ORDINANZA N. 128
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 407 e 408 del codice civile e dell’art. 716 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 6 febbraio 2006 dal Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, nel procedimento relativo a B.R., iscritta al n. 476 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 45, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che il Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, nel corso del procedimento originato dal ricorso presentato personalmente da B.U. nell’interesse della sorella B.R., «e così, ai sensi degli artt. 406 e 417 c.c., secondo quanto ritenuto dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Venezia, ove l’atto era stato depositato» – ricorso nel quale è stata rappresentata la condizione di invalidità al 100 per cento, documentata da certificato medico-legale, nella quale irrimediabilmente versava B.R., affetta da «cerebropatia con oligofrenia ed afasia per cui è totalmente compromessa la vita di relazione e necessita di accompagnamento» –, con ordinanza del 6 febbraio 2006, ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 407 e 408 del codice civile, nel testo introdotto dall’art. 3 della legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali), e 716 del codice di procedura civile, nella parte in cui non impongono, a favore della persona interessata, l’assistenza tecnica da parte di un patrocinatore legale nel procedimento per la istituzione dell’amministrazione di sostegno;
che il giudice a quo, rilevato che il ricorso introduttivo non è stato presentato da un legale patrocinatore munito di procura, e che l’interessata è priva dell’assistenza di un difensore con il quale stare in giudizio, ai sensi dell’art. 82 cod. proc. civ., nella procedura di cui si tratta, afferma di aderire alla tesi, che definisce prevalente tra i giudici di merito, secondo la quale la sfera di applicazione dell’amministrazione di sostegno non è coincidente con quella dei due tradizionali istituti della interdizione e della inabilitazione;
che detti istituti, quindi, secondo il rimettente, conservano un proprio ambito di operatività, che i giudici devono essere in grado di individuare alla luce dei parametri generali della necessità/adeguatezza e della minore invasività possibile della misura di protezione da applicare;
che, in particolare, il rimettente pone l’accento sulla estensione del potere interdittivo del giudice, sulla natura e sulla quantità degli atti e negozi giuridici del beneficiario sui quali la misura di protezione è destinata ad incidere, quali elementi decisivi ai fini della distinzione tra i diversi ambiti di applicazione degli istituti in esame;
che tale impostazione si pone in contrasto – come segnalato dallo stesso rimettente – con altra opzione ermeneutica, secondo la quale all’amministratore di sostegno, ove necessario e per il tempo necessario, possono essere affidati gli stessi generalizzati poteri di rappresentanza esclusiva che competono al tutore, potendo detto amministratore sostituire il beneficiario nel compimento di alcuni atti giuridicamente rilevanti, o perfino della generalità di tali atti;
che, peraltro, l’adesione a tale indirizzo ermeneutico comporterebbe che il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno mantenga comunque la propria natura amministrativa, non svolgendo il giudice tutelare che provvede a detta nomina compiti giurisdizionali né di accertamento sullo stato di capacità/incapacità del beneficiario, con la conseguenza che il procedimento in questione non richiederebbe il patrocinio difensivo obbligatorio della persona interessata, non trovando in esso applicazione l’art. 82 cod. proc. civ.;
che il giudice a quo contesta, anzitutto, la riduzione della funzione del giudice tutelare a organo amministrativo che si limita a dare quanto gli viene richiesto, senza avere il potere-dovere di accertare la sussistenza del presupposto giustificativo della misura di protezione, al fine di valutare se, ed in quale misura, conferire all’amministratore di sostegno poteri di rappresentanza esclusiva e di assistenza necessaria, ovvero se detti poteri debbano essere così estesi e generalizzati da rendere necessaria la nomina di un tutore, e di avvalersi, per compiere tale valutazione, dell’ausilio della scienza medica, attraverso l’affidamento di incarico peritale;
che il rimettente non ritiene fungibili i generalizzati poteri di rappresentanza ed assistenza facenti capo al tutore con quelli attribuiti all’amministratore di sostegno, invocando, a sostegno della propria tesi, la sentenza della Corte costituzionale n. 440 del 2005, e sostenendo che essa ha escluso che la misura dell’amministrazione di sostegno attribuisca al beneficiario uno status di incapacità, determinato, invece, dagli istituti tradizionali dell’interdizione e della inabilitazione, e ritenendo che l’amministrazione di sostegno comporti solo una limitazione della capacità di agire;
che, ciò premesso, rileva il giudice a quo che, ogni volta che oggetto sostanziale del procedimento sia una situazione soggettiva consistente in uno status, incidente sulla capacità legale della persona, la relativa tutela non può prescindere dalla osservanza delle regole in tema di patrocinio delle parti nel giudizio, trattandosi di situazione giuridica tutelabile in giudizio alla stregua di un diritto soggettivo, in quanto bene giuridico attribuito direttamente dall’ordinamento, che impinge nella sfera di libertà ed autodeterminazione del singolo tutelata dalla Costituzione quale espressione diretta della persona umana;
che la minore invasività dell’amministrazione di sostegno nella sfera di libertà della persona, prosegue il rimettente, limita, senza, però, escluderla, la incidenza sulla capacità di agire del soggetto, giustificando il ragionamento analogico che estende al nuovo istituto di protezione le garanzie difensive previste per il procedimento di interdizione;
che nessuna incidenza eserciterebbe sulla esigenza del rispetto delle garanzie difensive la forma camerale del procedimento, dovendosi piuttosto avere riguardo all’oggetto sostanziale dello stesso;
