Sentenza n. 278 del 2008
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SENTENZA N. 278

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                                    Presidente

-    Giovanni Maria           FLICK                                    Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                                "

-    Ugo                          DE SIERVO                                "

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                          "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Franco                      GALLO                                       "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), modificato dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004 n. 241, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004 n. 271, promosso con ordinanza del 3 novembre 2006 dal Giudice di pace di Torino sul ricorso proposto da Abdelhamid Ftoutou contro il Prefetto di Torino, iscritta al n. 400 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 giugno 2008 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto in fatto

         1. - Il Giudice di pace di Torino, con ordinanza del 3 novembre 2006, emessa sul ricorso presentato a mezzo posta da Ftoutou Abdelhamid (al momento trattenuto presso il Centro di Permanenza Temporaneo – C.P.T. «Brunelleschi» di Torino, in forza del provvedimento del Questore di Torino emesso il 1° settembre 2006) avverso il decreto di espulsione n. 3032/06 emesso in pari data dal Prefetto di Torino, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non consente allo straniero l’utilizzo del servizio postale ai fini del ricorso diretto avverso il decreto prefettizio di espulsione.

         Il rimettente ritiene che, in assenza di una espressa previsione che consenta la presentazione del ricorso a mezzo del servizio postale, dovrebbe ritenersi che l’opposizione al decreto di espulsione sia proposta ritualmente soltanto con il deposito del ricorso nella cancelleria del giudice territorialmente competente.

         Secondo il giudice a quo, l’impossibilità di utilizzare il mezzo postale nella circostanza, contrasta con i princípi sanciti negli artt. 3 e 24 della Costituzione, per le medesime considerazioni in virtù delle quali la Corte costituzionale, con le sentenze n. 98 del 2004 e n. 520 del 2002, è pervenuta, rispettivamente, alla declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), a proposito della opposizione ad ordinanza-ingiunzione, e dell’art. 22, commi 1 e 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413), in tema di deposito degli atti ai fini della costituzione nel giudizio tributario.

         Osserva il rimettente che in termini non dissimili da quelli delle pronunce appena richiamate, il procedimento di impugnazione del decreto prefettizio di espulsione, è improntato alla massima semplicità di forme, al punto che il legislatore si limita ad individuare il giudice competente per territorio (il giudice di pace del luogo in cui ha sede l’autorità che ha disposto l’espulsione) e a prevedere esclusivamente il termine entro il quale il ricorso dev’essere presentato, senza dettare alcuna disposizione circa il successivo svolgimento del giudizio.

         Ancor più evidente – secondo il rimettente – è l’esigenza di semplicità e di immediatezza dell’accesso alla giustizia per lo straniero il quale viene raggiunto pressoché contestualmente dall’ordine di espulsione e dall’ordine di allontanarsi dal territorio dello Stato entro cinque giorni dalla notifica dell’espulsione (art. 14, comma 5-bis), termine al cui decorso consegue il reato previsto e punito dall’art. 14, comma 5-ter con la reclusione da uno a quattro anni, ovvero l’adozione di altro provvedimento del questore col quale lo straniero viene ulteriormente trattenuto presso un centro di permanenza temporanea in attesa che siano acquisiti dalle autorità consolari i documenti per l’espatrio e si procuri il vettore necessario per il viaggio di rientro (art. 14, comma 1, d.lgs. n. 286 del 1998).

         Orbene, proprio l’estrema ristrettezza di tali termini, nonché la peculiare situazione degli stranieri trattenuti presso il C.P.T. ai quali è di fatto impedito di eseguire il deposito del ricorso presso la cancelleria del giudice di pace, rende l’uso del mezzo postale l’unico modo di presentazione del ricorso stesso, l’omessa previsione del quale si traduce in una limitazione del diritto di difesa tutelato dall’art. 24 Cost.

         Secondo il rimettente, inoltre, l’impossibilità dell’uso del mezzo postale determina una ingiustificata disparità di trattamento tra il ricorrente e la P.A. che, invece, si avvale ampiamente dell’invio degli atti processuali a mezzo posta o addirittura a mezzo fax.

