SENTENZA N. 272
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
- Paolo Maria NAPOLITANO “
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), promossi con n. 2 ordinanze del 20 novembre 2006 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi proposti da A.M. e da D.M.G. ed altra nei confronti del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa ed altri, rispettivamente iscritte ai nn. 604 e 605 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visti gli atti di costituzione di A.M. ed altri nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 maggio 2008 il Giudice relatore Ugo De Siervo;
uditi l’avvocato Maurizio Nucci per A.M. ed altri e l’avvocato dello Stato Paolo Gentili per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto1. – Con ordinanza in data 20 novembre 2006, il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio di Stato «nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati», per violazione degli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione.
Ha inoltre sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 19, primo comma, n. 3), della citata legge n. 186 del 1982, nella parte in cui dispone che i vincitori del concorso per l’accesso al Consiglio di Stato conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui è indetto il concorso stesso.
Il rimettente riferisce di essere chiamato a decidere sul ricorso proposto da A.M., magistrato TAR con qualifica di consigliere, nei confronti del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, della Presidenza del Consiglio dei ministri e nei confronti di T.A., controinteressato non costituitosi in giudizio, per l’annullamento del decreto in data 30 marzo 2006 con cui è stato indetto un concorso per titoli ed esami a due posti di consigliere di Stato, nonché per l’annullamento di tutti gli atti preparatori e presupposti e, in particolare, della delibera del Consiglio di presidenza del 23 marzo 2006, nella parte in cui, dopo aver verificato che i posti vacanti nell’organico del Consiglio di Stato ammontavano a 5 unità, ha assegnato solo tre posti, anziché cinque, al passaggio dei consiglieri di TAR nel ruolo dei consiglieri di Stato.
Tali atti, secondo il ricorrente nel giudizio a quo, sarebbero stati adottati in base ad un’erronea interpretazione degli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 in base alla quale i posti che si rendono vacanti presso il Consiglio di Stato devono essere ripartiti fra le tre categorie indicate dall’art. 19. Ove, invece, tale interpretazione fosse corretta, il ricorrente sostiene che le citate disposizioni sarebbero costituzionalmente illegittime per violazione degli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione.
In via subordinata, il ricorrente ha poi eccepito l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, nella parte in cui prevede che i vincitori del concorso siano immessi nel ruolo del Consiglio di Stato con retrodatazione della nomina alla data del 31 dicembre dell’anno precedente a quello di indizione del concorso.
Il TAR, dopo aver ritenuto che – stante il loro chiaro tenore letterale – gli artt. 19 e 20 disciplinano esclusivamente il conferimento dei posti di consigliere di Stato, e cioè il cosiddetto sistema di provvista, e non già la stabile composizione dell’organo, osserva come nessuna disposizione della legge n. 186 del 1982 regoli tale aspetto.
D’altra parte – osserva ancora il rimettente – quando il legislatore ha voluto disciplinare la composizione di un organo giurisdizionale lo ha fatto espressamente, come nel caso della Corte costituzionale, con l’art. 135 della Costituzione, o come nel caso del Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana.
Tuttavia, ritiene il TAR che i profili di illegittimità eccepiti dal ricorrente non siano manifestamente infondati.
Infatti, l’evoluzione normativa sarebbe caratterizzata da un aumento della quota di riserva dei posti vacanti presso il Consiglio di Stato in favore dei magistrati di provenienza TAR: mentre l’originario art. 17 della legge 6 dicembre 1971, n. 1034 (Istituzione dei tribunali amministrativi regionali), riservava loro un quarto dei posti, la successiva legge n. 186 del 1982, all’art. 19, ha incrementato tale quota portandola alla metà. Questa scelta sarebbe rafforzata dall’art. 20, il quale stabilisce che i posti vacanti che non siano coperti mediante le quote di cui all’art. 19 possono essere portati in aumento alle altre categorie, salvo il riassorbimento negli anni successivi.
Secondo il TAR del Lazio da tale evoluzione normativa «sembra logico dedurre» l’intenzione del legislatore, non solo di aumentare la quota di riserva in favore dei magistrati TAR, «ma anche di conservarla nel tempo», non essendovi alcuna valida ragione che porti a riservare un maggior numero di posti nel sistema di provvista in favore di una categoria «senza che la stessa proporzione si rifletta in maniera preordinata sulla composizione della pianta organica del Consiglio di Stato». La formulazione delle disposizioni citate e la loro concreta applicazione avrebbero portato ad un sistema opposto, in cui la presenza dei magistrati TAR all’interno del Consiglio di Stato si riduce costantemente. Infatti, poiché l’età media dei magistrati TAR che accedono al Consiglio di Stato è superiore a quella dei vincitori del concorso e poiché i posti vacanti vengono ripartiti considerandoli un unico insieme, la categoria che ha il ricambio più veloce – appunto quella dei magistrati TAR – decrescerebbe costantemente.