che, peraltro, aggiunge il giudice a quo, la legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno non contiene alcuna previsione che consenta di sopperire alla mancata nomina di un difensore, la cui presenza è prevista solo come facoltativa, in quanto l’art. 716 cod. proc. civ., applicabile anche all’amministratore di sostegno, ai sensi del richiamo ad esso operato dall’art. 720-bis dello stesso codice, inserito dall’art. 17 della legge n. 6 del 2004, abilita anche il beneficiario a stare in giudizio e compiere da solo tutti gli atti del procedimento;
che la situazione sarebbe, poi, aggravata dalla circostanza che nel procedimento in questione, contrariamente a quanto avviene nella interdizione, l’audizione del beneficiario non deve necessariamente svolgersi alla presenza del pubblico ministero;
che la esigenza dell’assistenza del difensore verrebbe meno solo se si ridimensionasse la portata operativa degli effetti della misura di cui si tratta: ma ciò non sarebbe possibile, poiché al beneficiario dell’amministrazione di sostegno viene “interdetto” il compimento di determinati atti di straordinaria amministrazione, e lo stesso viene “inabilitato” al compimento, senza assistenza, di determinati atti di ordinaria amministrazione;
che la citata legge n. 6 del 2004 non consentirebbe, secondo il giudice a quo, di attribuire alla volontà ed alla libera determinazione del beneficiario un potere paralizzante nei confronti della procedura di nomina dell’amministratore, in assenza di una espressa disposizione in tal senso;
che dalle riportate considerazioni deriva al rimettente il dubbio di illegittimità costituzionale, per contrasto con gli articoli 2, 3 e 24 Cost., degli articoli 407 e 408 cod. civ. e 716 cod. proc. civ., regolanti il procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno;
che nel giudizio innanzi alla Corte ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la infondatezza della questione.
Considerato che il Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, dubita della legittimità costituzionale degli articoli 407 e 408 del codice civile, nel testo introdotto dall’art. 3 della legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali) e 716 del codice di procedura civile, nella parte in cui non impongono, a favore della persona interessata, l’assistenza tecnica da parte di un patrocinatore legale nel procedimento per la istituzione dell’amministrazione di sostegno, per violazione: dell’art. 2 della Costituzione, in quanto delineano un procedimento che dà luogo a provvedimenti incidenti sulla capacità legale della persona – situazione giuridica tutelabile in giudizio alla stregua di un diritto soggettivo, in quanto bene giuridico attribuito direttamente dall’ordinamento, che impinge nella sfera di libertà e di autodeterminazione del singolo tutelata dalla Costituzione quale espressione diretta della persona umana – in assenza della osservanza delle regole in tema di patrocinio delle parti nel giudizio; degli artt. 3 e 24 Cost., per la mancata garanzia della difesa in giudizio dell’interessato;
che il rimettente, nel ritenere che il procedimento per l’apertura dell’amministrazione di sostegno dovrebbe richiedere l’obbligatoria difesa tecnica – pena la incostituzionalità della relativa normativa – dà conto del contrasto esistente nella giurisprudenza di merito sulla interpretazione della normativa censurata, senza, però, in alcun modo farsi carico di chiarire le ragioni per le quali non condivide la opzione ermeneutica seguita da alcuni giudici di merito, che, parimenti convinti della necessità dell’assistenza del difensore, hanno dato una lettura costituzionalmente orientata della normativa medesima, interpretandola nel senso che essa richiede tale assistenza;
che il giudice a quo ha quindi omesso di verificare la possibilità di pervenire, in via interpretativa, ad una soluzione conforme a Costituzione (si vedano, tra le altre, le ordinanze n. 244 e n. 187 del 2006), come del resto ha fatto, successivamente all’ordinanza di rimessione, la Corte di cassazione, la quale, con la sentenza n. 25366 del 2006, ha affermato il principio di diritto secondo cui «il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno, il quale si distingue, per natura, struttura e funzione, dalle procedure di interdizione e di inabilitazione, non richiede il ministero del difensore nelle ipotesi, da ritenere corrispondenti al modello legale tipico, in cui l’emanando provvedimento debba limitarsi ad individuare specificamente i singoli atti, o categorie di atti, in relazione ai quali si richiede l’intervento dell’amministratore; necessitando, per contro, della difesa tecnica ogni qualvolta il decreto che il giudice ritenga di emettere, sia o non corrispondente alla richiesta dell’interessato, incida sui diritti fondamentali della persona, attraverso la previsione di effetti, limitazioni o decadenze, analoghi a quelli previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, per ciò stesso incontrando il limite del rispetto dei principi costituzionali in materia di diritto di difesa e del contraddittorio»;
che la mancata verifica da parte del giudice a quo della possibilità di una interpretazione costituzionalmente orientata della normativa censurata rende manifestamente inammissibile la questione.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli articoli 407 e 408 del codice civile, nel testo introdotto dall’art. 3 della legge 9 gennaio 2004, n. 6 (Introduzione nel libro primo, titolo XII, del codice civile del capo I, relativo all'istituzione dell'amministrazione di sostegno e modifica degli articoli 388, 414, 417, 418, 424, 426, 427 e 429 del codice civile in materia di interdizioni e di inabilitazione, nonché relative norme di attuazione, di coordinamento e finali), e 716 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice tutelare presso il Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Chioggia, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 aprile 2007.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 19 aprile 2007.