ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 593, comma 2, del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promossi, nell'ambito di diversi procedimenti penali, con ordinanze del 15 maggio, del 12 e del 6 giugno, del 10 novembre, del 30 maggio e del 10 novembre 2006 dalla Corte d'appello di Messina, rispettivamente iscritte ai nn. 58, 59, 63, 253, 302 e 401 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9 prima serie speciale, dell'anno 2007, nella edizione straordinaria del 26 aprile 2007 e nn. 18 e 22 prima serie speciale, dell'anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 21 maggio 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con sei ordinanze sostanzialmente identiche nella parte motiva (r.o. nn. 58, 59, 63, 253, 302, 401 del 2007), la Corte d'appello di Messina ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 593, comma 2, del codice di procedura penale, come sostituito dall'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui preclude al pubblico ministero la possibilità di appellare contro le sentenze di proscioglimento»;
che la Corte rimettente - chiamata a delibare appelli proposti dal pubblico ministero avverso sentenze di non doversi procedere (per intervenuta prescrizione, intervenuta concessione in sanatoria ed altro) emesse in primo grado da diversi tribunali - motiva la rilevanza della questione sulla base del disposto dell'art. 10 della citata legge n. 46 del 2006, che prevede l'immediata applicabilità delle nuove norme ai procedimenti in corso e l'inammissibilità degli appelli proposti prima della entrata in vigore della legge;
che, nel merito, la Corte d'appello lamenta la lesione degli artt. 3, 111, secondo comma, e 112 Cost.;
che, in particolare, la disciplina censurata, privando il pubblico ministero e l'imputato della possibilità di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, solo apparentemente soddisferebbe l'esigenza di parità garantita dall'art. 111 Cost., atteso che, per un verso, i limiti all'appello delle sentenze di proscioglimento assumono «preponderanza e rilievo centrale» solo per il pubblico ministero (poiché già in precedenza all'imputato era inibito l'appello di sentenze di proscioglimento con formula piena) e che, per l'altro, solo l'organo della pubblica accusa ha interesse ad impugnare tali sentenze;
che la previsione della possibilità di appello nel caso disciplinato dall'art. 603, comma 2, cod. proc. pen., non consentirebbe di ritenere superabili i prospettati dubbi di costituzionalità, trattandosi di «ipotesi praticamente inattuabile», in quanto legata alla sopravvenienza di prove decisive nel ristretto lasso temporale tra la pronuncia della sentenza di primo grado e la scadenza del termine per appellare;
che la disparità che in tal modo si determina fra il pubblico ministero, cui è impedito l'appello delle sentenze di proscioglimento, e l'imputato, abilitato ad appellare le sentenze di condanna, non troverebbe giustificazione alcuna nella tutela di altri interessi costituzionalmente rilevanti (in particolare, né in esigenze di accelerazione dell'iter processuale né nella particolare posizione istituzionale del pubblico ministero);
che la scelta legislativa sarebbe, inoltre, censurabile sul piano della ragionevolezza, in quanto è stato conservato in capo al pubblico ministero il potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna, «al solo scopo di ottenere una pena diversa da quella comminata»;
che, infine, la Corte d'appello rimettente ritiene violato anche il principio dell'obbligatorietà dell'azione penale: consapevole dell'orientamento della giurisprudenza costituzionale che, dopo la sentenza n. 177 del 1971, ha sempre negato che il potere di impugnazione del pubblico ministero costituisca estrinsecazione dell'azione penale, il giudice a quo invoca un mutamento di indirizzo da parte della Corte che tenga conto delle prerogative e delle attribuzioni istituzionali del pubblico ministero, come definite negli artt. 73 e 74 delle norme sull'ordinamento giudiziario e richiamate dagli artt. 102, 107, 108 e 112 Cost.
Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione - conseguente alla sostituzione dell'art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell'art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) - dell'appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero;
che, stante l'identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l'art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall'art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell'art. 10, comma 2, della stessa legge, «nella parte in cui prevede che l'appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore dell a medesima legge è dichiarato inammissibile»;
che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono pertanto essere restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti alla Corte d'appello di Messina.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2008.