ORDINANZA N. 84
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), promossi con n. 13 ordinanze del 22 giugno 2005 dal Giudice di pace di Roma, rispettivamente iscritte ai nn. da 196 a 208 del registro ordinanze 2006 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 26 e 27, prima serie speciale, dell’anno 2006.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 24 gennaio 2007 il Giudice relatore Maria Rita Saulle.
Ritenuto che con tredici ordinanze di identico contenuto, depositate il 22 giugno 2005 e pronunciate nel corso di altrettanti procedimenti relativi alla convalida dei decreti di espulsione emessi nei confronti di diversi cittadini extracomunitari, il Giudice di pace di Roma ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non prevede la nomina di un difensore di ufficio iscritto nelle liste speciali al momento dell’emissione del decreto prefettizio di espulsione;
che, a parere del rimettente, la norma censurata violerebbe l’art. 24, secondo comma, della Costituzione, in quanto non sarebbe sufficiente, a garanzia del diritto di difesa del destinatario del decreto di espulsione, la mera informativa del diritto ad essere assistito da un difensore di fiducia;
che la lesione del diritto di difesa, sempre secondo il rimettente, sarebbe ulteriormente aggravata dal fatto che il provvedimento di espulsione e quelli ad esso connessi incidono sulla libertà personale dello straniero destinatario di tali atti, non potendosi confinare la tutela di detto diritto al solo ed eventuale successivo giudizio di convalida;
che, sempre in riferimento all’art. 24 della Costituzione, il rimettente, evocando l’art. 13 della Costituzione, osserva che la garanzia del diritto di difesa assume maggior rilievo in tutti quei casi in cui un soggetto risulti destinatario di un provvedimento limitativo o, comunque, restrittivo della libertà personale;
che, per il giudice a quo, la norma denunciata violerebbe, altresì, il principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 della Costituzione, poiché il decreto di espulsione, sebbene sia un atto amministrativo, in considerazione degli effetti che da esso derivano, deve essere equiparato agli atti aventi natura penale e, per tale motivo, deve contenere la nomina di un difensore per il destinatario;
che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, in via preliminare, la difesa erariale, rilevato che il rimettente non ha fornito alcuna descrizione delle fattispecie sottoposte al suo giudizio, eccepisce l’irrilevanza della questione, in quanto, da un lato, la norma censurata attiene ad una fase del procedimento di espulsione anteriore al giudizio di convalida, risultando quindi inidonea ad influenzarne l’esito e, dall’altro, rientra tra i poteri del giudice a quo, proprio nel corso del suddetto giudizio, verificare la legittimità del procedimento;
che, nel merito, l’Avvocatura ritiene la questione manifestamente infondata, poiché la norma denunciata è espressione della discrezionalità del legislatore che, nel disciplinare il fenomeno dell’immigrazione, tenuto conto dei diversi interessi pubblici coinvolti, ha inteso privilegiare l’effettività del decreto emesso dal prefetto, essendo, comunque, l’intero procedimento di espulsione assistito da idonea tutela giurisdizionale;
che proprio la richiesta del rimettente di anticipare al momento dell’emissione del decreto di espulsione, avente natura di atto amministrativo, le garanzie tipiche delle fasi giurisdizionali determinerebbe una disparità di trattamento rispetto ad altri provvedimenti restrittivi della libertà personale, come l’arresto e il fermo, non assistiti da identica garanzia.
Considerato che il Giudice di pace di Roma dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dell’art. 13, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui non prevede la nomina di un difensore di ufficio iscritto nelle liste speciali al momento dell’emissione del decreto prefettizio di espulsione;
che le ordinanze di rimessione propongono la medesima questione, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione;
che, in via preliminare, vanno disattese le eccezioni di inammissibilità prospettate dalla difesa erariale, avendo il rimettente fornito una sufficiente descrizione delle fattispecie sottoposte al suo giudizio, dovendo, altresì, il giudice a quo fare applicazione della norma impugnata;
che, quanto alla dedotta violazione dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione, il diritto di difesa, quale diritto inviolabile, è garantito nella sua effettività nell’ambito di qualsiasi procedimento giurisdizionale ove sia in questione una posizione giuridica sostanziale tutelata dall’ordinamento (sentenza n. 12 del 1997), laddove la norma censurata disciplina una fase amministrativa; pertanto, essendo solo eventuale il ricorso all’autorità giudiziaria, la disciplina impugnata non può ritenersi in contrasto con il dedotto parametro, in quanto il destinatario del decreto di espulsione è posto nelle condizioni di potersi avvalere dei rimedi giurisdizionali che l’ordinamento appresta a difesa dei suoi diritti;
che il richiamo all’art. 13 della Costituzione – e alla necessità che il diritto di difesa sia maggiormente garantito nei casi in cui vengano in esame provvedimenti che incidono sulla libertà personale – non sostiene, per come prospettato dal rimettente, una autonoma censura, ma deve intendersi riferito alla più ampia questione relativa alla violazione dell’art. 24 della Costituzione;
che, quanto alla presunta violazione dell’art. 3 della Costituzione, il rimettente, denunciando l’ingiustificata disparità di trattamento che la norma censurata determinerebbe per il destinatario del decreto di espulsione rispetto al destinatario di un atto avente natura penale, pone a raffronto fattispecie assolutamente eterogenee;
che, quindi, la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Giudice di pace di Roma va dichiarata manifestamente infondata, in quanto nessuno dei parametri evocati risulta violato dalla norma censurata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 7, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Roma con le ordinanze in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 marzo 2007.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Maria Rita SAULLE, Redattore
Depositata in Cancelleria il 16 marzo 2007.