Ordinanza n. 177 del 2008

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ORDINANZA N. 177

ANNO 2008

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                      BILE                                    Presidente

-    Giovanni Maria           FLICK                                    Giudice

-    Francesco                  AMIRANTE                                "

-    Ugo                          DE SIERVO                                "

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                          "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Franco                      GALLO                                       "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Giuseppe                   TESAURO                                   "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del r. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del r. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del r. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), 25, 26 e 30 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno), 8 ed 11 della legge della Regione Basilicata 12 settembre 2000, n. 57 (Usi civici e loro gestione in attuazione della legge n. 1766/1927 e r. d. n. 332/1928), promosso con ordinanza del 10 maggio 2007 dal Tribunale di Potenza nel procedimento civile vertente tra Ottorino Laginestra ed altri e Antonia Claps, iscritta al n. 740 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2007.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 16 aprile 2008 il Giudice relatore Luigi Mazzella.

Ritenuto che nel corso di un giudizio civile promosso da Ottorino Laginestra ed altri contro Antonia Claps per la chiusura di alcune luci e vedute aperte dalla convenuta sulla proprietà degli attori, il Tribunale ordinario di Potenza ha sollevato, in riferimento al «principio-valore della certezza del diritto» e agli artt. 2, 3, 24, 28, 42, 97 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del r. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del r. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del r. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), 25, 26 e 30 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno), 8 ed 11 della legge della Regione Basilicata 12 settembre 2000, n. 57 (Usi civici e loro gestione in attuazione della legge n. 1766/1927 e r. d. n. 332/1928), «nella parte in cui non prevedono ulteriori tempi certi ma soprattutto conseguenze determinate di definizione della procedura di legittimazione»;

         che il rimettente premette che, nel corso del giudizio a quo, sono state sollevate eccezioni sulla legittimazione attiva e passiva delle parti in causa, fondate sulla effettiva titolarità sia del terreno sul quale insistono le luci e le vedute, sia di quello sul quale è stato costruito il fabbricato nel quale tali luci e vedute sono state aperte, poiché entrambi i terreni risultano gravati da usi civici rispetto ai quali gli attori e la convenuta hanno avanzato a suo tempo istanze di legittimazione che però non sono mai state definite per motivi non imputabili alle parti;

che, ad avviso del Tribunale di Potenza, sussisterebbe una distonia tra la previsione generale di termini per la conclusione del procedimento amministrativo contenuta nella legge 7 agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e in particolare nell’art. 2 di tale legge, e la totale incertezza circa i tempi di definizione delle istanze di legittimazione riguardanti la materia degli usi civici, con conseguente violazione dell’art. 97 Cost., dei princìpi di buon andamento, trasparenza ed efficienza dell’azione amministrativa e degli artt. 24 e 111 Cost., sotto il profilo «della garanzia del giusto processo connesso ad un giusto procedimento, non solo normativo ma anche amministrativo»;

che il giudice a quo aggiunge che l’art. 11 della legge reg. Basilicata n. 57 del 2000 (secondo il quale «gli atti amministrativi derivanti dall’applicazione della legge n. 1766/1927 e della presente normativa hanno carattere complesso e, come tali, hanno la temporizzazione stabilita da apposito Regolamento») contrasterebbe con il principio di legalità consacrato dall’art. 97 Cost;

che, secondo il rimettente, nella maggior parte dei casi le istanze di legittimazione resterebbero ignorate ovvero non definite, con conseguente ingiustificata disparità «rispetto alla tutela di altre situazioni giuridiche soggettive, più o meno corrispondenti», violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. e pregiudizio «sulla configurazione esatta del diritto di proprietà ex art. 42 Cost. e sulla sua difesa ex art. 24 Cost.»;

che, ad avviso del Tribunale, sarebbe dunque necessario «stabilire sì un termine finanche maggiore rispetto ai canonici 90 giorni (e quindi non necessariamente parificato o ridotto), operando con i parametri della legge sul procedimento amministrativo, ma soprattutto idonee conseguenze per la mancata adozione del provvedimento, se dovuto, al solo fine di porre rimedio ad una situazione di stallo amministrativo del non-decidere, che risulta diffusa in ambito nazionale e genera incomprensione in sede giudiziaria, per il soddisfacimento di tali diritti inviolabili, storicamente determinatisi, riconducibili indubbiamente nel novero dell’art. 2 Cost., violato al pari degli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost.»;

