ORDINANZA N. 214
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), promosso con ordinanza del 9 maggio 2006 dalla Corte d’assise d’appello di Roma nel procedimento penale a carico di L. N.D. ed altri, iscritta al n. 451 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, prima serie speciale, edizione straordinaria, del 2 novembre 2006.
Udito nella camera di consiglio del 23 maggio 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che la Corte d’assise d’appello di Roma ha sollevato, in relazione agli artt. 3 e 111, comma secondo, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 1 e 10 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui inibiscono al pubblico ministero di proporre appello avverso sentenze di proscioglimento nel merito» ed impongono alla Corte d’appello di dichiarare l’inammissibilità degli appelli proposti dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge;
che la Corte rimettente – nel corso di un giudizio instaurato in esito all’impugnazione, da parte dell’organo dell’accusa, dei capi assolutori di una sentenza nei confronti di alcuni imputati ed a fronte delle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dalle parti civili e dal pubblico ministero − ritiene innanzitutto che la questione si palesi rilevante in quanto, in forza delle norme censurate, «andrebbe immediatamente dichiarata l’inammissibilità dell’appello proposto dal Procuratore della Repubblica avverso l’assoluzione in primo grado degli imputati»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il rimettente ritiene che la nuova formulazione dell’art. 593 cod. proc. pen., nella parte in cui inibisce all’organo dell’accusa l’appello avverso le sentenze di proscioglimento, risulti lesivo del principio di parità tra le parti sancito nel secondo comma dell’art. 111 Cost., difettando, senza alcuna ragionevole giustificazione, la reciprocità dei poteri: mentre, infatti, il pubblico ministero «è impossibilitato ad ottenere un nuovo giudizio di fatto avverso l’assoluzione di merito», tale possibilità è invece concessa al soccombente imputato, legittimato all’appello avverso la condanna;
che, in proposito, il giudice a quo rammenta come la Corte costituzionale abbia costantemente giustificato «limitazioni assai meno gravi ed incisive» poste all’appello del pubblico ministero dalla disciplina del giudizio abbreviato solo valorizzando la ragionevolezza «del bilanciamento dei sacrifici imposti alle parti dalla scelta di quel rito»; viceversa, nella situazione oggetto del dubbio di costituzionalità, la preclusione all’appello dell’organo dell’accusa «non appare equilibrata da alcun sacrificio dei poteri e diritti processuali dell’imputato, né da esigenze di rapida definizione del processo»;
che d’altra parte il «sacrificio della posizione del p.m.» non appare neppure ragionevolmente «compensato» dalla possibile deflazione dei «carichi di lavoro» o dalla contrazione dei tempi del processo: quanto al primo profilo, infatti, il nuovo regime delle impugnazioni è «fatalmente destinato» ad incrementare il carico di lavoro della Corte di cassazione, mentre, quanto al secondo, in esito all’abolizione dell’appellabilità da parte del pubblico ministero, per la definizione del processo, in caso di doglianza del pubblico ministero fondata, risulterebbero necessari cinque gradi di giudizio;
che, sotto tale profilo, la Corte rimettente deduce l’ulteriore contrasto della normativa censurata con il principio della ragionevole durata del processo e, dunque, la violazione, sotto diverso profilo, del medesimo comma secondo dell’art. 111 Cost.;
che, infine, il giudice a quo denuncia la violazione dell’art. 3 Cost. per contrasto con il principio di ragionevolezza: e ciò tanto sul rilievo che, mentre al pubblico ministero è garantito il potere di impugnazione in caso di condanna diversa da quella richiesta, esso viene negato nel caso di sentenza di proscioglimento, quanto sull’ulteriore considerazione che il potere di appellare in capo all’organo della pubblica accusa viene a dipendere dall’esistenza o meno di una impugnazione della costituita parte civile; invero, solo se quest’ultima decide di esercitare il potere di impugnativa della sentenza di proscioglimento, il ricorso della parte pubblica si converte automaticamente in appello, con possibilità, così, di un nuovo giudizio in fatto.
Considerato che il dubbio di costituzionalità sottoposto a questa Corte ha per oggetto la preclusione, conseguente alla modifica dell’art. 593 del codice di procedura penale ad opera dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46, dell’appello delle sentenze dibattimentali di proscioglimento da parte del pubblico ministero e l’immediata applicabilità di tale regime, in forza dell’art. 10 della legge, ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della medesima;
che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1 della legge 20 febbraio 2006, n. 46 (Modifiche al codice di procedura penale, in materia di inappellabilità delle sentenze di proscioglimento), «nella parte in cui, sostituendo l’art. 593 del codice di procedura penale, esclude che il pubblico ministero possa appellare contro le sentenze di proscioglimento, fatta eccezione per le ipotesi previste dall’art. 603, comma 2, del medesimo codice, se la nuova prova è decisiva», e dell’art. 10, comma 2, della citata legge n. 46 del 2006, «nella parte in cui prevede che l’appello proposto contro una sentenza di proscioglimento dal pubblico ministero prima della data di entrata in vigore della medesima legge è dichiarato inammissibile»;
che, alla stregua della richiamata pronuncia di questa Corte, gli atti devono essere pertanto restituiti al giudice rimettente per un nuovo esame della rilevanza della questione.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti alla Corte d’assise d’appello di Roma.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 18 giugno 2007.