ORDINANZA N. 295
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 26 gennaio 2005 dal Giudice di pace di Bari sul ricorso proposto da Guguci Octavian nei confronti del Prefetto di Bari, iscritta al n. 246 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che il Giudice di pace di Bari, con ordinanza del 26 gennaio 2005, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede che l’omessa richiesta da parte dello straniero del permesso di soggiorno nel termine di otto giorni lavorativi dall’ingresso in Italia comporti – anche quando l’ingresso sia avvenuto legittimamente e sussistano le condizioni per l’ottenimento del predetto permesso – l’automatica emissione del decreto di espulsione senza una preventiva valutazione della sussistenza delle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno;
che il rimettente premette in fatto che Guguci Octavian, cittadino rumeno, con provvedimento del prefetto di Bari del 16 novembre 2004, è stato espulso dal territorio dello Stato con divieto di farvi rientro per cinque anni, in quanto, durante un controllo di polizia, è risultato sprovvisto del permesso di soggiorno previsto dall’art. 5, comma 2, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che il cittadino rumeno ha proposto opposizione avverso il decreto di espulsione deducendo che egli non era a conoscenza dell’obbligo di richiedere il permesso di soggiorno e che non aveva riportato condanne penali;
che, inoltre, l’opponente ha chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del d.lgs. n. 286 del 1998 per violazione del principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione;
che il rimettente, nel far propria l’eccezione di incostituzionalità sollevata dall’opponente, evidenzia come il legislatore accomuni con la sanzione dell’espulsione le differenti condotte dei cittadini extracomunitari che entrano nel territorio dello Stato senza un passaporto o comunque senza munirsi di visto, sottraendosi ai controlli di frontiera (art. 13, comma 2, lettera a), di coloro che entrati regolarmente in Italia, con passaporto e visto turistico, non chiedono il permesso di soggiorno entro il termine previsto di otto giorni, ovvero di coloro che sono titolari di permesso di soggiorno non rinnovato o revocato o annullato (art. 13, comma 2, lettera b), e, infine, di coloro che commettono reati o sono da considerare socialmente pericolosi (art. 13, comma 2, lettera c);
che nei casi di cui alla lettera b) del comma 2 dell’art. 13 citato, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che l’espulsione sia automatica solo per i casi di permesso di soggiorno revocato o annullato e non quando il permesso di soggiorno non sia stato rinnovato o non sia stato richiesto nei termini di legge;
che i successivi commi 13 e 14 dell’art. 13 dispongono che al decreto di espulsione, per qualunque motivo emesso, fa seguito il divieto di reingresso per un periodo di dieci anni, lasciando solo all’amministrazione la discrezionalità di comminare un divieto di più breve durata (cinque anni);
che, a parere del rimettente, l’ipotesi di cui alla lettera b) del citato art. 13, comma 2, ovvero il non aver chiesto il permesso di soggiorno negli otto giorni dall’ingresso in Italia, deve considerarsi come una semplice irregolarità amministrativa che può essere causata dai motivi più vari come, ad esempio, la mancanza di adeguata informazione;
che, pertanto, al pari delle ipotesi di permesso di soggiorno non rinnovato o non richiesto nei termini di legge, anche per tale irregolarità amministrativa la sanzione non può essere l’espulsione automatica;
che, in conclusione, l’art. 13, comma 2, lettera b), del d. lgs. n. 286 del 1998 si porrebbe in contrasto con il principio di eguaglianza non potendosi trattare in modo eguale situazioni soggettive profondamente diverse quali quelle descritte;
che il rimettente, inoltre, denuncia la norma anche per contrasto con il generale precetto, desumibile dall’art. 3 della Costituzione, che impone la ragionevolezza delle scelte legislative;
che, infine, il dubbio di costituzionalità è riferito anche all’art. 13 della Costituzione, in quanto l’espulsione è una misura che incide sulla libertà personale dell’individuo e deve essere preceduta da un giudizio di pericolosità sociale;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto alla Corte di dichiarare la questione inammissibile o infondata;