che il giudice a quo aggiunge che la mancata definizione del procedimento di legittimazione comporta anche l’impossibilità di riscossione, da parte dell’ente competente, del relativo canone, con conseguente violazione dell’art. 28 della Costituzione;

che il rimettente afferma che la rilevanza della questione discende dalla situazione di incertezza che si determina con riferimento ad istanze di legittimazione non definite, incertezza che comporterebbe l’adozione – nel giudizio principale – di una pronuncia di difetto di legittimazione;

         che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che, in via preliminare, eccepisce l’inammissibilità della questione per mancanza di motivazione con riferimento sia alla rilevanza (poiché, sul punto, il rimettente si è limitato a dedurre che sono pendenti numerose istanze di legittimazione non definite in tempi certi per situazioni imputabili alla pubblica amministrazione), sia alla non manifesta infondatezza (perché il giudice a quo non ha motivato sui profili di contrasto delle norme censurate con i parametri costituzionali evocati);

         che, nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri conclude nel senso dell’infondatezza della questione, sostenendo che la Corte costituzionale l’ha già dichiarata inammissibile con la sentenza n. 46 del 1995 e con le ordinanze n. 117 del 1995 e n. 391 del 1998 e che il rimettente non ha dedotto nuovi profili di illegittimità costituzionale.

Considerato che il Tribunale ordinario di Potenza dubita, in riferimento al «principio-valore della certezza del diritto» e agli artt. 2, 3, 24, 28, 42, 97 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del r. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del r. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del r. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), 25, 26 e 30 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno), 8 ed 11 della legge della Regione Basilicata 12 settembre 2000, n. 57 (Usi civici e loro gestione in attuazione della legge n. 1766/1927 e r. d. n. 332/1928), «nella parte in cui non prevedono ulteriori tempi certi ma soprattutto conseguenze determinate di definizione della procedura di legittimazione»;

che il giudice a quo ritiene che le predette norme, disciplinanti il procedimento amministrativo di legittimazione delle terre di uso civico, contrastino con gli evocati precetti costituzionali, perché esse non prevedono né termini per la conclusione della procedura, né conseguenze «di definizione» nel caso in cui il procedimento si protragga oltre un certo termine;

che il rimettente, non individuando il termine di durata massima del procedimento che sarebbe costituzionalmente imposto, né specificando quali dovrebbero essere le conseguenze della mancata tempestiva adozione del provvedimento conclusivo della procedura da parte dell’amministrazione, non precisa quale intervento della Corte, tra i molti astrattamente concepibili, potrebbe assicurare la compatibilità di tale disciplina con le norme costituzionali evocate;

         che, sia nell’individuare il termine entro il quale deve essere necessariamente concluso il procedimento amministrativo di legittimazione, sia nello stabilire le conseguenze dell’inerzia dell’amministrazione, il legislatore gode di un’ampia discrezionalità;

         che la questione è dunque manifestamente inammissibile, sia perché con essa si richiede alla Corte una pronuncia manipolativa non costituzionalmente vincolata in materia riservata alla ragionevole discrezionalità del legislatore, sia per la genericità del petitum.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

         dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 10 della legge 16 giugno 1927, n. 1766 (Conversione in legge del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, riguardante il riordinamento degli usi civici nel Regno, del r. decreto 28 agosto 1924, n. 1484, che modifica l’art. 26 del r. decreto 22 maggio 1924, n. 751, e del r. decreto 16 maggio 1926, n. 895, che proroga i termini assegnati dall’art. 2 del r. decreto-legge 22 maggio 1924, n. 751), 25, 26 e 30 del regio decreto 26 febbraio 1928, n. 332 (Approvazione del regolamento per la esecuzione della legge 16 giugno 1927, n. 1766, sul riordinamento degli usi civici del Regno), 8 ed 11 della legge della Regione Basilicata 12 settembre 2000, n. 57 (Usi civici e loro gestione in attuazione della legge n. 1766/1927 e r. d. n. 332/1928), sollevata, in riferimento al «principio-valore della certezza del diritto» e agli artt. 2, 3, 24, 28, 42, 97 e 111 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Potenza con l’ordinanza in epigrafe.

         Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2008.