzione: soluzione, la cui scelta è riservata alla discrezionalità del legislatore;
che, per tali ragioni, la questione è manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle Nome integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 2, lettera b), e 14 dell’art. 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata dal Giudice di pace di Udine, in riferimento agli artt. 2, 3, 10 e 27 della Costituzione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 25 luglio 2008.