che la difesa erariale pone in evidenza la peculiare rilevanza degli interessi pubblici nella materia dell’immigrazione e, in particolare, nota che il giudice a quo definisce una «semplice irregolarità amministrativa» la mancata richiesta da parte dello straniero, nel termine prescritto, del permesso di soggiorno, ipotesi che, al contrario, costituisce (al pari delle condotte sanzionate con l’espulsione) un grave vulnus alla corretta gestione dei flussi migratori in Italia, la quale all’evidenza presuppone «la rapida conoscenza delle persone autorizzate a rimanere nel paese»;
che, prosegue l’Avvocatura, non sussiste affatto la denunciata irragionevolezza della normativa de qua nella parte in cui non diversificherebbe le varie ipotesi di espulsione ai fini della durata del conseguente divieto di reingresso in Italia, sia perché, in via di principio, la stessa Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare che «non è implausibile l’equiparazione operata dal legislatore fra stranieri privi di permesso, per non averlo mai ottenuto, e stranieri il cui permesso sia scaduto senza essere rinnovato» (ordinanza n. 485 del 2000), sia perché l’art. 13 del d. lgs. n. 286 del 1998, ai commi 13 e 14, attribuisce alle autorità amministrative un ampio margine di discrezionalità nella determinazione della durata del divieto di reingresso che può essere ridotto a cinque anni rispetto all’ordinario termine di dieci, proprio in relazione alla condotta tenuta in concreto dallo straniero espulso, ipotesi che tra l’altro ricorre nel caso di specie;
che la censura di cui all’art. 13 della Costituzione, secondo l’Avvocatura dello Stato, è inammissibile in quanto non sufficientemente motivata, essendosi il rimettente limitato a dire che il giudizio di pericolosità sociale deve necessariamente precedere il provvedimento di espulsione;
che, infine, la Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare che il cosiddetto automatismo espulsivo non è affatto in contrasto con la Carta costituzionale rappresentando un «riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce anche per gli stranieri presidio ineliminabile dei loro diritti» (sentenza n. 146 del 2002).
Considerato che il Giudice di pace di Bari, con ordinanza del 26 gennaio 2005, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui prevede che l’omessa richiesta, da parte dello straniero, del permesso di soggiorno nel termine di otto giorni lavorativi dall’ingresso in Italia comporti – anche quando l’ingresso sia avvenuto legittimamente e sussistano le condizioni per l’ottenimento del predetto permesso – l’automatica emissione del decreto di espulsione, senza una preventiva valutazione della sussistenza delle condizioni per il rilascio del titolo di soggiorno;
che la norma viene denunciata perchè disciplina in modo eguale, con la sanzione dell’espulsione e del divieto di reingresso nel territorio dello Stato per dieci anni, le diverse condotte dello straniero che ha semplicemente omesso o ritardato la richiesta del permesso di soggiorno entro gli otto giorni dall’ingresso (regolare) in Italia e dello straniero che ha commesso reati o si è reso pericoloso per la sicurezza pubblica;
che risulta dalla descrizione della fattispecie fatta dal rimettente che il cittadino extracomunitario destinatario del provvedimento di espulsione è di nazionalità rumena;
che l’Italia, con legge 9 gennaio 2006, n.16 (Ratifica ed esecuzione del Trattato di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania all'Unione europea, con Protocollo e allegati, Atto di adesione ed allegati, Atto finale e dichiarazioni e scambio di Lettere, fatto a Lussemburgo il 25 aprile 2005), ha ratificato il Trattato di adesione della Repubblica di Romania all’Unione europea e, pertanto, a far data dal 1° gennaio 2007, i cittadini rumeni sono diventati cittadini dell'Unione;
che spetta al giudice a quo valutare se, a seguito di tale modifica normativa, il provvedimento di espulsione impugnato nel giudizio principale è ancora produttivo di effetti, anche tenuto conto della circolare congiunta dei Ministri dell’interno e della solidarietà sociale n. 2 del 28 dicembre 2006 recante «Ingresso nell’U.E. dei cittadini della Romania e della Bulgaria», la quale ha esplicitamente affermato che «devono intendersi cessati, a decorrere dal 1° gennaio p.v., gli effetti dei provvedimenti di espulsione adottati nei confronti dei cittadini neocomunitari»;
che, pertanto, va ordinata la restituzione degli atti al giudice rimettente, al fine di una nuova valutazione della rilevanza della questione sollevata, alla luce dello ius superveniens.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Giudice di pace di Bari;
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2007.