ORDINANZA N. 147
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 7, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, promosso con ordinanza depositata il 10 maggio 2006 dalla Commissione tributaria provinciale di Bari, nel giudizio vertente tra la s.c.a.r.l. Mandeco e la Regione Puglia, iscritta al n. 533 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell'anno 2006.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2007 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione, da parte di una società consortile a responsabilità limitata, degli atti di contestazione dell’illecito – commesso nell’anno 2000 – e di richiesta del pagamento delle corrispondenti sanzioni, riguardanti l’omesso e ritardato versamento del tributo speciale per il deposito in discarica di cui all’art. 3, comma 24, della legge 28 dicembre 1995, n. 549, e all’art. 1 della legge della Regione Puglia 22 gennaio 1997, n. 5, la Commissione tributaria provinciale di Bari ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 25 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326;
che il suddetto art. 7, premette il giudice rimettente, stabilisce, al comma 1, che «Le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica» e, al comma 2, che «Le disposizioni del comma 1 si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data di entrata in vigore del presente decreto» (cioè alla data del 2 ottobre 2003, erroneamente indicata nell’ordinanza come «26 novembre 2003»);
che, quanto alla non manifesta infondatezza della sollevata questione, il medesimo rimettente afferma che la disposizione censurata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della violazione dei princípi di ragionevolezza e di certezza del diritto, perché «introduce la disciplina retroattiva della responsabilità sanzionatoria in capo alla società in violazione di quanto, invece, prevede l’ordinamento tributario in tema di irretroattività della legge tributaria»;
che, in proposito, il giudice a quo – pur prendendo atto che la giurisprudenza costituzionale ha negato che il divieto di retroattività della legge, al di fuori di quanto stabilito per la legge penale dall’art. 25 Cost., costituisca un principio riconosciuto dalla Costituzione – osserva che «la retroattività della responsabilità dell’ente a fatti pregressi all’entrata in vigore del D.L. n. 269/03 conv. nella L. n. 326/03 viola l’art. 25 della Costituzione atteso lo stampo penalistico della disciplina sanzionatoria amministrativa del D.Lgs. n. 472/97 su cui ha inciso il richiamato art. 7, senza, peraltro, mutarne la natura»;
che, inoltre, la disposizione denunciata, contrasterebbe sia con l’art. 23 Cost., perché nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base ad una previa legge; sia con l’art. 77 Cost., perché è stata introdotta nell’ordinamento con un decreto-legge, «verosimilmente per una scelta politica»;
che, quanto alla rilevanza, il giudice a quo osserva che alla disposizione censurata non è possibile dare un’interpretazione che ne escluda l’efficacia retroattiva e, quindi, l’applicabilità alla fattispecie oggetto del giudizio principale;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, ad avviso della difesa erariale, la questione è inammissibile con riferimento all’art. 77 Cost., perché l’ordinanza di rimessione non deduce la mancanza dei requisiti straordinari di necessità e d’urgenza sulla base dei quali il decreto-legge è stato adottato;
che, per la stessa difesa erariale, la medesima questione è infondata con riferimento all’art. 23 Cost., perché il principio di legalità è rispettato anche nel caso in cui la disposizione che impone la prestazione sia contenuta in un decreto-legge, e cioè in un atto avente forza di legge;
che del pari infondata sarebbe poi, sempre ad avviso dell’Avvocatura generale dello Stato, la censura proposta con riferimento all’art. 25 Cost., data la natura pacificamente non penale delle sanzioni oggetto del giudizio principale;
che, infine, quanto alla denunciata violazione del principio di ragionevolezza, la difesa erariale osserva che l’art. 7, comma 1, del decreto-legge n. 269 del 2003 è intervenuto in un contesto normativo in cui era bensí previsto che la responsabilità per le sanzioni tributarie fosse a carico dell’autore materiale della violazione, ai sensi dell’art. 2, comma 2, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), ma non era nemmeno escluso che la medesima responsabilità potesse gravare, ai sensi dell’art. 11 dello stesso decreto legislativo, anche sulla persona giuridica nell’interesse della quale l’autore materiale della violazione avesse agito;
che pertanto, conclude l’Avvocatura generale dello Stato, la Commissione tributaria di Bari è incorsa, sul punto, in un difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, perché non ha precisato se la società ricorrente, in base alla disciplina previgente, era responsabile dell’illecito, in solido con l’autore materiale.