In tal modo, la concreta applicazione delle disposizioni censurate porterebbe ad un risultato opposto rispetto all’obiettivo di aumentare la presenza dei magistrati TAR nell’ambito del Consiglio di Stato. Ciò evidenzierebbe l’irragionevolezza degli artt. 19 e 20 in quanto non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio di Stato nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati.
Le disposizioni censurate contrasterebbero altresì con l’art. 108 Cost. e il principio della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, dal momento che la composizione del Consiglio di Stato resterebbe subordinata a fattori variabili e casuali, senza garantire che la copertura dei posti avvenga in modo da comporre l’organico in una proporzione fissa e legislativamente preordinata.
Gli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 contrasterebbero, inoltre, con gli artt. 97, 100 e 101 Cost., in quanto l’indipendenza dei magistrati, il buon funzionamento e l’imparzialità dell’organo giurisdizionale potrebbero essere salvaguardati soltanto prevedendo la specifica misura della partecipazione delle diverse componenti chiamate a formare il ruolo del Consiglio di Stato.
Le eccepite questioni, ad avviso del TAR, sarebbero rilevanti, in quanto dal loro eventuale accoglimento discenderebbe l’illegittimità e il conseguente annullamento dei provvedimenti impugnati, i quali troverebbero il loro presupposto nelle disposizioni censurate.
Il rimettente afferma poi che il ricorrente nel giudizio a quo ha eccepito, in via subordinata, l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, per violazione dei principi di ragionevolezza e parità di trattamento sanciti dall’art. 3 Cost.
Il TAR argomenta la rilevanza della questione in considerazione del fatto che, ove non fosse accolta la precedente eccezione di costituzionalità, la caducazione dell’art. 19, primo comma, n. 3), determinerebbe il soddisfacimento dell’interesse del ricorrente, che nelle more del giudizio è stato nominato consigliere di Stato nella quota riservata ai magistrati TAR, a non essere posposto nel ruolo ai vincitori del concorso indetto con il bando impugnato.
Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo sostiene che la disposizione censurata determinerebbe un’irragionevole disparità di trattamento in danno dei magistrati TAR, dal momento che riconoscerebbe ai vincitori del concorso una decorrenza della nomina diversa e più favorevole rispetto a quella prevista per i magistrati TAR, il cui ingresso nel ruolo dei consiglieri di Stato decorre dalla data del provvedimento di nomina. Di conseguenza costoro sarebbero sempre posposti ai primi, anche nell’ipotesi in cui la data di conferimento delle funzioni sia anteriore rispetto a quella dei vincitori di concorso.
2. – Si è costituito nel giudizio avanti alla Corte il consigliere A.M., ricorrente nel giudizio a quo, il quale ha insistito per l’accoglimento delle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal TAR del Lazio.
3. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o infondate.
Quanto alla prima questione, l’Avvocatura sostiene che il rimettente avrebbe costruito la censura sull’asserito contrasto delle norme esistenti, che disciplinano soltanto il reclutamento dei consiglieri di Stato, con l’assetto auspicato dal ricorrente, ma realizzabile solo ad opera del legislatore.
Ove si accogliesse la tesi del rimettente, inoltre, si determinerebbe la necessità della scissione del ruolo, oggi unico, dei consiglieri di Stato in tre dotazioni organiche, ciascuna destinata ad approvvigionarsi autonomamente dalle altre. Ciò tuttavia non sarebbe possibile in mancanza di una espressa previsione normativa. D’altra parte, in assenza di un principio contrario, la scelta del legislatore non sarebbe irragionevole ma costituirebbe espressione della sua discrezionalità nell’esercizio della quale ha preferito “dosare” le componenti di provenienza nel reclutamento dei consiglieri di Stato piuttosto che disciplinare rigidamente la composizione di tale organo.
Infondata sarebbe altresì la censura formulata in relazione agli artt. 97, 100, 101 e 108 Cost., dal momento che nessuna disposizione costituzionale prevede che l’indipendenza del Consiglio di Stato sia garantita attraverso la regolamentazione della sua composizione.
In ogni caso, tali censure sarebbero inammissibili costituendo “censure di sistema”, ovvero che stigmatizzano un vuoto normativo.
