ORDINANZA N. 447
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALEcomposta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 2, secondo e quinto comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), e dell’art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), promossa dalla Corte d’appello di Catania, nel procedimento civile vertente tra P. C. e l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), con ordinanza del 16 dicembre 2004, iscritta al n. 257 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti l’atto di costituzione dell’I.N.P.S. nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 20 novembre 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante;
uditi l’avvocato Vincenzo Triolo per l’INPS e l’avvocato dello Stato Gianni De Bellis per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Corte di appello di Catania, sezione lavoro, con ordinanza del 16 dicembre 2004, pervenuta a questa Corte il 23 giugno 2006, ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 2, secondo e quinto comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), e dell’art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), nella parte in cui, irragionevolmente, non estende la tutela ivi prevista anche ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali non per mancanza del requisito soggettivo, ma per modesta entità del debito, i quali abbiano infruttuosamente esperito l’azione esecutiva individuale;
che la questione è sorta nel corso di un giudizio di appello avverso la sentenza del Tribunale di Catania di rigetto della domanda proposta da un lavoratore nei confronti dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nella qualità di gestore del fondo di garanzia per il trattamento di fine rapporto (t.f.r.) istituito dalla legge n. 297 del 1982, per il pagamento della somma di lire 12.598.410 (oltre agli accessori e alle spese giudiziali), dovutagli a titolo di t.f.r. dalla Consortile Torino Park s.r.l.;
che il remittente precisa come l’appellante avesse originariamente ottenuto, per il credito di cui si tratta, un decreto ingiuntivo dal Pretore di Catania proponendo, dopo che tale decreto era divenuto esecutivo, dinanzi al Tribunale competente, istanza per la dichiarazione di fallimento della società debitrice, ma tale istanza era stata respinta per «modesta entità del debito»;
che successivamente il lavoratore aveva intrapreso un’azione esecutiva individuale (la quale aveva avuto esito negativo) ed aveva proposto istanza al fondo di garanzia di cui si tratta, ma essa era stata respinta, non essendovi la dichiarazione di fallimento della società;
che, quanto al merito della questione, il giudice a quo, in primo luogo, ricorda come, per attuare la direttiva 80/987/CEE, lo Stato italiano abbia prima emanato la legge n. 297 del 1982 – istitutiva del fondo di garanzia in argomento – e, successivamente, a seguito delle sentenze della Corte di giustizia comunitaria 2 febbraio 1989, nella causa C-22/87, e Francovich del 19 novembre 1991, la legge delega 29 novembre 1990, n. 428, e il d.lgs. n. 80 del 1992, in base ai quali è stato riconosciuto ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali per carenza del requisito soggettivo il diritto di ottenere, dal medesimo fondo di garanzia, il pagamento dei crediti di lavoro non corrisposti, come individuati nell’art. 2 dello stesso decreto;
che il remittente sottolinea come siano, comunque, rimasti fuori dalla tutela imposta dalla menzionata direttiva comunitaria i dipendenti dei datori di lavoro inadempienti soggettivamente sottoponibili alla procedure concorsuali ma non dichiarati falliti, pur in presenza di un debito accertato per il t.f.r., per la modesta entità dello stesso;
che, in tal modo, la suddetta categoria di lavoratori risulterebbe, del tutto irragionevolmente, discriminata rispetto a quella dei dipendenti dei datori di lavoro non assoggettabili alle procedure concorsuali i quali non abbiano corrisposto, in tutto o in parte, il dovuto trattamento di fine rapporto;
che, infatti, mentre questi ultimi possono ottenere il pagamento del loro credito dal fondo di garanzia, purché, a seguito dell’esperimento della procedura esecutiva individuale, sia risultata l’insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del creditore, agli altri non è estesa la stessa tutela, anche se abbiano inutilmente esperito l’esecuzione forzata;
che si è costituito in giudizio l’INPS, chiedendo che la questione sia dichiarata irrilevante e, comunque, non fondata;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o, comunque, l’infondatezza della questione.
Considerato che la Corte di appello di Catania, sezione lavoro, sottopone alla Corte, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 2, secondo e quinto comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), e dell’art 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva CEE 80/97 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), nella parte in cui non estende la tutela ivi prevista anche ai lavoratori dipendenti da datori di lavoro non assoggettabili a procedure concorsuali non per carenza di requisiti soggettivi, ma per modesta entità del debito;
che, secondo la Corte remittente, è irragionevole che il complesso normativo censurato stabilisca la garanzia del fondo costituito presso l’INPS per crediti di lavoro di dipendenti di imprese assoggettabili – e di fatto assoggettate – a procedure concorsuali e per quelli di dipendenti da datori di lavoro non soggetti a procedure concorsuali per carenza di requisiti soggettivi e non anche per i crediti, della stessa natura, di lavoratori il cui datore di lavoro non è assoggettato alle procedure suddette perché si ritengono dal giudice di lieve entità i crediti contro di lui fatti valere;
che la questione è manifestamente inammissibile;
che l’ordinanza di rimessione reca la data del 16 dicembre 2004, antecedente, quindi, l’entrata in vigore del decreto legislativo 9 gennaio 2006, n. 5 (Riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali a norma dell’articolo 1, comma 5, della legge 14 maggio 2005, n. 80), modificativa dell’art. 15 del r.d. 16 marzo 1942, n. 267, secondo il quale: «non si fa luogo alla dichiarazione di fallimento se l’ammontare dei debiti scaduti e non pagati risultanti dagli atti della istruttoria prefallimentare è complessivamente inferiore a euro venticinquemila»;
che, quindi, nel caso in esame, la ritenuta esiguità della situazione debitoria dell’impresa, non determinata in misura fissa, era soltanto, secondo un orientamento giurisprudenziale, un sintomo di inesistenza dello stato d’insolvenza, e non un’autonoma ipotesi di non dichiarabilità del fallimento;
che la Corte remittente, tenuto conto della reclamabilità del provvedimento di rigetto del ricorso per la dichiarazione di fallimento e della sua riproponibilità anche sulla base di nuovi elementi, quale quello, ricorrente nel caso in esame, dell’esito infruttuoso di una procedura di esecuzione singolare, avrebbe dovuto descrivere compiutamente la fattispecie;
che l’ordinanza di rimessione, invece, non precisa se il provvedimento di rigetto sia stato impugnato oppure no e se il lavoratore-creditore abbia riproposto il ricorso per dichiarazione di fallimento;
che tali omissioni impediscono alla Corte di svolgere il doveroso controllo sulla congruenza della motivazione in punto di rilevanza e di non manifesta infondatezza della questione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 2, secondo e quinto comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), e dell’art. 1, commi 1 e 2, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dalla Corte di appello di Catania, sezione lavoro, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Francesco AMIRANTE, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2007.