ORDINANZA N. 151
ANNO 2008
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promosso con ordinanza del 30 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Brescia nel procedimento penale a carico di L. S. F. ed altri, iscritta al n. 673 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Brescia dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 112 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento;
che, ai fini della rilevanza, la Corte rimettente premette di essere chiamata a giudicare in merito all’appello proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Bergamo ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di taluni imputati, per mancanza di querela;
che, nel merito, la soppressione del potere di appello del pubblico ministero avverso le sentenze di proscioglimento si porrebbe in contrasto, innanzitutto, con il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, intesa, quest’ultima, quale «manifestazione del fondamentale principio di legalità, di cui all’art. 25 Cost., nel suo aspetto sostanziale»;
che sebbene, infatti, il potere di impugnazione del pubblico ministero non possa essere ricondotto all’obbligo di esercitare l’azione penale – come sottolineato in più occasioni anche dalla Corte costituzionale – non vi sarebbe dubbio che il potere di appello costituisca «uno dei possibili sviluppi della stessa» e che «limitazioni particolarmente consistenti al potere di impugnazione non possono che riverberarsi sulla completezza delle possibilità di esercizio dell’azione»;
che, in questa prospettiva, la disciplina censurata violerebbe il diritto di difesa, garantito dall’art. 24 Cost. anche alle parti offese: diritto cui l’azione penale esercitata dal pubblico ministero – e, per essa, il potere di impugnazione correlato – varrebbe ad offrire essenziale tutela «a prescindere dalle possibilità che dette vittime abbiano, in concreto, di accedere al processo nelle forme dell’azione civile ivi intrapresa»;
che la Corte rimettente evoca quale ulteriore parametro l’art. 111 Cost., assumendo che il principio del contraddittorio nella parità tra le parti, in esso sancito, risulterebbe eluso dalla circostanza che, mentre sarebbe concessa all’imputato piena facoltà di impugnare nel caso di pronuncia di condanna, un omologo potere sarebbe negato al rappresentante dell’accusa nell’ipotesi di sentenza di proscioglimento: con un’alterazione dei poteri processuali che pregiudicherebbe irrimediabilmente il principio stesso del contraddittorio;
che – consapevole della giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui il principio della parità non comporta l’identità dei poteri processuali delle parti – la Corte rimettente prosegue affermando che la scelta legislativa deve essere sottoposta ad un «accurato scrutinio di ragionevolezza»: scrutinio da operarsi «nella prospettiva della tollerabilità del sacrificio che la norma impone agli altri valori costituzionali» e, segnatamente, al principio dell’obbligatorietà dell’azione penale, al diritto di difesa delle persone offese dal reato e al principio della parità tra le parti;
che la rimettente – escluso che, in relazione alla situazione considerata, ricorrano le ragioni che ispirano la previsione di altre limitazioni ai poteri processuali del pubblico ministero (con riferimento, in particolare, ai limiti di appellabilità della sentenza emessa a seguito di giudizio abbreviato) – conclude nel senso che un tale scrutinio «non può che condurre ad un giudizio di irragionevolezza della norma; dovendosi ritenere il vulnus inferto ai principi appena citati non giustificato da alcuna esigenza meritevole di considerazione»;
che, infine, la disciplina censurata si paleserebbe irragionevole anche sotto il diverso profilo del mantenimento in capo al pubblico ministero del potere di proporre appello avverso la sentenza di condanna.
Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione – conseguente alla sostituzione dell’art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento) – dell’appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell’art. 10, comma 2, della stessa legge, «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;
che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono pertanto essere restituiti al giudice rimettente per un nuovo esame della rilevanza della questione.
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti alla Corte d’appello di Brescia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 2008.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 16 maggio 2008.