ORDINANZA N. 258
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), e dell’art. 10 della stessa legge, promossi con ordinanze del 17 marzo, del 31, del 20 (n. 2 ordd.) e del 15 marzo 2006 dalla Corte d’appello di Torino, del 5 aprile 2006 dalla Corte d’appello di Torino, del 3 maggio 2006 dalla Corte d’assise d’appello di Torino, del 31 marzo e del 2 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Torino, del 16 maggio 2006 dalla Corte d’assise d’appello di Torino, del 30, del 2, del 18 e del 31 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Torino, e del 2 maggio 2006 dalla Corte d’appello di Torino, rispettivamente iscritte ai nn. 246, 249, da 251 a 253, 333, 334, 342, 387, 441, 442, 567 e 610 del registro ordinanze 2006 ed ai nn. 33 e 74 del registro ordinanze 2007 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 29, 34, 39, 41 nella edizione straordinaria del 2 novembre 2006, al n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2006 ed ai nn. 3, 8, 10, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che, con quindici ordinanze, la Corte d’appello e la Corte d’assise d’appello di Torino hanno sollevato, in riferimento complessivamente agli artt. 3, 111, secondo comma, e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 593 del codice di procedura penale, come sostituito dall’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), nella parte in cui non consente al pubblico ministero di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, se non nel caso previsto dall’art. 603, comma 2, del codice di procedura penale – ossia quando sopravvengano o si scoprano nuove prove dopo il giudizio di primo grado – e sempre che tali prove risultino decisive, e dell’art. 10 della medesima legge;
che in tutte le ordinanze di rimessione la rilevanza della questione viene motivata con riferimento a quanto previsto dall’art. 10 della legge n. 46 del 2006 in ordine alla immediata applicabilità delle nuove norme ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima legge;
che, nel merito, è denunciata la violazione di diversi parametri costituzionali: in particolare, in tutte le ordinanze di rimessione si lamenta la lesione del principio di ragionevolezza e del principio di parità tra le parti, mentre in alcune viene ipotizzato anche il contrasto con il principio di uguaglianza, con il principio della ragionevole durata del processo e con quello dell’obbligatorietà dell’azione penale;
che, quanto al principio di ragionevolezza, i rimettenti evidenziano come sia palesemente irrazionale un sistema che riconosce al pubblico ministero il potere di proporre appello avverso le sentenze di condanna in ordine all’entità della pena, negandogli nel contempo il potere di appellare le sentenze di proscioglimento;
che, con riferimento al principio di parità tra le parti, i rimettenti osservano come la disciplina censurata, inibendo tanto al pubblico ministero che all’imputato l’appello avverso le sentenze di proscioglimento, realizzi una parificazione solo formale, dal momento che essa finisce nella sostanza per incidere esclusivamente sul potere di impugnazione di quella sola, fra le due parti, che ha interesse a dolersi di tali sentenze, ossia il pubblico ministero e ciò in assenza di qualsivoglia ragione giustificativa;
che, sotto questo profilo, sarebbe altresì evidente anche la disparità di trattamento che viene introdotta tra il pubblico ministero e la parte civile, cui è attualmente riconosciuto il potere di appellare le sentenze di proscioglimento;
che in alcune ordinanze si lamenta anche la violazione del principio della ragionevole durata del processo, sulla base del rilievo che l’eliminazione del potere di appello del pubblico ministero, lungi dal favorire l’accelerazione del processo, determina, per effetto anche del contestuale ampliamento dei casi di ricorso per cassazione, un aumento dei gradi giudizio, con conseguente dilatazione dei tempi processuali;
che, infine, alcuni rimettenti prospettano la violazione del principio di obbligatorietà dell’azione penale, sul presupposto che l’appello avverso le sentenze di assoluzione costituisca una «estrinsecazione» del dovere di repressione dei reati e di tutela della collettività, attribuito al pubblico ministero.
che, stante l’identità delle questioni proposte, i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica pronuncia;
che, successivamente alle ordinanze di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell’art. 10, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;
che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono essere pertanto restituiti ai giudici rimettenti per un nuovo esame della rilevanza delle questioni.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti alla Corte d’appello e alla Corte d’assise d’appello di Torino.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2007.