SENTENZA N. 183
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 28 luglio 1999, n. 266 (Delega al Governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonché disposizioni per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell’Amministrazione penitenziaria e per il personale del Consiglio superiore della magistratura), promosso con ordinanza del 26 aprile 2007 dal Tribunale di Treviso nel procedimento civile vertente tra Ferrara Michelina e l’Istituto “Cesana Melanotti” di Vittorio Veneto, iscritta al n. 824 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 2, prima serie speciale, dell’anno 2008.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 maggio 2008 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto in fatto
1. – Il Tribunale di Treviso in funzione di giudice del lavoro, con ordinanza del 26 aprile 2007, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 28 luglio 1999, n. 266 (Delega al Governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonché disposizioni per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell’Amministrazione penitenziaria e per il personale del Consiglio superiore della magistratura), per violazione dell’art. 97 della Costituzione.
La norma impugnata stabilisce che «Il coniuge convivente del personale in servizio permanente delle forze armate, compresa l’Arma dei carabinieri, del Corpo della Guardia di finanza e delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali e sottufficiali piloti di complemento in ferma dodecennale di cui alla legge 19 maggio 1986, n. 224, nonché del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, trasferiti d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, ha diritto, all’atto del trasferimento o dell’elezione di domicilio nel territorio nazionale, ad essere impiegato presso l’amministrazione di appartenenza o, per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina».
1.1. – Il rimettente riferisce che il giudizio principale ha tratto origine dal ricorso di una dipendente di un Istituto pubblico di assistenza e beneficienza (IPAB), coniugata e convivente con un militare di carriera trasferito d’autorità ad altra sede di servizio. La ricorrente del giudizio a quo, a fronte del rifiuto dell’amministrazione di appartenenza di accogliere la sua domanda di essere comandata presso la Unità sanitaria locale di Civitavecchia, luogo in cui si trova la nuova sede di servizio del coniuge, ha dapprima ottenuto dal giudice un provvedimento cautelare di condanna dell’Istituto a disporre il comando e, con successivo ricorso, ha chiesto la conferma della misura cautelare nonché il risarcimento dei danni, per avere l’Istituto, prima dell’ordinanza del giudice, immotivatamente negato il diritto previsto dalla disposizione impugnata.
1.2. – Ad avviso del giudice rimettente la disposizione impugnata attribuisce al dipendente pubblico, coniuge di militare trasferito di autorità, un vero e proprio diritto soggettivo al ricongiungimento, per realizzare il quale il legislatore ha individuato diverse modalità possibili: il trasferimento, che «può avvenire d’ufficio, se attuato nell’interesse dell’amministrazione, o su domanda, se nell’interesse del dipendente, ed ha carattere di definitività»; il comando, il quale, «al pari del distacco che nasce da prassi amministrativa», «ha natura eccezionale e temporanea», «è attuato nell’interesse dell’amministrazione» e prevede che il dipendente resti nella pianta organica dell’amministrazione di provenienza. Secondo il Tribunale di Treviso, gli istituti del comando e del distacco vengono, in base alla norma impugnata, eccezionalmente utilizzati nell’interesse del dipendente, anziché, come di regola avviene, in quello dell’amministrazione. Tale utilizzo «anomalo», e «senza alcun limite», secondo il rimettente, comprimerebbe irragionevolmente gli interessi dell’amministrazione di provenienza, che sarebbe costretta, per sostituire la persona comandata, ad assumere personale temporaneo per far fronte ad esigenze permanenti, dovendo altresì retribuire la persona comandata in aggiunta a quella che la sostituisce e sopportare un «divario permanente» fra la propria dotazione organica e il personale effettivamente in servizio. Il giudice rimettente ritiene, in punto di non manifesta infondatezza, che un «equo contemperamento degli interessi in gioco» si realizzerebbe solo utilizzando esclusivamente l’istituto del trasferimento ai fini del ricongiungimento, oppure prevedendo la trasformazione del comando in trasferimento definitivo dopo un ragionevole lasso di tempo. Pertanto, il Tribunale di Treviso chiede la dichiarazione di illegittimità costituzionale, per contrasto con il principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost., della norma impugnata, «nella parte in cui prevede il diritto, senza limite alcuno, del coniuge convivente del personale delle forze armate e di polizia, trasferiti d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una amministrazione pubblica ad essere impiegato per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina».
Ad avviso del giudice rimettente la questione è, infine, rilevante, alla luce delle «circostanze di fatto e [del]le argomentazioni in diritto suesposte».
2. – E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, osservando che la questione di legittimità è inammissibile e, comunque, non fondata.
L’Avvocatura generale dello Stato ritiene la questione inammissibile eccependo, in primo luogo, il difetto di motivazione sulla rilevanza, atteso che il giudice rimettente non avrebbe sviluppato alcuna argomentazione per dimostrare che le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza, tra cui l’ente da cui dipende la ricorrente del giudizio principale, rientrino nell’elenco tassativo di amministrazioni pubbliche di cui all’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e revisione della disciplina in materia di pubblico impiego), sostituito dall’art. 1 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), e, quindi, nell’ambito di applicazione della disposizione censurata. Né il rimettente avrebbe spiegato, secondo la difesa erariale, in quale modo il comando della dipendente arrechi un effettivo danno al datore di lavoro.
In secondo luogo, la difesa erariale eccepisce il difetto di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza, in ragione della mancata ricostruzione del quadro normativo da parte del giudice rimettente.