Considerato che la Commissione tributaria provinciale di Bari dubita, in riferimento agli artt. 3, 23, 25 e 77 della Costituzione, della legittimità dell’art. 7, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, il quale stabilisce che il principio, posto dal comma 1 del suddetto art. 7 – secondo cui le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica – si applica anche alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata ancora irrogata alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge, cioè alla data del 2 ottobre 2003;
che, ad avviso del giudice rimettente, la disposizione denunciata si pone in contrasto con l’art. 3 Cost., sotto il profilo della inosservanza dei princípi di ragionevolezza e di certezza del diritto, perché «introduce la disciplina retroattiva della responsabilità sanzionatoria in capo alla società in violazione di quanto, invece, prevede l’ordinamento tributario in tema di irretroattività della legge tributaria»;
che, per il giudice a quo, la disposizione censurata si pone altresì in contrasto sia con l’art. 23 Cost., perché nessuna prestazione patrimoniale può essere imposta se non in base ad una legge che «deve precedere nel tempo i suoi effetti nonché i riflessi nella sfera patrimoniale del contribuente»; sia con l’art. 25 Cost., «atteso lo stampo penalistico della disciplina sanzionatoria amministrativa del D.Lgs. n. 472/97 su cui ha inciso, senza, peraltro, mutarne la natura», il citato art. 7 del decreto-legge n. 269 del 2003; sia, infine, con l’art. 77 Cost., perché essa è stata introdotta nell’ordinamento mediante un decreto-legge, «verosimilmente per una scelta politica, capovolgendo i criteri di imputazione della sanzione amministrativa spostandoli dalla figura soggettiva dell’autore della violazione in favore del beneficiario della stessa violazione»;
che la questione è manifestamente inammissibile per carente motivazione sulla rilevanza;
che il rimettente muove dalla premessa che la società ricorrente è responsabile per le sanzioni tributarie oggetto del giudizio a quo esclusivamente per effetto della norma denunciata;
che lo stesso rimettente omette, però, di considerare che, al momento della violazione contestata alla contribuente (cioè nell’anno 2000 e, quindi, prima dell’entrata in vigore della disposizione denunciata), vigeva l’art. 11 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 (Disposizioni generali in materia di sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie, a norma dell’articolo 3, comma 133, della legge 23 dicembre 1996, n. 662);
che tale articolo dispone che, nel caso di violazione incidente sulla determinazione o sul pagamento del tributo, l’ente collettivo, con o senza personalità giuridica, è responsabile di detta violazione, in solido con l’autore materiale di essa che ha agito nell’esercizio delle funzioni di dipendente, rappresentante o amministratore, anche di fatto, dell’ente collettivo stesso, «salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti»;
che, in conseguenza della mancata valutazione della disciplina di cui al suddetto art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997, il rimettente solleva la questione senza precisare se, in base a tale disposizione, la società ricorrente nel giudizio principale era responsabile o no della violazione tributaria in solido con l’autore materiale di essa;
che il difetto di tale precisazione impedisce alla Corte di accertare se la responsabilità della società ricorrente sia da riferire esclusivamente all’efficacia retroattiva della norma denunciata ovvero se la medesima società fosse responsabile già in base alla normativa vigente al momento della violazione;
che la riscontrata lacuna dell’ordinanza di rimessione si risolve nel difetto di motivazione sulla rilevanza della questione, perché, ove la società ricorrente fosse stata responsabile per le sanzioni alla stregua dell’art. 11 del d.lgs. n. 472 del 1997, la denunciata retroattività non comporterebbe alcuna nuova responsabilità della stessa società per le sanzioni ad essa inflitte.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Per questi motivi
La Corte costituzionale
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 7, comma 2, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e la correzione dell’andamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 25 e 77 della Costituzione, dalla Commissione provinciale di Bari con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2007.