SENTENZA N. 247
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
Ritenuto in fatto
1. – Con il ricorso indicato in epigrafe, il Tribunale civile di Roma – nel corso di un procedimento civile promosso dal deputato Cesare Previti nei confronti del senatore Nando Dalla Chiesa, avente ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni sofferti dalla parte attrice, a seguito della pubblicazione di tre articoli asseritamente diffamatori a firma del convenuto – ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione adottata il 23 marzo 2005 (Doc. IV – quater, n. 26), con cui si è ritenuto che i fatti, per i quali è in corso l’indicato procedimento civile, concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, con conseguente insindacabilità ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Il Tribunale riferisce che il 3 e il 5 maggio nonché il 14 luglio 2004 venivano pubblicati tre articoli sul quotidiano “L’Unità”, a firma del senatore, relativi alla gestione dell’eredità della Marchesa Anna Maria Casati Stampa nei quali, secondo il deputato, erano contenute notizie false finalizzate a diffamare la sua immagine.
In particolare, il ricorrente rileva che, con il primo articolo dal titolo «La Villa della Marchesina sedotta e bidonata», si descriveva l’incarico conferito al deputato, a seguito del decesso del marchese Camillo Casati, dai parenti della moglie di quest’ultimo per la tutela dei loro interessi nella causa ereditaria che intendevano promuovere.
Con riferimento a tale articolo, il deputato contestava sia la circostanza relativa al suddetto incarico, sia l’affermazione in esso contenuta secondo cui egli, «dopo aver patrocinato le ragioni della parte offesa, si offrì in soccorso alla parte vincente, ossia la marchesina appena diciannovenne».
L’attore nega, altresì, la veridicità della dichiarazione, riportata nel suindicato articolo, con la quale si è affermato che «la marchesina rimase, con quel patrimonio a lei intestato, affidata alle sapienti mani del senatore Bergamasco» e del deputato.
Parimenti non veritiera sarebbe, inoltre, l’asserzione secondo la quale la cessione della Villa San Martino «sarebbe stata il frutto di un’occulta regia del deputato, finalizzata a sottrarre all’ereditiera tale bene ad un prezzo irrisorio da pagare con comode dilazioni»; affermazione, questa, che farebbe apparire il deputato quale autore di una frode ai danni della propria cliente.
Quanto al secondo articolo, dal titolo «Signori, una coppola di champagne», il Tribunale deduce che esso si riferisce probabilmente ad infiltrazioni mafiose, sviluppandosi in forma di dialogo fra il deputato e altro Parlamentare, i quali commentano la precostituzione di un alibi per «spiegare verosimilmente il ribasso del prezzo ed il rigetto della offerta da parte di altro acquirente».
Infine, con riferimento al terzo articolo, dal titolo «Sono ricco, colto e ho fatto tutto da solo», viene riproposta «la notizia già adombrata» nel primo articolo, secondo la quale «Berlusconi si sarebbe appropriato, grazie all'operazione messa in essere» dal deputato, di diversi beni appartenenti alla marchesina Casati Stampa.
Il Senato della Repubblica, con delibera in data 23 marzo 2005, approvando la proposta della Giunta per le autorizzazioni a procedere, ha ritenuto che i fatti per i quali è in corso il procedimento civile nei confronti del senatore concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni e ricadono, pertanto, nella previsione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.
Ad avviso del Tribunale civile, diversamente da quanto sostenuto nella delibera impugnata, gli scritti del senatore, pubblicati sul quotidiano “L’Unità”, «non risultano assolutamente collegati ad una qualche attività istituzionale» del senatore stesso.
In proposito, il ricorrente osserva che il Senato della Repubblica «ha interpretato in maniera erronea la nozione di nesso funzionale», precisando, altresì, che questa Corte ha affermato che «le dichiarazioni del parlamentare rese all’esterno degli organi parlamentari sono insindacabili solo ove sia riscontrabile una corrispondenza sostanziale di contenuti della dichiarazione stessa con atti parlamentari».
2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 321 del 18 luglio 2006.
3. – Il ricorso, unitamente all’ordinanza suddetta, è stato notificato il 18 settembre 2006 e depositato il 3 ottobre 2006.
4. – In data 7 agosto 2006, si è costituito il Senato della Repubblica eccependo l’inammissibilità, l’improcedibilità e, comunque, l’infondatezza del ricorso, riservandosi di depositare memorie e documenti a sostegno della legittimità della pronuncia di insindacabilità.
