ORDINANZA N. 34
ANNO 2007
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai Signori:
- Giovanni Maria FLICK Presidente
- Francesco AMIRANTE Giudice
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
- Paolo Maria NAPOLITANO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 645 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 6 dicembre 2004 dalla Corte di cassazione nel procedimento civile vertente tra la S.r.l. Casa di cura Villa Chiarugi e l’I.N.P.S., iscritta al n. 185 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 15, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di costituzione dell’I.N.P.S.;udito nell’udienza pubblica del 5 dicembre 2006 il Giudice relatore Dr. Alfio Finocchiaro;
udito l’avvocato Antonietta Coretti per l’I.N.P.S..
Ritenuto che, nel corso del procedimento civile originato dalla opposizione proposta dalla Casa di cura Villa Chiarugi s.r.l., ai sensi dell’art. 645 del codice di procedura civile, al decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti dal Pretore di Nocera Inferiore su ricorso dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale per il pagamento di contributi previdenziali omessi relativamente al periodo dal 1 gennaio 1980 al 31 dicembre 1990, e relative sanzioni civili, la Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza del 6 dicembre 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 645 del codice di procedura civile, nella parte in cui dette norme non consentono la proposizione del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo, emesso su richiesta di ente previdenziale per crediti aventi ad oggetto contributi omessi e relative sanzioni, anche mediante utilizzo del servizio postale ai fini del deposito del ricorso nella cancelleria del giudice competente;che il giudice a quo premette che, nella specie, il decreto ingiuntivo era stato notificato il 5 settembre 1992 alla società ingiunta, la quale aveva proposto opposizione inviando il relativo ricorso a mezzo del servizio postale al cancelliere del giudice competente, il quale aveva ricevuto l’atto il 25 settembre successivo, e, quindi, entro il termine perentorio di venti giorni stabilito dall’art. 641 del codice di procedura civile (nel testo all’epoca vigente);
che il Pretore aveva dichiarato inammissibile la opposizione, con decisione confermata dal Tribunale di Nocera Inferiore, che aveva rigettato l’appello della società, sul rilievo che la spedizione del ricorso a mezzo del servizio postale non costituiva valida modalità di deposito dell’atto stesso, dovendo questo avvenire mediante consegna materiale dell’atto a mani del cancelliere, sicché la prescelta modalità di proposizione dell’opposizione al decreto era da ritenersi affetta da nullità ai sensi dell’art. 156, secondo comma, del codice di procedura civile, nullità non sanata dalla pur avvenuta iscrizione a ruolo della causa;
che la soccombente società ha proposto ricorso per cassazione sollevando, in memoria, questione di legittimità costituzionale dell’art. 415 del codice di procedura civile per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui detta norma non consente l’utilizzo del mezzo postale per la proposizione del ricorso;
che il Collegio rimettente rileva che l’art. 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) consente agli enti ed istituti gestori delle forme di previdenza ed assistenza obbligatorie, al fine di conseguire il pagamento dei contributi e dei premi non versati e delle somme aggiuntive previste dalle leggi vigenti a titolo di sanzione civile, di emettere la ordinanza-ingiunzione prevista dall’art. 18 della stessa legge, avverso la quale può essere proposta opposizione innanzi al giudice del lavoro, nel termine stabilito dall’art. 22, soggetta, per esplicita previsione del quarto comma dell’art. 35 citato, alle disposizioni del terzo comma dello stesso art. 22, secondo il quale l’opposizione si propone mediante ricorso al quale è allegata l’ordinanza notificata, nonché alla disposizione del quarto comma dell’art. 23, facoltizzante l’opponente a stare in giudizio personalmente;
che, alla stregua di tali richiami normativi, il giudice a quo ritiene che la pronuncia contenuta nella sentenza n. 98 del 2004, che ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 22 della legge n. 689 del 1981, nella parte in cui non consente l’utilizzo del servizio postale per la proposizione dell’opposizione, «riguarda proprio, attenendo alle modalità concrete di tale proposizione, la norma sulla proposizione del ricorso contenuta nel terzo comma dello stesso art. 22, richiamato espressamente dal citato art. 35, quarto comma, ed inoltre si fonda anche sulla peculiarità della norma attributiva all’opponente della facoltà di stare in giudizio personalmente»;
