ORDINANZA N. 251
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), promosso con ordinanza dell’11 maggio 2006 dal Tribunale di Spoleto nel procedimento penale a carico di P.U. ed altri, iscritta al n. 79 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 10, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 giugno 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, con ordinanza dell’11 maggio 2006, il Tribunale di Spoleto – nel corso di un giudizio penale promosso nei confronti «dei legali rappresentanti» di una società in nome collettivo, imputati di reati tributari per evasione dell’IVA e delle imposte dirette relative agli anni dal 1998 al 2000 – ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 15 [rectius: dell’art. 15, comma 7,] della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), nella parte in cui prevede l’esclusione, ad ogni effetto, della punibilità per i reati tributari in esso elencati, nel caso di perfezionamento della definizione dei processi verbali di constatazione da cui risultano i reati medesimi;
che, in punto di non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo afferma che la norma censurata víola: a) l’art. 79 della Costituzione, perché, pur prevedendo, per il caso di “condono” fiscale influente sui suddetti reati tributari, una rinunzia all’esercizio della potestà punitiva dello Stato talmente ampia e generalizzata da non trovare riscontro in precedenti leggi di “condono” fiscale e da produrre un effetto identico a quello che conseguirebbe all’applicazione di una amnistia o di un indulto, è contenuta in una legge approvata dal Parlamento a maggioranza semplice e non con la «particolare procedura deliberativa parlamentare, richiedente una maggioranza qualificata», quale prevista per la concessione dell’amnistia o dell’indulto; b) gli artt. 3, 53, 54 e 112 della Costituzione, perché – in violazione dei limiti fissati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale con le sentenze n. 369 del 1988 e n. 427 del 1995 (in tema di condono edilizio) per la legittimità costituzionale delle norme che escludono la punibilità di reati in conseguenza dell’applicazione di misure legislative di “condono” – non trova giustificazione né nella necessità di porre rimedio ad una contingente ed eccezionale «illegalità di massa» (dato l’intervento di ben due provvedimenti di clemenza in materia tributaria nel corso degli ultimi quindici anni e dato il riordino del diritto penale tributario, realizzato con il decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74), né nell’esigenza di favorire l’emersione di illeciti tributari «nascosti» (data la definibilità esclusivamente di carichi fiscali già noti all’ufficio tributario e per i quali è già stato comunicato al contribuente un avviso di accertamento, un verbale di constatazione od un invito al contraddittorio), cosí da costituire solo una manifestazione dell’impotenza dello Stato a reperire adeguate risorse finanziarie ed a porre in essere una adeguata azione di contrasto all’evasione fiscale;
che, in punto di rilevanza, il Tribunale rimettente osserva che: a) alcuni imputati hanno richiesto in giudizio, ai sensi del combinato disposto dell’art. 129 del codice di procedura penale e della norma censurata, l’immediata declaratoria della causa di non punibilità costituita dal perfezionamento della definizione fiscale del processo verbale di constatazione n. 107 del 16 settembre 2002, redatto dalla Guardia di finanza e dal quale erano emersi i reati contestati; b) detto perfezionamento risulta dalla nota emessa il 7 dicembre 2004 dalla competente amministrazione finanziaria, attestante l’avvenuto pagamento dell’importo previsto dalla legge, e dalla nota del 1° luglio 2003, attestante l’inesistenza di carichi pendenti risultanti dal sistema informativo dell’anagrafe tributaria; c) la norma censurata deve essere, pertanto, applicata nel giudizio;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, osservando che analoghe questioni sono state dichiarate manifestamente inammissibili dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 18 del 2006 e chiedendo che la sollevata questione sia dichiarata «inammissibile ed infondata»;
che in particolare, secondo l’Avvocatura generale, la denunciata violazione dell’art. 79 Cost. non sussiste, perché vi sono profonde differenze tra una “amnistia condizionata” (la quale, ai sensi dell’art. 151 del codice penale, «estingue il reato, e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie») e l’esclusione della punibilità conseguente ad un “condono” (il quale – come rilevato dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 196 del 2004, n. 427 del 1995 e n. 369 del 1988 – costituisce una complessa e varia fattispecie di sanatoria produttiva di effetti estintivi, subordinata a precise condizioni e, in particolare, a manifestazioni di volontà degli interessati);