Inammissibile sarebbe anche la censura avente ad oggetto l’art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, stante la sua irrilevanza. Non sarebbe infatti il bando di concorso impugnato l’atto idoneo a provocare la lesione lamentata dal ricorrente, bensì il provvedimento di nomina dei vincitori di concorso, nella parte in cui ne stabilisce la decorrenza. Solo tale atto darebbe attuazione alla norma denunciata. Poiché oggetto del ricorso è invece il bando, il quale non darebbe applicazione alla suddetta disposizione, la caducazione di quest’ultima non potrebbe condurre all’annullamento del bando; donde l’irrilevanza della questione.
Nel merito essa sarebbe comunque infondata, dal momento che l’art. 19 non determina un trattamento differente di situazioni uguali: un conto è infatti l’accesso al Consiglio di Stato tramite i ruoli del TAR e dunque per anzianità in tempi lunghi, altro sarebbe l’accesso per concorso, altro ancora quello per nomina governativa.
4. – Con ordinanza in data 20 novembre 2006, pronunciata in altro giudizio, il TAR del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982, in termini identici a quelli prospettati nella precedente ordinanza.
L’incidente di costituzionalità è sollevato nell’ambito del giudizio promosso da D.M.G. e dall’Associazione nazionale magistrati amministrativi (ANMA) nei confronti del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa, della Presidenza del Consiglio dei ministri e nei confronti di T.A., controinteressato non costituitosi in giudizio, per l’annullamento del decreto in data 30 marzo 2006 con cui è stato indetto un concorso per titoli ed esami a due posti di consigliere di Stato, nonché per l’annullamento della delibera del Consiglio di presidenza del 23 marzo 2006 e di tutti gli atti preparatori e presupposti. I motivi posti a fondamento di tale ricorso sono i medesimi rispetto a quelli esaminati nell’ordinanza n. 604 del 2007.
Il TAR, dopo aver rigettato le eccezioni di inammissibilità per difetto di legittimazione ad agire tanto di D.M.G. quanto dell’ANMA, formulate in quella sede dall’Avvocatura dello Stato, a sostegno delle censure svolge argomentazioni identiche a quelle di cui all’ordinanza n. 604 del 2007, sopra ricordate.
5. – In tale giudizio si sono costituiti D.M.G. e l’ANMA, ricorrenti nel giudizio a quo, i quali hanno chiesto l’accoglimento della questione sollevata dal TAR del Lazio.
6. – È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata per le medesime ragioni svolte nell’atto di intervento relativo all’ordinanza n. 604 del 2007.
7. – In prossimità dell’udienza i ricorrenti nei giudizi a quibus hanno depositato un’unica memoria nella quale sostengono la possibilità – esclusa invece dal rimettente – di un’interpretazione conforme a Costituzione delle disposizioni censurate.
Diversamente, non resterebbe che ritenere l’illegittimità costituzionale dell’art. 19 della legge n. 186 del 1982, dal momento che sarebbe irrazionale una normativa che regola una ripartizione dei posti vacanti senza trovare poi corrispondenza nella composizione del ruolo.
Con riguardo alla questione di legittimità concernente l’art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, le parti private ne sostengono il contrasto con il principio di uguaglianza e ragionevolezza dal momento che esso dal un lato, deprimerebbe, anziché valorizzare, l’esperienza professionale dei magistrati TAR e dall’altro introdurrebbe una disparità di trattamento priva di giustificazione. La disposizione censurata, nel disporre la retrodatazione della nomina dei vincitori del concorso creerebbe in loro favore un vero e proprio privilegio.
1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con due distinte ordinanze pronunciate in diversi giudizi, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), nella parte in cui non prevedono espressamente la composizione del ruolo del Consiglio di Stato «nelle medesime aliquote previste per il sistema di provvista dei magistrati», per violazione degli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione.
Ha, inoltre, eccepito, nella prima ordinanza, l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, n. 3), della citata legge n. 186 del 1982, nella parte in cui dispone che i vincitori del concorso per l’accesso al Consiglio di Stato conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui è indetto il concorso stesso, per violazione dell’art. 3 della Costituzione.
2. – I due giudizi devono essere riuniti in ragione dell’identità delle questioni da essi poste.
Le disposizioni censurate disciplinano il cosiddetto sistema di provvista dei consiglieri di Stato, cioè le modalità di copertura dei posti che si rendono vacanti presso il Consiglio di Stato. In particolare, l’art. 19 della legge n. 186 del 1982 prevede che questi siano conferiti per metà ai consiglieri di tribunale amministrativo regionale che ne facciano domanda e abbiano almeno quattro anni di effettivo servizio nella qualifica. La nomina, in tal caso, ha luogo previo giudizio favorevole espresso dal Consiglio di presidenza a maggioranza dei suoi componenti.
