ORDINANZA N. 429
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 59, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), in relazione all’art. 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1991, n. 421), promosso con ordinanza del 30 maggio 2005 dalla Corte di cassazione, nel giudizio tributario vertente tra il Comune di Sassuolo e la s.p.a. Immobiliare Sportiva Sassolese, iscritta al n. 556 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti l’atto di costituzione della s.p.a. Immobiliare Sportiva Sassolese, nonché l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 7 novembre 2006 il giudice relatore Franco Gallo;
udito l’avvocato dello Stato Maria Letizia Guida per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che la Corte di cassazione, nel corso di un giudizio riguardante l’avviso di rettifica della dichiarazione resa ai fini dell’ICI per l’anno 1997, emesso dal Comune di Sassuolo per due unità immobiliari di proprietà di una società per azioni, ha sollevato, con ordinanza depositata il 30 maggio 2005, questione di legittimità costituzionale dell’art. 59, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), in relazione all’art. 7 comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1991, n. 421), per violazione degli artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione;
che il giudice a quo premette che: a) gli immobili oggetto dell’avviso di rettifica erano stati concessi in locazione dalla società per azioni proprietaria a un ente non commerciale (nella specie, un’associazione sportiva) e dallo stesso utilizzati; b) la locatrice non aveva corrisposto l’ICI, ritenendo sussistenti i presupposti cui il citato art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 subordina l’esenzione da tale imposta;
che, osserva il rimettente, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992 (nel testo applicabile ratione temporis nel giudizio principale), soggetti passivi dell’imposta sono il «proprietario di immobili di cui al comma 2 dell’art. 1, ovvero il titolare del diritto di usufrutto, uso o abitazione sugli stessi», e, in base al richiamato art. 1, comma 2, «presupposto dell’imposta è il possesso di fabbricati, di aree fabbricabili e di terreni agricoli, siti nel territorio dello Stato, a qualsiasi uso destinati, ivi compresi quelli strumentali o alla cui produzione o scambio è diretta l’attività dell’impresa»;
che, prosegue la Corte rimettente, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, sono esenti dall’ICI «gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni» (enti pubblici e privati diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali), «destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’art. 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222»;
che, secondo il giudice a quo, alla stregua di tale normativa – e come affermato in precedenti pronunce dalla stessa Corte di cassazione –, l’esenzione è prevista solo a favore degli enti non commerciali di cui all’art. 87, comma 1, lettera c), del predetto decreto del Presidente della Repubblica, a condizione che essi utilizzino direttamente l’immobile per lo svolgimento delle suddette attività;
che, in tale contesto, è intervenuto il censurato art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, il quale prevede che, a decorrere dal 1° gennaio 1998, i Comuni possono stabilire che la suddetta esenzione «si applica soltanto ai fabbricati e a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore»;
che, ad avviso del giudice a quo, questa disposizione impone di interpretare la norma di agevolazione, nel senso che l’esenzione spetta al soggetto passivo d’imposta alla sola condizione che l’immobile sia direttamente utilizzato da un ente non commerciale per lo svolgimento delle attività previste dall’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992;
che la “rilettura” di quest’ultima disposizione, imposta dall’art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, sarebbe tuttavia irragionevole e, perciò, costituzionalmente illegittima in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., in quanto l’esenzione, nel caso di locazione di immobile, verrebbe riconosciuta anche a soggetti passivi d’imposta che non solo non svolgono direttamente le attività ritenute meritorie dalla norma di agevolazione, ma percepiscono anche un canone dal conduttore e cosí manifestano una specifica capacità economica;
che sarebbe, inoltre, violato l’art. 23 Cost., in quanto il potere di restringere o ampliare la portata delle esenzioni dall'imposta, riconosciuto ai Comuni dal citato art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, non rispetterebbe la riserva di legge in materia di prestazioni imposte;
che risulterebbero violati anche gli artt. 76 e 77 Cost., per eccesso di delega, perché con l’art. 3, comma 143, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, il Governo era stato delegato a semplificare e razionalizzare gli adempimenti dei contribuenti nonché a regolamentare le fonti delle entrate locali, per quanto attiene alle fattispecie imponibili e ai soggetti passivi, ma non anche a dettare deroghe all’applicazione dell’ICI;
