ORDINANZA N. 176 ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dei commi 13 e 18 dell’art. 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come rispettivamente sostituiti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nel procedimento civile vertente tra Giovanni Kavalakis e la Prefettura di Genova promosso dalla Corte di cassazione con ordinanza del 3 maggio 2006, iscritta al n. 590 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell’anno 2007.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 9 maggio 2007 il Giudice relatore Luigi Mazzella.
Ritenuto che, con ordinanza del 3 maggio 2006, la Corte di Cassazione ha sollevato, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dei commi 13 e 18 dell’art. 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come rispettivamente sostituiti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui dette norme prevedono e sanzionano, quale illecito amministrativo, la condotta di chi, in possesso di patente di abilitazione alla guida di categoria B, guidi un veicolo per il quale è richiesta la patente di categoria A;
che, come riferisce la Corte rimettente, con ricorso al Giudice di pace di Genova del 21 dicembre 2001 G. K. aveva proposto opposizione avverso l’ordinanza-ingiunzione emessa in data 31 ottobre 2001 del Prefetto di Genova, con la quale gli era stata irrogata la sanzione amministrativa di lire 4.000.000 per la violazione di cui all’art. 116, commi 13 e 18, del codice della strada, accertata il 30 giugno dello stesso anno, perché, munito di patente di categoria B conseguita nel 2000, aveva circolato alla guida di un motociclo, di potenza pari a Kw 19,50, per cui era necessaria la patente di categoria A;
che in quella sede l’opponente aveva dedotto la non applicabilità alla fattispecie delle menzionate disposizioni e, in via subordinata, l’illegittimità costituzionale della stessa in relazione agli articoli 76 e 3 Cost., rispettivamente per eccesso di delega e per violazione dei principi di ragionevolezza e di eguaglianza;
che l’adito giudice, ritenuta la manifesta infondatezza delle eccezioni di illegittimità costituzionale e sussistenti gli estremi della contestata violazione, aveva tuttavia respinto l’opposizione;
che contro tale sentenza il K. aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo, con il primo motivo del ricorso, la violazione e falsa applicazione dell’art. 116, commi 13 e 18, del codice della strada e, con il secondo e subordinato motivo, l’illegittimità costituzionale delle norme predette, già denunciata in sede di merito;
che con il primo motivo il ricorrente, prendendo le mosse dalla sentenza della Corte costituzionale 10 gennaio 1997 n. 3, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità dell'art. 116, comma 13, del d.lgs. n. 285 del 1992, nel testo all’epoca vigente, nella parte in cui assoggettava a sanzione penale colui che, munito di patente di categoria B, C o D, guidasse un veicolo per il quale era richiesta la patente di categoria A, affermava che, a séguito di tale pronuncia, la guida di motocicli, per cui è richiesta la patente di tipo A, non costituisce più reato;
che, di conseguenza, proseguiva il ricorrente, la delega contenuta nella legge 25 giugno 1999, n. 205 (Delega al Governo per la depenalizzazione dei reati minori e modifiche al sistema penale e tributario), che conferiva al Governo l’incarico di depenalizzare alcuni reati previsti dal codice della strada, non avrebbe potuto comprendere, nella previsione del legislatore delegato, un comportamento non più costituente reato a séguito della citata pronuncia del giudice delle leggi;
che, con il secondo motivo di ricorso, in via subordinata, il ricorrente deduceva che, ove il predetto art. 116, comma 13, del codice della strada fosse ritenuto applicabile al caso in esame, esso avrebbe dovuto essere ritenuto costituzionalmente illegittimo, per eccesso di delega suddetta, poiché il legislatore delegato avrebbe potuto trasformare in illeciti amministrativi i soli fatti costituenti reato all’epoca della legge di delegazione e non avrebbe avuto il potere di prevedere nuove ipotesi di illecito amministrativo, quale la guida con patente di categoria B di motocicli di categoria A, ancorché corrispondenti a fatti originariamente configurati quali reato nel «nuovo codice della strada» del 1992;
che, secondo la Corte rimettente, l’interpretazione costituzionalmente orientata, proposta con il primo motivo di ricorso, non è praticabile dato che, a suo giudizio, nel particolare contesto normativo del codice della strada, vigente all’epoca del fatto, questo non poteva che essere sussunto sotto la previsione dell'art. 116, comma 13, del d.lgs. n. 285 del 1992, così come sostituito dall’art. 19, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 507 del 1999, che contempla quale illecito amministrativo il fatto di chi conduce «autoveicoli o motoveicoli senza avere conseguito la patente di guida»;