         2. Nell’intervenire a mezzo dell’Avvocatura generale dello Stato, il Presidente del Consiglio dei ministri deduce la manifesta inammissibilità della questione, osservando che il rimettente, mentre si pone pregiudizialmente il problema della rilevanza della questione al fine di potere o meno introdurre il procedimento giurisdizionale, nello stesso tempo lo considera introdotto, nominando al ricorrente un difensore d’ufficio ai sensi della stessa norma censurata.

         Aggiunge la difesa erariale che il rimettente ha sollevato la questione di legittimità costituzionale ancor prima che scadessero i sessanta giorni previsti per la presentazione del ricorso, mentre, se avesse ritenuto rilevante la questione avrebbe potuto attendere lo spirare del predetto termine entro il quale il ricorrente avrebbe potuto introdurre in modo sicuramente valido il giudizio.

         Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato osserva che la disposizione denunciata garantisce allo straniero l’effettività del diritto di difesa in giudizio sia riconoscendogli il termine di sessanta giorni per impugnare il provvedimento di espulsione, sia prevedendo la possibilità di usufruire della difesa di fiducia, o d’ufficio, nonché del gratuito patrocinio, sia, infine, prevedendo che lo straniero può essere autorizzato dal questore a rientrare in Italia ai fini della difesa processuale.

Considerato in diritto

         1. - Il Giudice di pace di Torino dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero) nel testo dapprima sostituito dall’art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e poi così modificato dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui non dispone espressamente che lo straniero possa inoltrare il ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione anche a mezzo posta, in alternativa al deposito presso la cancelleria del giudice competente.

         Viene denunciata la violazione dell’art. 3 Cost., sia per la disparità di trattamento tra chi intende impugnare l’indicato decreto prefettizio e la P.A. che, invece, si avvale ampiamente degli strumenti postali o telematici, sia per le ingiustificate difficoltà che lo straniero, destinatario del provvedimento prefettizio di espulsione, incontra per provvedere al deposito del ricorso.

         Quanto all’art. 24 Cost., la previsione, quale unica modalità dell’impugnazione, della presentazione – anche personale - del ricorso nelle mani del cancelliere è, ad avviso del rimettente, incoerente con la struttura semplificata del procedimento e, comunque, tale ostacolare irragionevolmente l’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale da parte del destinatario del decreto.

Il d.lgs. n. 286 del 1998 prevede che l’espulsione del cittadino extracomunitario illegittimamente presente nel territorio nazionale sia disposta dal prefetto con decreto motivato immediatamente esecutivo, anche se sottoposto a gravame da parte dell'interessato (art. 13, comma 3), e viene eseguita dal questore con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4), salvo i casi di cui all’art. 13, comma 5 (quando, cioè, il permesso di soggiorno è scaduto di validità da oltre sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo).

L'intero procedimento di espulsione è assistito da apposita tutela giurisdizionale, essendo prevista - dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, modificativo dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998 - la possibilità di impugnare il decreto di espulsione davanti al giudice di pace, con ricorso «sottoscritto anche personalmente» dall’interessato, e presentato anche per il tramite della rappresentanza diplomatica o consolare italiana nel Paese di destinazione. La sottoscrizione del ricorso è autenticata dai funzionari delle rappresentanze diplomatiche o consolari che provvedono a certificarne l’autenticità e a curarne l’inoltro all’autorità giudiziaria.

     La norma censurata prevede altresì che lo straniero «è ammesso all’assistenza legale da parte di un patrocinatore legale di fiducia munito di procura speciale rilasciata avanti all’autorità consolare. Lo straniero è pure ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato e, qualora sia sprovvisto di un difensore, è assistito da un difensore designato dal giudice nell’ambito dei soggetti iscritti nella tabella di cui all’articolo 29 delle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale di cui al decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché, ove necessario, da un interprete.

         La giurisprudenza di legittimità è concorde nel ritenere che il ricorso in opposizione previsto dalla norma denunciata non può essere inoltrato al giudice competente a mezzo posta o telefax, ma deve essere depositato presso la cancelleria di detto giudice con consegna a mani del cancelliere, considerato che tale deposito, in difetto di espressa norma derogatrice delle regole generali, costituisce il necessario ed esclusivo strumento per portare all’esame del giudice adito l'atto di impulso processuale (sentenze 10 aprile 2003, n. 5649, e 10 aprile 2003, n. 5667).

