ORDINANZA N. 440
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), promossi con ordinanze del 20 febbraio 2006 (n. 4 ordinanze) dal Magistrato di sorveglianza di Macerata, del 21 marzo e del 16 ottobre 2006 dal Magistrato di sorveglianza di Ancona, rispettivamente iscritte ai nn. da 187 a 190 ed ai numeri 260 e 261 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2007 e nella edizione straordinaria del 26 aprile 2007.
Visti gli atti di costituzione di C.V. ed altri, nonché gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 novembre 2007 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Macerata, con quattro ordinanze di identico tenore deliberate, in altrettanti procedimenti, il 20 febbraio 2006 (r.o. numeri da 187 a 190 del 2007), ha sollevato – con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111 della Costituzione – questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede la competenza del magistrato di sorveglianza sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l’osservanza delle norme riguardanti l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali;
che il rimettente, in ciascuno dei giudizi a quibus, è investito dell’azione proposta da lavoratori detenuti, secondo le forme previste dall’art. 14-ter della legge n. 354 del 1975, con riguardo a crediti asseritamente maturati per prestazioni effettuate in ambito penitenziario, ed in qualche caso anche ad aspetti diversi del rapporto di lavoro;
che lo stesso rimettente premette come, secondo un diritto vivente affermatosi attraverso ripetute pronunce della Suprema Corte di cassazione, anche a sezioni unite, la competenza a conoscere delle controversie concernenti il lavoro dei detenuti appartenga in via esclusiva al magistrato di sorveglianza;
che, peraltro, la «procedura ex art. 14-ter» dell’Ordinamento penitenziario, a parere del giudice a quo, non assicura alle parti della controversia di lavoro un’adeguata tutela dei rispettivi diritti, poiché la relativa udienza è sottratta al regime di pubblicità, non prevede la partecipazione del datore di lavoro (identificato nell'Amministrazione penitenziaria) né la presenza del lavoratore, il quale, comunque, non può essere sentito personalmente; l’azione, inoltre, è soggetta agli stretti limiti previsti per il reclamo, e non può condurre ad una deliberazione di condanna, la quale del resto – a differenza di quanto avviene nel rito del lavoro – sarebbe priva di valore immediatamente esecutivo; manca infine, nella procedura, un doppio grado di giudizio sul merito della controversia;
che una siffatta disciplina, secondo il rimettente, determina anzitutto la violazione dell’art. 3 Cost., per la discriminazione ingiustificata introdotta tra i lavoratori, a seconda che si tratti di detenuti o di persone non sottoposte a restrizione di libertà, sul piano della tutela dei rispettivi diritti;
che nella procedura prescritta dalla norma censurata, inoltre, sarebbe violato il diritto delle parti alla difesa (art. 24 Cost.) ed al contraddittorio, poiché il lavoratore potrebbe esercitarlo solo in forma cartolare, ed il datore di lavoro sarebbe addirittura escluso da ogni forma di interlocuzione e privo della legittimazione ad impugnare il provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza, anche nella sola forma del ricorso di legittimità (con specifica violazione, sotto questo profilo, dell’art. 111 Cost.);
che dunque, secondo il giudice a quo, la norma censurata dovrebbe essere dichiarata illegittima nella parte in cui sottrae alla cognizione del giudice del lavoro le controversie riguardanti detenuti, o, in subordine, nella parte in cui esclude la facoltà per il lavoratore detenuto di avvalersi, in via alternativa, del ricorso «interno» all'organizzazione carceraria ovvero di una azione ordinaria proposta secondo il rito del lavoro;
che il Magistrato di sorveglianza di Ancona, con ordinanza del 21 marzo 2006 (r.o. n. 260 del 2007), ha sollevato – con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111 Cost. – questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui prevede la competenza del magistrato di sorveglianza sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l’osservanza delle norme riguardanti l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali;