che si è costituita in giudizio la società per azioni contribuente, la quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile, per difetto di rilevanza, ovvero infondata;
che la parte privata contesta la premessa interpretativa dalla quale muove l’ordinanza di rimessione e afferma che, ai fini della fruizione della esenzione, è sufficiente, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, la natura di ente non commerciale dell’utilizzatore diretto dell’immobile;
che, per la contribuente, la disposizione censurata costituirebbe una norma che attribuisce ai Comuni «la facoltà di restringere […] l’area dell’esenzione», consentendo loro di accordare o negare in via regolamentare esenzioni tributarie;
che in ogni caso, osserva la difesa della parte privata, la questione è irrilevante, in quanto ha ad oggetto una norma inapplicabile nel periodo di imposta cui si riferisce l’avviso di rettifica impugnato;
che, con atto illustrato da successiva memoria, è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata;
che, in particolare, anche la difesa erariale nega la natura interpretativa e l’efficacia retroattiva della norma censurata, perché questa si limiterebbe a consentire agli enti locali di applicare l’esenzione, per il futuro, ai soli fabbricati e, per il resto, a confermare la condizione, già richiesta dal diritto vivente, che i fabbricati stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore;
che l’Avvocatura generale dello Stato eccepisce, inoltre, l’inammissibilità della questione, perché l’esenzione non potrebbe mai essere applicata in relazione ad immobili di proprietà, come nella specie, di una società per azioni;
che, nel merito, la stessa Avvocatura contesta la fondatezza della questione in riferimento a tutti i parametri evocati: a) quanto agli artt. 3 e 53 Cost., perché il presupposto dell’imposizione rimane pur sempre il possesso dell’immobile a titolo di proprietà o di altro diritto reale di godimento e, comunque, perché la valutazione del legislatore sottesa al mutato apprezzamento delle modalità di utilizzo del bene non è sindacabile; b) quanto agli artt. 76 e 77 Cost., perché l’art. 3, comma 149, della legge n. 662 del 1996 contiene un’ampia delega alla revisione di tutte le fonti delle entrate locali; c) quanto all’art. 23 Cost., perché il potere delegato agli enti locali è comunque assoggettato a rigidi limiti.
Considerato che la Corte di cassazione dubita, in riferimento agli artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione, della legittimità dell’art. 59, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), in relazione all’art. 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1991, n. 421);
che, ad avviso del giudice a quo, il dubbio di legittimità deriva dal fatto che il censurato art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, nel prevedere la facoltà per i Comuni di stabilire che l’esenzione di cui all’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 «si applica soltanto ai fabbricati e a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore», imporrebbe di mutare l’interpretazione precedentemente data dalla stessa Corte di cassazione al citato art. 7, secondo la quale l’esenzione spetta solo se il soggetto passivo di imposta abbia natura non commerciale e utilizzi direttamente l’immobile in una delle attività previste dal medesimo articolo (attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché attività di cui all’art. 16, lettera a, della legge 20 maggio 1985, n. 222);
che infatti, secondo la Corte rimettente, tale interpretazione restrittiva sarebbe impedita dall’art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, il quale avrebbe natura di interpretazione autentica della suddetta disposizione agevolativa e, quindi, imporrebbe di intendere quest’ultima, nel senso che, per i periodi di imposta anteriori all’entrata in vigore della norma interpretativa, l’esenzione spetta al soggetto passivo d’imposta alla sola condizione che l’immobile sia direttamente utilizzato da un ente non commerciale per lo svolgimento delle attività di cui al citato art. 7 e, pertanto, anche nel caso in cui – come nella specie – il soggetto passivo d’imposta (sia esso un ente commerciale o no) abbia locato l’immobile ad un ente non commerciale per lo svolgimento di dette attività;
che, sempre secondo il giudice a quo, l’art. 7 del d.lgs. n. 504 del 1992, così autenticamente interpretato dal sopravvenuto art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, violerebbe gli artt. 3 e 53 Cost., perché, nel caso di locazione del bene, l’esenzione dall’ICI viene attribuita al proprietario dell’immobile sulla base di requisiti che egli non possiede, in quanto non solo non espleta direttamente una delle attività ritenute meritorie dalla norma di esenzione, ma percepisce anche un canone dal conduttore e cosí manifesta una specifica capacità contributiva;
che inoltre l’art. 59, comma 1, lettera c), attribuendo ai Comuni il potere «di restringere o ampliare la portata delle esenzioni dall’imposta», violerebbe la riserva di legge in materia di prestazioni imposte prevista dall’art. 23 Cost., nonché gli artt. 76 e 77 Cost. per eccesso di delega, perché con l’art. 3, comma 143, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, il Governo era stato delegato a semplificare e razionalizzare gli adempimenti dei contribuenti nonché a regolamentare le fonti delle entrate locali, per quanto attiene alle fattispecie imponibili e ai soggetti passivi, ma non anche a dettare deroghe all’applicazione dell’ICI;