Per un quarto, i posti vacanti sono assegnati a soggetti – scelti nell’ambito delle categorie individuate dalla legge – nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, previo parere del Consiglio di presidenza.
Per il restante quarto, i posti sono conferiti mediante concorso pubblico per titoli ed esami teorico-pratici, al quale possono partecipare magistrati TAR con almeno un anno di anzianità, magistrati ordinari e militari con almeno quattro anni di anzianità, magistrati della Corte dei conti, nonché avvocati dello Stato con almeno un anno di anzianità, funzionari della carriera direttiva del Senato e della Camera con almeno quattro anni di anzianità, nonché funzionari delle Amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici con qualifica dirigenziale.
La norma stabilisce, altresì, che i vincitori del concorso conseguono la nomina con decorrenza dal 31 dicembre dell’anno precedente a quello in cui è indetto il concorso.
L’art. 20 dispone che nel caso in cui i posti vacanti non siano coperti secondo le quote suddette, essi possono essere portati in aumento alle altre categorie, ma devono poi essere riassorbiti negli anni successivi.
Il giudice rimettente, dopo aver interpretato la disciplina di cui agli articoli 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 nel senso che essa si riferisce soltanto al sistema di reclutamento dei consiglieri di Stato, anzitutto dubita della ragionevolezza delle citate disposizioni in quanto non disciplinerebbero la composizione dell’organo in conformità ai suddetti criteri di provvista. Sostiene il giudice a quo che vi sarebbe un contrasto tra l’intenzione del legislatore, di aumentare la presenza dei magistrati di provenienza TAR nel Consiglio di Stato, e il concreto contenuto delle disposizioni, le quali non sarebbero in grado di assicurare tale risultato e, anzi, porterebbero ad una costante riduzione della presenza di tale componente all’interno dell’organo di secondo grado.
Infatti, secondo il rimettente, poiché l’età in cui i consiglieri TAR accedono al Consiglio di Stato è generalmente maggiore rispetto a quella dei vincitori di concorso, e poiché i posti da essi lasciati vacanti sarebbero ripartiti tra tutte le categorie di cui all’art. 19 (e non solo tra i consiglieri TAR), la categoria dei magistrati di provenienza TAR avrebbe un ricambio più veloce, così che la sua consistenza si ridurrebbe costantemente.
3. – Le questioni non sono fondate.
Gli effetti denunciati dal rimettente costituiscono, in parte, il frutto di circostanze di fatto, e cioè della maggiore età in cui normalmente entrano in ruolo i consiglieri di Stato provenienti dall’esperienza professionale presso i TAR rispetto a quella dei consiglieri provenienti dal concorso pubblico (non pochi dei quali peraltro – potrebbe notarsi sempre sul piano delle realtà di fatto – già magistrati dei TAR). Tra l’altro, un analogo ingresso nel ruolo dei consiglieri di Stato in età non giovanile può riguardare pure i consiglieri di nomina governativa.
Sul piano giuridico, anzitutto occorre ricordare che questa Corte, in passato chiamata a giudicare della legittimità costituzionale della composizione del Consiglio di Stato anteriormente alla riforma recata dalla legge oggi impugnata, nella parte in cui essa non avrebbe assicurato la effettiva “pariteticità” tra consiglieri di provenienza concorsuale e consiglieri di nomina governativa, ha riconosciuto che una composizione in termini di «pariteticità in senso stretto» dell’organo «non è imposta dal Costituente né in sé né per le implicazioni che dal mancato rispetto di essa si assume possano aversi in tema di indipendenza» (sentenza n. 177 del 1973).
In quell’occasione la Corte affermò la necessità soltanto di assicurare un «tendenziale» equilibrio tra le due componenti allora considerate (quella di provenienza concorsuale e quella di nomina governativa).
Nel presente giudizio, lo stesso giudice a quo, per tale profilo, evidenzia che, allo stato, per effetto dell’applicazione delle norme censurate, la componente di consiglieri di provenienza TAR è comunque prevalente, seppure per pochi punti percentuali, rispetto a quella alimentata dal concorso pubblico.
Ma, soprattutto, è infondata la pretesa del rimettente di vincolare la effettiva composizione del Consiglio di Stato alle quote concernenti i posti vacanti, di cui all’art. 19 della legge n. 186 del 1982. Sotto tale prospettiva, va osservato che, nel nostro ordinamento costituzionale, manca una predeterminazione delle modalità di composizione del Consiglio di Stato. In assenza di vincoli costituzionali, non è possibile ipotizzare la doverosità, per il legislatore ordinario, di introdurre una disciplina della composizione del Consiglio di Stato che rispecchi le medesime quote previste dall’art. 19 per la copertura dei posti vacanti.