Infine, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la questione è inammissibile perché il giudice rimettente chiederebbe in realtà una pronuncia additiva, o comunque una modifica del regime del rapporto, che non è costituzionalmente «obbligata».
Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato ritiene la questione non fondata, dovendo ritenersi che la norma impugnata realizzi un contemperamento non irragionevole fra diversi interessi legittimamente perseguiti dal legislatore. Secondo la difesa erariale la disposizione censurata, in particolare, per un verso, assicurerebbe una accentuata mobilità del personale militare, contribuendo al buon andamento di un settore fondamentale della pubblica amministrazione, come quello delle forze armate, e, per un altro verso, favorirebbe la ricongiunzione familiare, tutelando un altro fondamentale bene costituzionalmente garantito, come il diritto all’unità familiare.
Considerato in diritto
1. – Il Tribunale di Treviso, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 28 luglio 1999, n. 266 (Delega al Governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonché disposizioni per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell’Amministrazione penitenziaria e per il personale del Consiglio superiore della magistratura), con riferimento all’art. 97 della Costituzione, nella parte in cui prevede il diritto, senza limite alcuno, del coniuge convivente del personale delle forze armate e di polizia, trasferiti d’autorità da una ad altra sede di servizio, che sia impiegato in una amministrazione pubblica, ad essere impiegato, per comando o distacco, presso altre amministrazioni nella sede di servizio del coniuge o, in mancanza, nella sede più vicina.
2. – Vanno preliminarmente disattese le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla difesa erariale.
Sotto il profilo della rilevanza, il giudice rimettente ha accertato la natura giuridica pubblica dell’istituzione da cui dipende la ricorrente del giudizio principale e ha adeguatamente descritto la fattispecie al suo esame, motivando sufficientemente in ordine alla rilevanza della questione sollevata, sia ai fini del giudizio relativo alla conferma del provvedimento cautelare di condanna dell’amministrazione a disporre il comando, sia ai fini del risarcimento del danno lamentato dalla ricorrente nel giudizio principale.
Sotto il profilo della non manifesta infondatezza, malgrado l’incompleta ricostruzione del quadro normativo e convenzionale eccepita dalla difesa erariale, gli elementi indicati dal rimettente costituiscono una motivazione sufficiente a giustificare il dubbio di legittimità costituzionale prospettato.
Quanto, infine, alla formulazione del petitum, il rimettente, seppure con alcune ambiguità, non chiede alla Corte una pronuncia additiva non costituzionalmente obbligata, bensì domanda, anche in considerazione dell’assenza di un limite al diritto al ricongiungimento, previsto dalla disposizione legislativa censurata, la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione stessa.
3. – La questione non è fondata.
La finalità dell’istituto del ricongiungimento del coniuge di militare trasferito, previsto dalla disposizione impugnata, è di tener conto contemporaneamente di due diverse esigenze: da un lato, quella del buon andamento (art. 97 Cost.) dell’amministrazione militare, la quale richiede un regime di più accentuata mobilità del rispettivo personale, per cui è previsto un «trasferimento d’autorità»; dall’altro lato, l’esigenza di tutela dell’unità familiare (art. 29, secondo comma, Cost.), che, in mancanza di tale istituto, per il militare e la sua famiglia risulterebbe compromessa, proprio a causa del particolare regime di mobilità che ne connota lo status.
Il ricongiungimento è, dunque, diretto a rendere effettivo il diritto all’unità della famiglia, che, come questa Corte ha riconosciuto, si esprime nella garanzia della convivenza del nucleo familiare e costituisce espressione di un diritto fondamentale della persona umana (sentenze n. 113 del 1998 e n. 28 del 1995). Tale valore costituzionale può giustificare una parziale compressione delle esigenze di alcune amministrazioni (nella specie, quelle di volta in volta tenute a concedere il comando o distacco di propri dipendenti per consentirne il ricongiungimento con il coniuge), purché nell’ambito di un ragionevole bilanciamento dei diversi valori contrapposti, operato dal legislatore.
Inoltre, la legittimità di una disposizione legislativa, rispetto al parametro dell’art. 97 della Costituzione, deve essere valutata tenendo conto dei suoi effetti sul buon andamento della pubblica amministrazione complessivamente intesa, non già di singole sue componenti, isolatamente considerate. Nel caso in esame, se è vero che l’istituto del ricongiungimento sottrae un dipendente ad un’amministrazione, è vero altresì che esso attenua i disagi provocati dalla mobilità del dipendente di un’altra amministrazione.
Infine, non può dirsi che il comando o distacco sia a tempo indeterminato. Esso, infatti, è collegato al trasferimento d’autorità del coniuge e dura finché questo permane.
In conclusione, ove si assuma una prospettiva più ampia di quella da cui il rimettente ha preso le mosse, che tenga conto sia del complesso dei valori costituzionali in considerazione, sia degli effetti che la norma produce sul buon andamento dell’amministrazione pubblica in generale, deve ritenersi che la scelta del legislatore, costituendo un bilanciamento non irragionevole delle esigenze e degli interessi che vengono in rilievo, non si ponga in contrasto con l’art. 97 della Costituzione sotto il profilo del buon andamento.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 della legge 28 luglio 1999, n. 266 (Delega al Governo per il riordino delle carriere diplomatica e prefettizia, nonché disposizioni per il restante personale del Ministero degli affari esteri, per il personale militare del Ministero della difesa, per il personale dell’Amministrazione penitenziaria e per il personale del Consiglio superiore della magistratura), sollevata, con riferimento all’art. 97 della Costituzione, dal Tribunale di Treviso, in funzione di giudice del lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 30 maggio 2008.