che il rimettente è stato investito, con le forme prescritte dall’art. 14-ter della legge n. 354 del 1975, delle azioni proposte da cinque lavoratori detenuti, aventi ad oggetto crediti per prestazioni effettuate in ambito penitenziario e presunti trattamenti discriminatori subiti nello svolgimento del rapporto di lavoro;
che lo stesso rimettente, pur dando conto del fatto che la giurisprudenza ha episodicamente prospettato per il lavoro dei detenuti due sedi concorrenti di tutela, quella cioè della giurisdizione ordinaria e quella del procedimento di sorveglianza, rileva come, alla stregua del diritto vivente (formatosi attraverso ripetute pronunce della Suprema Corte, anche a sezioni unite), la competenza a conoscere delle relative controversie appartenga esclusivamente al magistrato di sorveglianza;
che il giudice a quo assume la piena ragionevolezza di una tale attribuzione, data la peculiare condizione personale dei lavoratori interessati e considerato, soprattutto, che le prestazioni effettuate in favore dell’Amministrazione penitenziaria presentano finalità particolari, di natura rieducativa e trattamentale, e sono regolate da disposizioni e prassi particolari (ad esempio, turnazione, relativa pregnanza del criterio economico, forte incidenza del potere disciplinare);
che tuttavia, sempre secondo il giudice rimettente, risulta censurabile sotto vari aspetti la procedura che il magistrato di sorveglianza deve seguire (anche) per definire le controversie di lavoro, giacché non è prevista la partecipazione del datore di lavoro (identificato nell’Amministrazione penitenziaria) né la presenza del lavoratore, che non può essere sentito personalmente; inoltre l’azione è soggetta agli stretti limiti previsti per il reclamo, e non può condurre ad una deliberazione di condanna, la quale per altro – a differenza di quanto avviene nel rito del lavoro – non potrebbe assumere valore immediatamente esecutivo; il giudice procedente, infine, sarebbe privo dei poteri istruttori necessari per la ricostruzione dei fatti pertinenti al rapporto di lavoro;
che una disciplina siffatta, a parere del giudice a quo, determina anzitutto la violazione dell’art. 3 Cost., per la discriminazione introdotta tra i lavoratori, a seconda che si tratti di detenuti o di persone non sottoposte a restrizione di libertà, sul piano della tutela dei rispettivi diritti, posto che la condizione detentiva, pur idonea a giustificare una diversa identificazione del giudice competente, non varrebbe a legittimare il grave affievolimento della tutela dei diritti riferibili ai lavoratori interessati;
che sarebbe violato anche il diritto delle parti alla difesa ed al contraddittorio, poiché il lavoratore potrebbe esercitarlo solo in forma cartolare, ed il datore di lavoro sarebbe addirittura escluso da ogni forma di interlocuzione, restandogli inibita, in specifica violazione dell’art. 111 Cost., finanche la possibilità di impugnare il provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza mediante un ricorso di legittimità;
che tre dei lavoratori i cui reclami sono confluiti nel procedimento a quo si sono costituiti nel giudizio, con atto depositato il 15 maggio 2007, rilevando che la norma censurata è già stata dichiarata illegittima con sentenza di questa Corte n. 341 del 2006, e chiedendo che la questione sia dichiarata «superata», «con ogni consequenziale provvedimento»;
che il Magistrato di sorveglianza di Ancona, con ordinanza del 16 ottobre 2006 (r.o. n. 261 del 2007), ha sollevato, con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui – regolando la competenza del magistrato di sorveglianza sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l’osservanza delle norme riguardanti l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali – non prevede la partecipazione all’udienza (anche mediante difensore o funzionario delegato) dell’Amministrazione penitenziaria, la facoltà per la stessa di impugnare la decisione, la possibilità di emettere decisioni di condanna aventi natura di titolo esecutivo;
che il rimettente è stato investito, con le forme prescritte dall’art. 14-ter della legge n. 354 del 1975, delle azioni proposte da undici lavoratori detenuti, aventi ad oggetto crediti per prestazioni effettuate in ambito penitenziario e presunti trattamenti discriminatori subiti nello svolgimento del rapporto di lavoro;