che infatti, secondo la Corte, tutte le altre analoghe ipotesi di violazioni relative al titolo abilitativo di guida, erano contemplate dall’art. 125 del codice medesimo, che le configurava, fin dalla sua originaria formulazione, quali illeciti amministrativi sanzionati con il pagamento di somme notevolmente inferiori a quelle previste per la guida senza patente, e tra tutte le altre ipotesi di guida di veicoli con patente diversa da quella prescritta per la corrispondente categoria, non figurava quella relativa alla guida di motoveicolo di categoria A con patente di tipo B. («Chiunque, munito di patente di categoria […] B, C o D guida un autoveicolo per il quale è richiesta una patente di categoria diversa da quella della patente di cui è in possesso...»);
che conseguentemente, tenuto conto che la disposizione di cui all’art. 125 si pone in rapporto di specialità rispetto a quella di cui all’art. 116, la fattispecie di guida di veicoli di categoria A da parte di soggetti muniti di patente B, non poteva che ritenersi compresa nell’ambito della previsione generale di cui all’art. 116, comma 13, relativa alla guida di veicoli senza aver conseguito la patente prescritta;
che tali considerazioni dovrebbero comportare, secondo la Corte rimettente, l’accoglimento della sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 116, commi 13 e 18, come sostituiti dall’articolo 19, comma 1 del d.lgs. n. 507 del 1999, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, per eccesso di delega, nella parte in cui tali norme si riferiscono anche al comportamento di chi, in possesso di patente di categoria B (o anche C e D), guidi motoveicoli per i quali è richiesta la patente di categoria A; dato che, al momento del conferimento della delega al Governo, contenuta nell’art. 5 comma 1, lett a) della legge n. 205 del 1999 in precedenza citata, finalizzata a «trasformare in violazioni amministrative [...] i reati di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992 n. 285, ad eccezione degli artt. 100, comma 14, 186, 187 e 189», la guida, con patente di categoria B, di motoveicoli richiedenti la patente di categoria A, non rientrava tra i fatti costituenti reato, ai sensi della vigente disciplina della circolazione stradale e, pertanto, non avrebbe potuto essere «depenalizzata», vale a dire trasformata in illecito amministrativo dal previsto intervento legislativo delegato;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;
che, osserva l’Avvocatura, la delega contenuta nella n. 205 del 1999 prevedeva non solo la trasformazione dell’illecito penale in illecito amministrativo nelle materie da essa indicate, ma anche la riforma complessiva delle discipline sanzionatorie nelle stesse materie;
che, inoltre, secondo l’Avvocatura, nella giurisprudenza della Corte costituzionale è stato più volte affermato il principio in base al quale le disposizioni della legge delega devono essere integrate con il criterio della ragionevolezza ed inoltre che tale criterio costituisce il parametro e il limite del potere di controllo e di intervento della Corte sull’esercizio in concreto della discrezionalità riconosciuta al legislatore delegato; che, nel caso in esame, con l’introduzione della norma censurata il legislatore delegato ha colmato una lacuna dell’ordinamento, creatasi per effetto della dichiarazione di incostituzionalità della previgente norma incriminatrice, e che quindi, nella specie, la discrezionalità del legislatore delegato doveva ritenersi esercitata in modo corretto e ragionevole.
Considerato che la Corte di cassazione dubita, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’articolo 116, commi 13 e 18 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, così come sostituiti dall’articolo 19, comma 1, lett. a) e b), del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), nella parte in cui detti commi prevedono e sanzionano, quale illecito amministrativo, la condotta di chi, in possesso di patente di abilitazione alla guida di categoria B, guidi un veicolo per il quale è richiesta la patente di categoria A;
che, secondo il rimettente, le norme censurate, proprio per effetto del predetto decreto legislativo, sono destinate ad applicarsi, oltre ai casi di guida senza patente tout court da esse testualmente previsti, anche alla fattispecie di guida di motoveicolo con patente inidonea, con conseguente applicazione a tale ultima fattispecie della stessa sanzione amministrativa prevista per la guida senza patente;
che secondo la Corte di cassazione, il citato decreto legislativo, determinando la sottoposizione della fattispecie di guida con patente B (o anche C o D) di motoveicolo per il quale è prescritta la patente di categoria A alla sanzione amministrativa da esso introdotta per le fattispecie di guida senza patente, avrebbe esorbitato dai limiti della legge delega, in violazione dell’art. 76 della Costituzione;
che, invero, prosegue il rimettente, la legge delega aveva conferito al Governo esclusivamente l’incarico di depenalizzare alcuni reati previsti dal codice della strada, trasformandoli in violazioni amministrative;
che, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale n. 3 del 1997, la guida di motocicli, richiedenti la patente di categoria A, da parte di chi è in possesso della patente di categoria B non costituisce più reato, per cui l’inquadramento di tale fattispecie nell’ambito della previsione dell’art. 116, commi 13 e 18, che avrebbe disposto il legislatore delegato del 1999, eccederebbe i limiti fissati dalla legge di delegazione;
