ORDINANZA N. 294
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promosso con ordinanza del 5 gennaio 2006 dal Giudice di pace di Bari sul ricorso proposto da Sako Nesti nei confronti del Prefetto di Bari, iscritta al n. 217 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2007 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano.
Ritenuto che il Giudice di pace di Bari, con ordinanza del 5 gennaio 2006, ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui sanziona con l’espulsione e con il divieto di reingresso nel territorio dello Stato per dieci anni le diverse fattispecie dello straniero che non ha chiesto o ha chiesto in ritardo il permesso di soggiorno e dello straniero che ha commesso reati o si è reso socialmente pericoloso;
che il rimettente premette in fatto che il cittadino extracomunitario Sako Nesti, di cui non precisa la nazionalità, ha proposto ricorso in opposizione avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal prefetto di Bari, in data 23 novembre 2005, per essere entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera;
che il rimettente ritiene fondati i dubbi di costituzionalità manifestati dalla difesa del cittadino extracomunitario nel ricorso, sul presupposto che la disciplina contenuta nel citato art. 13 del d. lgs. n. 286 del 1998 si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, non prevedendo una differenziazione della sanzione a seconda della gravità della violazione commessa;
che, in particolare, il giudice a quo rileva che le violazioni della disciplina dell’immigrazione sanzionate con l’espulsione concernono comportamenti o situazioni di diversa natura: 1) essere entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera; 2) essersi trattenuto nel territorio dello Stato senza aver richiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto; 3) aver avuto la revoca o l’annullamento del permesso di soggiorno; 4) appartenere a taluna delle categorie indicate nell’art. 1 della legge 27 dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la sicurezza e per la pubblica moralità), come successivamente sostituito dall’art. 13 della legge 13 settembre 1982, n. 646; 5) essere sottoposto a procedimento penale;
che le Corti di legittimità e di merito hanno puntualizzato che la mancata richiesta o il mancato rinnovo del permesso di soggiorno nei termini di legge non comporta automaticamente l’emissione del decreto di espulsione a differenza dei casi di revoca o annullamento del permesso medesimo;
che, secondo il rimettente, la violazione relativa all’essersi trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto dall’art. 5, comma 2, del d. lgs. n. 286 del 1998, deve essere considerata una mera irregolarità amministrativa;
che, pertanto, il rimettente ritiene fondato il dubbio di legittimità costituzionale della norma citata, letta anche «in relazione all’art. 5, comma 2, e all’art. 13, comma 13 e 14», del d. lgs. n. 286 del 1998, in quanto, disciplinando in modo eguale violazioni di natura profondamente diversa (mancata o ritardata richiesta di permesso di soggiorno e commissione di reati o condotta socialmente pericolosa), si pone in contrasto con il principio di eguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, secondo il quale non possono e non devono essere sanzionate in modo eguale violazioni di natura diversa;
che il rimettente censura la norma anche per violazione dell’art. 13 della Costituzione, poiché il decreto di espulsione comporta, in caso di inottemperanza allo stesso, una misura che incide sulla libertà personale dell’individuo senza prevedere un preventivo giudizio sulla sua pericolosità sociale;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto alla Corte di dichiarare la questione inammissibile o infondata;
che la difesa erariale pone in evidenza la peculiare rilevanza degli interessi pubblici nella materia dell’immigrazione e, in particolare, nota che il giudice a quo definisce una «semplice irregolarità amministrativa» la mancata richiesta da parte dello straniero, nel termine prescritto, del permesso di soggiorno, ipotesi che, al contrario, costituisce (al pari delle condotte sanzionate con l’espulsione) un grave vulnus alla corretta gestione dei flussi migratori in Italia, la quale all’evidenza presuppone «la rapida conoscenza delle persone autorizzate a rimanere nel paese»;
che, prosegue l’Avvocatura dello Stato, non sussiste affatto la denunciata irragionevolezza della normativa de qua nella parte in cui non diversificherebbe le varie ipotesi di espulsione ai fini della durata del conseguente divieto di reingresso in Italia, sia perché, in via di principio, la stessa Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare che «non è implausibile l’equiparazione operata dal legislatore fra stranieri privi di permesso, per non averlo mai ottenuto, e stranieri il cui permesso sia scaduto senza essere rinnovato» (ordinanza n. 485 del 2000), sia perché l’art. 13 del d. lgs. n. 286 del 1998, ai commi 13 e 14, attribuisce alle autorità amministrative un ampio margine di discrezionalità nella determinazione della durata del divieto di reingresso che può essere ridotto a cinque anni rispetto all’ordinario termine di dieci, proprio in relazione alla condotta tenuta in concreto dallo straniero espulso;
che, quanto alla censura di cui all’art. 13 della Costituzione, secondo l’Avvocatura, essa è inammissibile in quanto non sufficientemente motivata, essendosi il rimettente limitato a un brevissimo cenno riguardo alla mancanza del necessario giudizio di pericolosità sociale;
che, infine, la Corte costituzionale ha già avuto modo di affermare che il cosiddetto automatismo espulsivo non è affatto in contrasto con la carta costituzionale, rappresentando un «riflesso del principio di stretta legalità che permea l’intera disciplina dell’immigrazione e che costituisce anche per gli stranieri presidio ineliminabile dei loro diritti» (sentenza n. 146 del 2002);
Considerato che il Giudice di pace di Bari, con ordinanza del 26 gennaio 2005 ha sollevato, in riferimento agli articoli 3 e 13 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero);
che la norma viene denunciata in quanto disciplina in modo eguale situazioni diverse quali l’essere destinatario di un provvedimento di espulsione (semplicemente) per la mancata o ritardata richiesta del permesso di soggiorno entro gli otto giorni dall’ingresso in Italia e l’essere espulso per la commissione di reati o per motivi di sicurezza pubblica;
che dalla descrizione della fattispecie fatta dal rimettente risulta che il provvedimento di espulsione del Prefetto, impugnato nel giudizio a quo, è stato emesso perché il cittadino extracomunitario era entrato nel territorio dello Stato sottraendosi ai controlli di frontiera;
che tale ultima ipotesi è disciplinata dall’art. 13, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 286 del 1998, mentre l’art. 13, comma 2, lettera b), regola il diverso caso dello straniero che si sia trattenuto nel territorio dello Stato senza aver chiesto il permesso di soggiorno nel termine prescritto, ovvero che abbia avuto revocato o annullato il permesso di soggiorno, ovvero che non abbia chiesto il rinnovo entro sessanta giorni dalla scadenza;
che, dunque, il giudice a quo non deve fare applicazione dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo n. 286 del 1998 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), unica norma della cui costituzionalità egli dubita, bensì dell’art. 13, comma 2, lettera a), del medesimo decreto legislativo;
che, pertanto, la questione è manifestamente inammissibile per erronea individuazione della disposizione applicabile al caso concreto.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 13 della Costituzione, dal Giudice di pace di Bari con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 17 luglio 2007.