che il rimettente, dopo aver premesso che il diritto vivente riferisce al magistrato di sorveglianza la competenza esclusiva a conoscere delle cause di lavoro dei detenuti, assume la piena ragionevolezza di tale attribuzione, in forza della peculiare condizione personale dei lavoratori interessati e del particolare finalismo sotteso all’attività lavorativa dispiegata in ambito penitenziario;
che la procedura di sorveglianza sarebbe tuttavia censurabile quando riferita alle controversie di lavoro, giacché non prevede la partecipazione del datore di lavoro né la presenza del lavoratore, e l’azione risulta assoggettata agli stretti limiti previsti per il reclamo, senza possibilità di condurre ad una deliberazione di condanna con immediata efficacia esecutiva;
che una disciplina siffatta, a parere del giudice a quo, determina anzitutto la violazione dell’art. 3 Cost., per la discriminazione introdotta tra i lavoratori, a seconda che si tratti di detenuti o di persone non sottoposte a restrizione di libertà, sul piano della tutela dei rispettivi diritti, posto che la condizione detentiva, pur idonea a giustificare una diversa identificazione del giudice competente, non varrebbe a legittimare il grave affievolimento della tutela dei diritti riferibili ai lavoratori interessati;
che sarebbe violato anche il diritto delle parti alla difesa ed al contraddittorio, poiché il lavoratore potrebbe esercitarlo solo in forma cartolare ed il datore di lavoro sarebbe addirittura escluso da ogni forma di interlocuzione, restandogli inibita, in specifica violazione dell’art. 111 Cost., finanche la possibilità di impugnare il provvedimento adottato dal magistrato di sorveglianza mediante un ricorso di legittimità;
che gli undici lavoratori i cui reclami sono confluiti nel procedimento a quo si sono costituiti nel giudizio, con atto depositato il 15 maggio 2007, rilevando che la norma censurata è già stata dichiarata illegittima con sentenza di questa Corte n. 341 del 2006, e chiedendo che la questione sia dichiarata «superata», «con ogni consequenziale provvedimento»;
che il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, è intervenuto in tutti i giudizi – con atti depositati nelle date del 30 aprile 2007 (r.o. numeri da 187 a 190 del 2007) e del 15 maggio 2007 (r.o. numeri 260 e 261 del 2007) – rilevando come la norma censurata sia già stata dichiarata illegittima con la sentenza di questa Corte n. 341 del 2006, e sollecitando di conseguenza una dichiarazione di manifesta inammissibilità delle questioni proposte.
Considerato che il Magistrato di sorveglianza di Macerata solleva, con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui prevede la competenza del magistrato di sorveglianza sui reclami dei detenuti e degli internati concernenti l’osservanza delle norme riguardanti l’attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, nonché lo svolgimento delle attività di tirocinio e di lavoro e le assicurazioni sociali;
che analoga questione è sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Ancona con ordinanza del 21 marzo 2006 (r.o. n. 260 del 2007);
che lo stesso Magistrato di sorveglianza di Ancona, con una ulteriore ordinanza, depositata il 16 ottobre 2006 (r.o. n. 261 del 2007), solleva, con riferimento agli artt. 3, 24, primo e secondo comma, e 111 Cost., questione di legittimità costituzionale dell’art. 69, comma 6, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui – regolando la competenza del magistrato di sorveglianza sulle controversie concernenti il lavoro dei detenuti – non prevede la partecipazione all’udienza (anche mediante difensore o funzionario delegato) dell’Amministrazione penitenziaria, la facoltà per la stessa di impugnare la decisione, la possibilità di emettere decisioni di condanna aventi natura di titolo esecutivo;
che questa Corte, con la sentenza n. 341 del 2006, successiva alle ordinanze indicate in epigrafe, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma censurata dai giudici a quibus, ravvisandone il contrasto con gli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost.;
che il sopravvenuto mutamento del quadro normativo impone la restituzione degli atti ai rimettenti, perché procedano ad un nuovo esame della rilevanza delle questioni sollevate (ex multis, ordinanze nn. 328, 324, 266 e 120 del 2007).
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti ai Magistrati di sorveglianza di Ancona e Macerata.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 dicembre 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 20 dicembre 2007.