È evidente che la scelta operata dal legislatore del 1982 ha voluto semplicemente ampliare, per il futuro, le possibilità dei consiglieri TAR di accedere alla qualifica di consigliere di Stato, rispetto alla normativa precedente (di cui all’art. 17 della legge 6 dicembre 1971 n. 1034, recante l’istituzione dei tribunali amministrativi regionali), e ciò soprattutto al fine di valorizzare l’esperienza professionale dei più maturi consiglieri degli organi decentrati di giustizia amministrativa, senza peraltro introdurre come principio strutturale la tripartizione del Consiglio secondo le quote previste dall’art. 19 (il che avrebbe addirittura comportato che per numerosi anni non si sarebbe dovuto procedere a nomine per determinazione governativa o per concorso pubblico).
D’altra parte, lo stesso art. 20 della legge n. 186 del 1982, nel garantire nel tempo l’equilibrio tra le diverse categorie di magistrati, evidenzia una precisa volontà del legislatore di assicurare il rispetto della scelta operata con l’art. 19 per la copertura dei posti vacanti, ma non anche per la struttura dell’organo.
3. – Neppure sono fondate le censure prospettate in relazione all’asserito contrasto «con i principi della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario, di buon funzionamento dell’organo giurisdizionale, nonché di indipendenza del giudice e della sua soggezione soltanto alla legge fissati – rispettivamente – dagli artt. 108, 97, 100, 101 della Costituzione».
Anzitutto, deve essere esclusa la violazione dell’art. 97 Cost., dal momento che, come la giurisprudenza costituzionale ha costantemente affermato, «il principio del buon andamento della pubblica amministrazione, pur essendo riferibile agli organi dell’amministrazione della giustizia, attiene esclusivamente alle leggi concernenti l’ordinamento degli uffici giudiziari ed il loro funzionamento sotto l’aspetto amministrativo; mentre tale principio è estraneo all’esercizio della funzione giurisdizionale» (sentenza n. 174 del 2005; ordinanza n. 44 del 2006).
Inoltre, non costituisce violazione del principio della riserva di legge in tema di ordinamento giudiziario e di formazione degli organi giurisdizionali la mancanza di una disciplina della composizione del Consiglio di Stato secondo le medesime quote previste dall’art. 19 della legge n. 186 del 1982, dal momento che la legge espressamente individua tutte le diverse componenti dell’organo e prevede, per ciascuna di esse, requisiti e modalità di accesso.
Tanto meno la possibile diversa composizione del Consiglio di Stato rispetto alle aliquote di provvista può incidere sulla indipendenza dell’organo, dal momento che i requisiti e le modalità di accesso delle diverse componenti sono disciplinate dalla legge appunto per garantire anzitutto la piena indipendenza dell’organo. Né l’eventuale diverso rapporto fra le varie categorie – censurata dal rimettente – può assumere alcun rilievo sotto l’indicato profilo, dal momento che la quota di consiglieri di provenienza concorsuale – di magistrati, cioè, selezionati in base ad un pubblico concorso – proprio grazie a tale sistema di scelta, assicura un grado di indipendenza pari a quello garantito dalla quota di provenienza dai TAR, a propria volta composta da magistrati selezionati tramite pubblico concorso; semmai il problema potrebbe essere posto solo in riferimento ad un (peraltro inesistente) anomalo accrescimento dell’incidenza dei consiglieri di Stato di nomina governativa (si veda, ancora, la sentenza n. 177 del 1973).
4. – La censura avente ad oggetto l’art. 19, primo comma, n. 3), della legge n. 186 del 1982, sollevata in riferimento all’art. 3 della Costituzione, è inammissibile.
La questione prospettata è infatti non attuale ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), non avendo il ricorrente del giudizio a quo subìto alcun concreto pregiudizio per effetto della applicazione della disposizione censurata.
Infatti, l’asserita deteriore collocazione nel ruolo non rileva di per sé, ma solo in quanto incida su provvedimenti che siano fondati sulla posizione che i magistrati abbiano nel ruolo medesimo.
Conseguentemente, la questione prospettata dal rimettente risulta irrilevante nel giudizio principale per difetto di attualità della lamentata lesione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, n. 3), della legge 27 aprile 1982, n. 186 (Ordinamento della giurisdizione amministrativa e del personale di segreteria ed ausiliari del Consiglio di Stato e dei tribunali amministrativi regionali), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l’ordinanza di cui in epigrafe;
dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 19 e 20 della legge n. 186 del 1982 sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 100, 101 e 108 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze di cui in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'11 luglio 2008.