che, preliminarmente, deve escludersi la necessità di restituire gli atti al giudice rimettente per lo ius superveniens costituito dagli interventi normativi che, successivamente all’ordinanza di rimessione, hanno interessato l’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, quali, in particolare, l’art. 7, comma 2-bis, del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 2 dicembre 2005, n. 248, e l’art. 39 del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 4 agosto 2006, n. 248;
che dette sopravvenute disposizioni non influiscono sulla rilevanza della sollevata questione, perché entrambe riguardano esclusivamente il requisito oggettivo delle attività da svolgersi negli immobili ai fini dell’esenzione dall’ICI, profilo questo del tutto estraneo al giudizio a quo, il cui àmbito è circoscritto dai motivi proposti con il ricorso per cassazione, i quali non attengono all’attività svolta negli immobili, ma unicamente alla sussistenza dei requisiti soggettivi della esenzione;
che, sempre preliminarmente, devono essere respinte le eccezioni di inammissibilità proposte dalla parte privata e dalla difesa erariale;
che la contribuente eccepisce il difetto di rilevanza della questione, perché l’art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997 è entrato in vigore il 1° gennaio 1998 e, pertanto, non potrebbe trovare applicazione nel giudizio principale, riguardante un avviso di accertamento relativo al periodo d’imposta dell’anno precedente;
che l’eccezione è infondata, perché il giudice rimettente muove dalla premessa, attinente al merito e non alla rilevanza della questione, della natura interpretativa e retroattiva della citata disposizione dell’art. 59, e perciò ritiene, coerentemente a tale premessa, che la questione sia rilevante, in quanto la censurata norma di interpretazione autentica viene considerata applicabile anche alla fattispecie oggetto del giudizio a quo;
che la difesa erariale eccepisce che nel giudizio principale non potrebbe trovare applicazione la norma di esenzione, per essere il soggetto d’imposta una società per azioni, e cioè un soggetto escluso dall’applicazione del beneficio;
che anche tale eccezione va respinta, perché involge profili attinenti non già alla rilevanza, ma all’interpretazione della norma censurata e, quindi, al merito della questione;
che, nel merito, la questione risulta proposta sulla base del duplice erroneo presupposto che l’art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997 introdurrebbe una norma di interpretazione autentica ed imporrebbe, per il passato, una interpretazione dell’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 diversa da quella affermata dalle pronunce della Corte di cassazione richiamate dal rimettente;
che dette premesse sorreggono l’assunto dell’ordinanza di rimessione circa l’applicabilità nel giudizio principale dell’art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997 e consentono la prospettazione delle censure;
che tuttavia, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, detta disposizione – che non si autoqualifica come norma di interpretazione autentica – non è finalizzata né a risolvere un obiettivo dubbio ermeneutico né ad introdurre retroattivamente una nuova disciplina dell’esenzione prevista dall’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992;
che il citato art. 59, comma 1, lettera c), ha il solo scopo di attribuire ai Comuni, in deroga a quanto previsto all’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, la facoltà di escludere gli enti non commerciali che possiedono terreni agricoli e aree fabbricabili dal novero dei soggetti esenti – e, perciò, di applicare l’ICI anche nei loro confronti –, ferma restando l’esenzione per i fabbricati posseduti dai medesimi enti non commerciali e da essi direttamente utilizzati per lo svolgimento delle attività di cui all’art. 7;
che, pertanto, l’art. 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, prevedendo che l’esenzione dall’ICI spetta per i fabbricati a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore, attribuisce all’art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 lo stesso significato riconosciutogli dalle pronunce della Corte di cassazione richiamate nell’ordinanza di rimessione e quindi, sotto questo aspetto, non innova la disciplina dei requisiti soggettivi dell’esenzione;
che, dunque, dalla erroneità di entrambi i presupposti da cui muove il rimettente consegue la manifesta infondatezza della sollevata questione, in relazione a tutti i profili dedotti.
Per questi motivi
La Corte costituzionale
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 59, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), in relazione all’art. 7, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504 (Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell’articolo 4 della legge 23 ottobre 1991, n. 421), sollevata dalla Corte di cassazione, in riferimento agli artt. 3, 23, 53, 76 e 77 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2006.