che, poiché è rimessa alla discrezionalità dell’ente previdenziale che vanti crediti per contributi omessi e intenda agire per il recupero nei confronti del debitore la scelta di avvalersi della speciale procedura che consente di emettere l’ordinanza-ingiunzione di cui al citato art. 35, ovvero di ricorrere, come nel caso di specie, al procedimento sommario di ingiunzione disciplinato dagli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile, sarebbe indubbia la posizione processuale di maggior favore per il destinatario dell’ordinanza-ingiunzione, che – per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 98 del 2004 – può proporre l’opposizione utilizzando il servizio postale, rispetto al destinatario del decreto ingiuntivo, tenuto ad eseguire il deposito secondo le ordinarie norme procedurali;
che, infatti, quest’ultimo, dovendo accedere necessariamente, ed a mezzo di procuratore – salve le ipotesi eccezionali di consentita difesa personale - nella cancelleria del giudice competente al fine di effettuare la consegna materiale dell’atto di opposizione, si troverebbe a dover far fronte a difficoltà pratiche ed a costi economici di regola notevolmente superiori a quanto non comporti la prima ipotesi, specialmente laddove il foro dell’opposizione non coincida con il luogo di residenza dell’opponente, vedendo così ostacolato e reso più gravoso l’esercizio del proprio diritto di difesa in giudizio;
che, così precisata e delimitata la questione di legittimità costituzionale rispetto alla prospettazione della parte, la Corte di cassazione ritiene non manifestamente infondato il dubbio di illegittimità costituzionale, sotto il profilo della irragionevole e non giustificata disparità di trattamento nella difesa giudiziale in danno del destinatario del decreto ingiuntivo rispetto alla posizione del destinatario della ordinanza ingiunzione emessa ai sensi dell’art. 35 della legge n. 689 del 1981, per contrasto con l’art. 3, nonché con l’art. 24 della Costituzione;
che nel giudizio innanzi a questa Corte si è costituito l’I.N.P.S., che ha concluso per la infondatezza della questione sollevata, rilevando, fra l’altro, che il processo del lavoro è regolato da norme processuali peculiari, solo in parte coincidenti con quelle che disciplinano il procedimento di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e che, tra l’altro, non è data facoltà al ricorrente di stare in giudizio personalmente, facoltà concessa nel giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione.
Considerato che la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale degli artt. 415 e 645 del codice di procedura civile, nella parte in cui non consentono la proposizione del ricorso in opposizione a decreto ingiuntivo, emesso su richiesta di ente previdenziale per crediti aventi ad oggetto contributi omessi e relative sanzioni, anche mediante utilizzo del servizio postale ai fini del deposito del ricorso nella cancelleria del giudice competente, per violazione degli artt. 3 e 24 della Costituzione;
che la normativa censurata darebbe luogo, secondo il Collegio rimettente, ad una irragionevole ed ingiustificata disparità di trattamento nella difesa giudiziale in danno del destinatario del decreto ingiuntivo rispetto alla posizione di chi, per scelta discrezionale dell’ente previdenziale creditore, sia invece destinatario, in relazione a crediti di uguale natura, della ordinanza-ingiunzione ai sensi dell’art. 35 della legge 24 novembre 1981, n. 689, opponibile con ricorso inviato anche a mezzo del servizio postale, e, pertanto, messo in condizione di maggiore facilità di accesso alla tutela giudiziaria e di minore difficoltà nell’esercizio del diritto di difesa;
che l’ente previdenziale, per la riscossione di crediti aventi ad oggetto contributi omessi e relative sanzioni – anche dopo l’abrogazione dell’ultimo comma dell’art. 35 della legge n. 689 del 1981 ad opera dell’art. 37 del decreto legislativo 26 febbraio 1999, n. 46 (Riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, a norma dell’articolo 1 della legge 28 settembre 1998, n. 337) – ha possibilità di scegliere fra l’ordinanza-ingiunzione, nei confronti della quale si può proporre opposizione, a seguito della declaratoria di incostituzionalità dell’art. 22 della stessa legge n. 689 del 1981 (sentenza n. 98 del 2004), con ricorso che può anche essere inviato alla cancelleria del giudice competente a mezzo del servizio postale, e il decreto ingiuntivo di cui agli artt. 633 e seguenti del codice di procedura civile, avverso il quale è proponibile l’opposizione ex art. 645 dello stesso codice, con osservanza delle regole del procedimento ordinario dinanzi al giudice adito e, quindi, anche dell’art. 415 del codice di procedura civile, che prevede il deposito dell’atto introduttivo nella cancelleria;