che la questione sollevata dal rimettente poggia su una premessa interpretativa – l’applicabilità dell’art. 116, commi 13 e 18, alla ipotesi di guida di motoveicolo con cilindrata superiore a 125 cc da parte di soggetto in possesso di patente B –, che non è confortata dall’esegesi degli interventi normativi e delle decisioni di questa Corte in materia;
che, invero, in base alla formulazione originaria del decreto legislativo n. 285 del 1992, tutte le ipotesi di guida con patente diversa da quella prescritta erano regolamentate dall’art. 125, comma 3, il quale comminava una mera sanzione amministrativa, mentre l’art. 116, commi 13 e 18 erano riferibili esclusivamente alla fattispecie di guida senza alcun titolo abilitativo;
che successivamente, con le modificazioni apportate all’art. 125, comma 3, dal decreto legislativo 10 settembre 1993, n. 360 (Disposizioni correttive e integrative del codice della strada, approvato con decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285), il legislatore ha introdotto un’elencazione analitica delle ipotesi di guida con patente inidonea soggette a sanzione amministrativa ed ha escluso da tale elencazione proprio l’ipotesi di guida di motoveicolo con patente inidonea, in tal modo legittimando l’interpretazione dell’art. 116, comma 13, in base alla quale tale norma dovesse abbracciare anche l’ipotesi di guida di motoveicolo con patente inidonea;
che in seguito questa Corte (sentenza n. 246 del 1995), pur dichiarando l’inammissibilità della questione proposta per la sua interferenza con la discrezionalità del legislatore, aveva stigmatizzato l’irrazionalità di tale assimilazione quoad poenam della guida di moto con patente inidonea alle fattispecie di guida senza patente tout court, invitando il legislatore a provvedere alla differenziazione delle due tipologie di condotte;
che successivamente questa Corte, con la sentenza n. 3 del 1997, di fronte alla persistente inerzia del legislatore, dichiarava l’illegittimità costituzionale dell’art. 116, comma 13, del codice della strada, nella parte in cui puniva con la sanzione penale, colui che, munito di patente di categoria B, C o D, guida un veicolo per il quale è richiesta la patente di categoria A, avendo ritenuto arbitraria la previsione da parte del legislatore di una sanzione (penale) di maggiore gravità per tale condotta, rispetto alla sanzione amministrativa prevista per la condotta di chi, munito della stessa patente di categoria B, guida un autoveicolo per il quale sia richiesta una patente superiore;
che in tale quadro normativo e giurisprudenziale l’art. 19, comma 1, lettera a) del d.lgs. n. 507 del 1999, conformemente alla legge di delega, si è limitato a sostituire, nell’art. 116, comma 13, la sanzione amministrativa della somma da euro 2338 a euro 9357 alla sanzione penale precedentemente in vigore, ma ha lasciato del tutto inalterata la individuazione della condotta sanzionata dalla norma censurata, che, anche dopo la riforma del 1999, non comprende la guida di motoveicolo con patente diversa dalla A, così come già disposto dalla citata sentenza di questa Corte n. 3 del 1997 per quanto attiene al testo anteriore alla riforma;
che peraltro questa Corte (ordinanza n. 208 del 2004) ha avuto già modo di chiarire che con la sentenza n. 3 del 1997 non è stata solo dichiarata illegittima la sanzione penale prevista per la fattispecie di guida di motociclo con patente inidonea, ma è stata eliminata dall’ordinamento la stessa assimilazione tra guida senza patente e guida (di motoveicolo) con patente diversa da quella di categoria A, e che pertanto la fattispecie di guida di motoveicolo con cilindrata superiore a 125 cc, per il quale è richiesta patente di categoria A, da parte di soggetto munito di patente di categoria B, non è disciplinata, neppure dopo la riforma del 1999, dalla norma censurata dal rimettente;
che, inoltre, con l’art. 2, comma 3, lettera b), del decreto-legge 27 giugno 2003, n. 151 (Modifiche ed integrazioni al codice della strada) convertito, con modificazioni, dalla legge 1 agosto 2003, n. 214 (non applicabile, ratione temporis, alla fattispecie all’esame del rimettente), il legislatore ha esplicitamente disposto l’allargamento delle ipotesi di guida con patente inidonea di cui all’art. 125, comma 3, punite con la sanzione amministrativa lieve, fino a comprendervi la fattispecie di guida di motociclo con patente inidonea, per cui in ogni caso neppure nella disciplina attualmente in vigore la fattispecie sottoposta all’esame del giudice rimettente è disciplinata dalla norma censurata;
che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di rilevanza, perché la norma applicabile al caso sottoposto all’esame del rimettente non è l’art. 116, commi 13 e 18, come erroneamente il rimettente ritiene.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dei commi 13 e 18 dell’art. 116 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), come rispettivamente sostituiti dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’art. 19 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’articolo 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205), sollevata, in riferimento all’art. 76 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 maggio 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria l'1 giugno 2007.