5. – Con memoria del 6 ottobre 2006 il Senato della Repubblica, dopo aver richiamato le motivazioni della Giunta per le autorizzazioni a procedere, del 15 marzo 2005, sottolinea che le opinioni del senatore «costituiscono non soltanto una critica espressa in forma satirica nei confronti di un collega parlamentare, ma soprattutto espressione di un giudizio politico che dà vita ad una puntuale controversia tra parlamentari, rispetto alla quale (…) esistono mezzi di tutela non giurisdizionale che consentono ad ambedue le parti di rappresentare la propria posizione».
Ad avviso della difesa del Senato, le dichiarazioni del senatore non avrebbero carattere offensivo e, inoltre, vi sarebbe un «collegamento delle espressioni satiriche con l’attività di supplenza informativa in ordine a tematiche di stretta attinenza con le funzioni parlamentari».
La resistente precisa che la Giunta delle elezioni, nel dichiarare l’insindacabilità delle opinioni del senatore, ha tenuto conto della «rigorosa giurisprudenza» di questa Corte sulla necessità di verificare la sussistenza del nesso funzionale tra le opinioni espresse e l’esercizio delle funzioni parlamentari. In particolare, dopo aver osservato che la Giunta ha «ampiamente illustrato» le motivazioni della propria decisione, il Senato sottolinea che la medesima, nel procedere alla verifica del nesso funzionale, ha considerato anche gli «atti parlamentari atipici o addirittura innominati», rinvenendo nelle dichiarazioni del senatore «quel tasso di politicità del comportamento che rappresenta il carattere proprio del mandato parlamentare».
La difesa del Senato, nel riportare la giurisprudenza di questa Corte, con la quale si è affermato che l’eventuale carattere diffamatorio delle dichiarazioni rese da un parlamentare non impedisce la riconducibilità delle stesse nella sfera di applicazione dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, ribadisce che il senatore ha esercitato «esclusivamente un diritto di critica politica» e richiama, a tal fine, alcune pronunce sia della giurisprudenza ordinaria sia di quella di legittimità.
6. – Con successiva memoria del 9 maggio 2007, la difesa del Senato, oltre a confermare le argomentazioni svolte nella precedente memoria, chiede, in via preliminare, che il conflitto sia dichiarato inammissibile, non avendo il Tribunale ricorrente riportato le dichiarazioni contenute negli articoli pubblicati sul quotidiano “L’Unità”, a firma del senatore.
Considerato in diritto
1. – Il conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale civile di Roma investe la deliberazione (Doc. IV – quater, n. 26), con la quale, il 23 marzo 2005, il Senato della Repubblica ha ritenuto insindacabili, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, le dichiarazioni contenute in tre articoli, a firma del senatore, pubblicati sul quotidiano “L’Unità”, il 3 ed il 5 maggio, nonché il 14 luglio 2004 (per i quali è in corso un procedimento civile per risarcimento danni), relativi alla gestione dell’eredità della Marchesa Anna Maria Casati Stampa nei quali, secondo il deputato, erano contenute notizie false finalizzate a diffamare la sua immagine.
Secondo il Tribunale ricorrente, il Senato della Repubblica non avrebbe correttamente inteso il concetto di nesso funzionale e, dunque, ai fatti per i quali è in corso il suddetto procedimento non sarebbe applicabile l’art. 68, primo comma, della Costituzione.
2. – La difesa del Senato, in prossimità dell’udienza, ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, sostenendo che il ricorrente non avrebbe precisato le espressioni del senatore ritenute non riconducibili al disposto di cui all’art. 68, primo comma, della Costituzione.
2.1 – L’eccezione di inammissibilità sollevata dal Senato della Repubblica è fondata.
2.2. – Il Tribunale civile di Roma, nell’atto introduttivo del presente giudizio, ha riprodotto solo alcuni stralci del contenuto testuale delle dichiarazioni rese extra moenia dal senatore interessato: contenuto necessario ai fini dell’accertamento della sussistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni del parlamentare e gli eventuali atti tipici.
2.3. – Inoltre, l’autorità giudiziaria ricorrente ha ricostruito il significato delle dichiarazioni del parlamentare attraverso una libera rielaborazione delle stesse, così realizzando «una impropria sovrapposizione tra l’oggettiva rilevanza delle opinioni espresse» dal senatore e «l’interpretazione soggettiva che ne è stata data» dall’autorità giudiziaria, che non consente di cogliere in modo esaustivo l’oggetto del contendere (così, in particolare, sentenza n. 79 del 2005).
2.4. – Le carenze descritte comportano la non autosufficienza dell’atto introduttivo del presente giudizio che si traduce, a norma dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), e dell’art. 26 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel difetto di un requisito essenziale del ricorso, che deve essere conseguentemente dichiarato inammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato proposto dal Tribunale civile di Roma nei confronti del Senato della Repubblica, indicato in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2007.