che l’opzione riconosciuta all’ente previdenziale fra i due procedimenti, per il raggiungimento del medesimo scopo (riscossione di crediti aventi ad oggetto contributi omessi e relative sanzioni), non impone l’adozione di identica disciplina per quanto attiene alle modalità di proposizione dell’opposizione ove si tenga presente che solo il primo, e non anche il secondo, facoltizza l’opponente a stare in giudizio personalmente, sulla base del combinato disposto degli artt. 35, comma 4, e 23, comma 4, della legge n. 689 del 1981;
che non è invocabile il precedente costituito dalla sentenza n. 98 del 2004, la quale, nel sottolineare la esigenza, di carattere costituzionale, che le norme che determinano cause di inammissibilità degli atti introduttivi dei giudizi siano in armonia con lo specifico sistema processuale cui si riferiscono e non frappongano ostacoli all’esercizio del diritto di difesa non giustificati dal preminente interesse pubblico ad uno svolgimento del processo adeguato alla funzione ad esso assegnata, ha rilevato che il procedimento di opposizione all’ordinanza-ingiunzione di pagamento, quale disciplinato dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, si caratterizza per una semplicità di forme del tutto peculiare, all’evidenza intesa a rendere il più possibile agevole l’accesso alla tutela giurisdizionale nella specifica materia; e che, in relazione a tale semplificata struttura processuale, la previsione del necessario accesso dell’opponente (o del suo procuratore) alla cancelleria del giudice competente al fine di depositare personalmente il ricorso – con esclusione della possibilità di utilizzo, a tale scopo, del servizio postale, viceversa largamente impiegato dalla parte pubblica per le proprie comunicazioni e notifiche – è apparsa incongrua nel suo formalismo, e perciò lesiva del generale canone di ragionevolezza, oltre che idonea a costituire – in palese contrasto con la ratio legis – fattore di dissuasione anche di natura economica dall’utilizzo del mezzo di tutela giurisdizionale, in considerazione, tra l’altro, dei costi, del tutto estranei alla funzionalità del giudizio, che l’intervento personale può comportare nei casi, certamente non infrequenti, in cui il foro dell’opposizione non coincida con il luogo di residenza dell’opponente;
che non rientra, invece, in un medesimo quadro di semplificata struttura processuale il rito del lavoro – pur caratterizzato da una maggiore snellezza rispetto a quello ordinario – avuto soprattutto riguardo alla esclusione della facoltà di stare in giudizio personalmente, che, nella economia della richiamata decisione della Corte, assume un ruolo decisivo quale elemento di semplificazione processuale caratterizzante la procedura di opposizione alla ordinanza-ingiunzione irrogativa di sanzione amministrativa (art. 23, quarto comma, della legge n. 689 del 1981);
che è, quindi, da escludere che la procedura per la opposizione a sanzione amministrativa di cui all’art. 22 della legge n. 689 del 1981 e quella di opposizione a decreto ingiuntivo in relazione alle somme dovute per violazioni delle disposizioni in materia di previdenza ed assistenza obbligatoria siano assimilabili, se non quanto alle violazioni che vi danno rispettivamente luogo, sì da rendere irragionevole il diverso regime relativo alle modalità di deposito dell’atto introduttivo delle rispettive controversie, che esclude, per la seconda, la deroga alla regola generale prevista per la prima;
che l’introduzione della possibilità dell’utilizzo del servizio postale nel processo del lavoro, caratterizzato da una struttura processuale piuttosto complessa, sarebbe destinata, da un lato, a ripercuotersi negativamente sul funzionamento del sistema processualistico dello stesso rito del lavoro nel suo complesso e, dall’altro, determinerebbe una irragionevole disparità di trattamento, costituzionalmente rilevante, fra controversie soggette a tale rito, nella insussistenza di condizioni particolari che la giustifichino;
che la questione va, pertanto, dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALEdichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 415 e 645 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2007.
F.to:
Giovanni Maria FLICK, Presidente
Alfio FINOCCHIARO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 9 febbraio 2007.