         Tale uniforme orientamento preclude la ricerca di una soluzione della questione per via interpretativa.

         2. - Va, preliminarmente, superata l’eccezione di inammissibilità della questione formulata dall’Avvocatura dello Stato sotto il duplice profilo che il rimettente, avendo proceduto alla nomina del difensore di ufficio, nell’interesse del ricorrente, nonostante l’avvenuta ricezione del ricorso per via postale, e avendo sollevato la questione prima della scadenza dei sessanta giorni prescritti per l’impugnazione in esame, sarebbe venuto meno l’interesse alla questione in quanto il ricorso – ancorché presentato nella modalità non consentita – avrebbe raggiunto il suo scopo.

         L’eccezione non può essere condivisa, atteso che l’intervento del giudice rimettente non vale di per sé a superare la perdurante incertezza sulla legittimità costituzionale della norma censurata, potendo l’irregolarità del ricorso inviato per posta riemergere nel successivo corso del processo, minandone l’esito.

         3. - Nel merito, la questione è fondata nei termini che seguono.

     Questa Corte, con la sentenza n. 98 del 2004, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 22 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui non consentiva l’utilizzo del servizio postale per la proposizione dell’opposizione alla ordinanza-ingiunzione, affermando l’esigenza, di carattere costituzionale, che le norme che determinano cause di inammissibilità degli atti introduttivi dei giudizi siano in armonia con lo specifico sistema processuale cui si riferiscono e non frappongano ostacoli all’esercizio del diritto di difesa non giustificati dal preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo adeguato alla funzione ad esso assegnata.

     Nell’occasione fu sottolineato che, in relazione alla semplificata struttura processuale, l’esclusione della possibilità di utilizzo del servizio postale al fine della proposizione del ricorso appariva incongrua per il suo formalismo e perciò lesiva del canone di ragionevolezza.

L’argomento può essere solo in parte riferito alla procedura di impugnazione del decreto di espulsione, la quale, pur essendo improntata alla massima semplicità di forme ed all’obbiettivo di un accesso immediato alla giustizia, si colloca in un contesto del tutto particolare.

Il sistema delineato dalla norma denunciata, infatti, nel consentire allo straniero di sottoscrivere personalmente il ricorso, prevede che quest’ultimo sia depositato presso la cancelleria del giudice competente, o, in caso di rientro nel Paese d’origine o in altro luogo, che sia presentato per il tramite dell’autorità consolare o diplomatica italiana nel Paese di destinazione.

La presentazione del ricorso, in altri termini, viene articolata in modo tale da garantire la certezza circa l’identità dello straniero destinatario del provvedimento di espulsione. Nei casi di proposizione del ricorso per mezzo del difensore o della rappresentanza diplomatica, questa garanzia risulta pienamente assicurata. Altrettanto può dirsi nel caso di sottoscrizione personale del ricorso da parte dello straniero e conseguente deposito del medesimo presso la cancelleria del giudice competente con consegna a mani del cancelliere. Nel caso, invece, di trasmissione del ricorso a mezzo posta l’identità del ricorrente potrebbe non risultare garantita. Conseguentemente non potrebbero ritenersi soddisfatte quelle esigenze di certezza perseguite dal legislatore.

Ovviamente, però, quando, vi sia certezza circa l’identità dello straniero non v’è ragione di escludere l’utilizzabilità del servizio postale per la presentazione del ricorso. In tale ipotesi, infatti, l’esclusione risulterebbe incongrua.

Nei termini che precedono, quindi, va dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma denunciata, nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale al fine del deposito del ricorso in opposizione avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando sia stata accertata l’identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo dapprima sostituito dall’art. 12, comma 1, della legge 30 luglio 2002, n. 189, e poi così modificato dall’art. 1, comma 2, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 12 novembre 2004, n. 271, nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale per la proposizione diretta, da parte dello straniero, del ricorso avverso il decreto prefettizio di espulsione, quando sia stata accertata l’identità del ricorrente in applicazione della normativa vigente.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 luglio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 16 luglio 2008.