che le censure riferite agli altri parametri costituzionali evocati sono, sempre per l’Avvocatura generale dello Stato, inammissibili e infondate: a) quella relativa all’art. 54 Cost. è inammissibile, perché non motivata; b) quella relativa all’art. 112 Cost. è inammissibile, perché, mentre la norma censurata produce l’effetto estintivo della punibilità penale solo nel caso in cui il perfezionamento della definizione fiscale sia intervenuto prima che gli interessati abbiano avuto «formale conoscenza» dell’esercizio dell’azione penale nei loro confronti, l’ordinanza di rimessione non precisa se nella specie, al momento di detto perfezionamento, gli imputati del giudizio a quo avessero avuto o no tale «formale conoscenza»; c) quella relativa all’art. 53 Cost. è inammissibile per difetto di rilevanza ed è, comunque, infondata, perché le maggiori pretese tributarie dell’amministrazione finanziaria non sono ancora riscontrate giudizialmente, cosí che appare adeguata la previsione, contenuta nella norma censurata, di una sorta di “accordo transattivo”, mediante il quale la pendenza fiscale è definita, con effetti estintivi penali, pagando una quota delle maggiori imposte, ritenute e contributi; d) quella relativa all’art. 3 Cost. è infondata, perché, da un lato, non è possibile operare un raffronto tra la disposizione denunciata e precedenti leggi di condono fiscale, data la discrezionalità del legislatore nella scelta – esercitata, nella specie, in modo non irragionevole – dei mezzi e delle modalità per la definizione delle contestazioni tributarie, e, dall’altro, il rimettente, nell’affermare che la norma censurata non trova giustificazione in una situazione di eccezionale «illegalità di massa» equiparabile a quella che ha indotto il legislatore ad emanare le leggi di condono edilizio, pone a raffronto situazioni tra loro notevolmente diverse, tali da rendere non irragionevole la diversità di presupposti e di disciplina del condono fiscale e di quello edilizio.
Considerato che il Tribunale di Spoleto dubita, in riferimento agli artt. 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione, della legittimità dell’art. 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), nella parte in cui prevede l’esclusione, ad ogni effetto, della punibilità per i reati tributari in esso elencati, nel caso di perfezionamento della definizione dei processi verbali di constatazione da cui risultano i reati medesimi;
che, per il rimettente, la disposizione censurata si pone in contrasto con : a) l’art. 79 della Costituzione, perché, pur avendo essa gli stessi effetti di una “amnistia condizionata”, è contenuta in una legge approvata dal Parlamento a maggioranza semplice e non a maggioranza qualificata, secondo quanto invece previsto per le leggi di amnistia o indulto; b) gli artt. 3, 53, 54 e 112 Cost., perché costituisce una manifestazione di impotenza dello Stato a reperire risorse finanziarie ed a contrastare efficacemente l’evasione, non trovando giustificazione né nella necessità di ovviare ad una eccezionale situazione di «illegalità di massa» (esclusa da precedenti provvedimenti di clemenza in materia tributaria e dal recente riordino del diritto penale tributario di cui al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 ), né nell’esigenza di favorire l’emersione di evasioni fiscali (esclusa dalla definibilità soltanto di carichi fiscali già noti all’ufficio tributario);
che la questione è manifestamente inammissibile;
che, in base al denunciato art. 15, comma 7, della legge n. 289 del 2002, l’esclusione della punibilità penale opera a condizione che il perfezionamento del condono riguardi i reati tassativamente elencati nella stessa disposizione (primo periodo) e che tale perfezionamento sia intervenuto prima che il contribuente abbia avuto «formale conoscenza» dell’esercizio dell’azione penale (terzo periodo);
che, nella specie, il rimettente si è limitato ad affermare che l’imputazione contestata si riferisce a reati tributari concernenti l’evasione dell’IVA e delle imposte dirette relative agli anni dal 1998 al 2000, che il verbale di constatazione oggetto della definizione fiscale di cui alla norma censurata reca la data del 16 settembre 2002 e che il perfezionamento della definizione fiscale risulta da una nota emessa dalla competente amministrazione finanziaria in data 7 dicembre 2004;
che, pertanto, il Tribunale ha omesso di precisare sia i reati oggetto del giudizio penale a quo (indicati nell’ordinanza di rimessione solo con le lettere alfabetiche del non allegato elenco delle imputazioni contestate agli imputati), sia la data dell’esercizio dell’azione penale, sia la data della «formale conoscenza» da parte degli imputati di tale esercizio;
che, in base al principio dell’autosufficienza dell’ordinanza di rimessione, non è possibile colmare le sopra evidenziate lacune di detta ordinanza attraverso l’esame diretto del fascicolo del giudizio principale;
che l’incompleta descrizione della fattispecie impedisce a questa Corte di valutare l’applicabilità della norma denunciata nel giudizio principale e, quindi, la rilevanza della sollevata questione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 15, comma 7, della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53, 54, 79 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Spoleto con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2007.