Ordinanza n. 400 del 2006

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ORDINANZA N. 400

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Romano                    VACCARELLA                            "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 407, comma 3, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 23 dicembre 2004 dal Tribunale di Bologna, sulle istanze proposte da L.T. ed altro, iscritta al n. 214 del registro ordinanze e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di costituzione di L.T.;

udito nella camera di consiglio dell’11 ottobre 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Bologna, sezione del riesame ex art. 309 codice di procedura penale, ha sollevato, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 407, comma 3, del cod. proc. pen., codice di procedura penale, «nella parte in cui non prevede, in caso di ritardo abnorme o comunque ingiustificato nella iscrizione della notizia di reato a cura del pubblico ministero ex art. 335 cod. proc. pen., l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di cui all’art. 405, comma 2, c.p.p., calcolato a far tempo dal momento in cui la notizia di reato avrebbe dovuto essere iscritta»;

che il Tribunale rimettente premette, in punto di fatto, di dover delibare le istanze di riesame proposte da alcuni imputati avverso decreti di sequestro e di convalida di sequestro emessi dalla locale Procura della Repubblica – nelle date 9, 15 e 16 novembre 2004 – nell’ambito di un procedimento penale che vedeva i ricorrenti indagati per vari delitti contro la pubblica amministrazione, commessi in Bologna tra il 2000 ed il 2003: istanze con le quali si chiedeva la declaratoria di nullità dei decreti impugnati, “ovvero la rimessione degli atti alla Corte costituzionale rilevando la non manifesta infondatezza della questione d’incostituzionalità dell’art. 407, comma 3, c.p.p.”;

che, in proposito, il giudice a quo, ripercorrendo diffusamente l’origine e lo sviluppo delle indagini del procedimento al suo esame, evidenzia, in particolare, come l’abbrivio di quest’ultimo fosse rappresentato da un esposto del 17 settembre 2001 e da una denuncia–querela del 23 settembre 2001, in esito ai quali − avviate le indagini – veniva effettuata, in data 20 agosto 2002, una prima iscrizione nel registro delle notizie di reato ai sensi dell’art. 335 cod. proc. pen.;

che, successivamente, era stata disposta una consulenza tecnica, il cui oggetto – secondo il giudice a quo – risultava essere null’altro che l’approfondimento dei fatti già prospettati nella originaria denuncia; e il pubblico ministero – dopo tre richieste di proroga delle indagini preliminari, tutte relative alla medesima ipotesi delittuosa, già oggetto della originaria iscrizione − in esito al deposito della relazione di consulenza, aveva formulato la definitiva imputazione ed effettuato, in data 29 ottobre 2004, la definitiva iscrizione nel registro delle notizie di reato ai sensi dell’art. 335 cod. proc. pen.;

che tuttavia, a parere del giudice a quo, i fatti per i quali si era proceduto a tale ultima e definitiva iscrizione emergevano chiaramente fin dalla prima denuncia del settembre del 2001 e risultavano già rappresentati pienamente − unitamente all’identificazione dei soggetti cui erano ascrivibili – nella prima informativa di reato del luglio 2002: circostanza, questa, eccepita, dinnanzi ad esso rimettente, dai difensori degli imputati, i quali − sul rilievo che il precetto di immediata iscrizione nel registro delle notizie di reato in capo al pubblico ministero, pur se violato, fosse sprovvisto di adeguata sanzione processuale − avevano sollevato il dubbio di costituzionalità;

che, in ordine alla non manifesta infondatezza di tale questione, il Tribunale rimettente richiama l’orientamento − ritenuto prevalente – della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l’omessa o ritardata annotazione della notitia criminis  sul registro previsto dall’art. 335 cod. proc. pen. non determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti fino al momento dell’effettiva iscrizione nel registro; e secondo cui il termine di durata massima delle indagini decorre dalla data in cui il nome è effettivamente iscritto nel registro delle notizie di reato, e non dalla presunta data in cui il pubblico ministero avrebbe dovuto iscriverlo; su tali premesse, il giudice a quo ritiene che tanto la discrezionalità dell’organo dell’accusa nella scelta dei tempi dell’iscrizione della notizia di reato, quanto l’assenza di sanzione di inutilizzabilità degli atti precedenti la pur tardiva iscrizione, si pongano in contrasto con i principi posti dal secondo comma dell’art. 24 della Costituzione;

che invero − evidenzia il rimettente − la circostanza che sia il pubblico ministero a stabilire i tempi del procedimento e, dunque, «l’inizio delle garanzie della difesa», si pone in violazione del diritto di difesa; mentre l’inviolabilità di quest’ultimo deve essere garantita fin da quando la notizia di reato, delineatasi con nettezza, avrebbe dovuto essere immediatamente iscritta, unitamente ai nominativi delle persone cui la stessa risultava attribuibile;

che dunque, secondo il rimettente, «l’omessa indicazione della sanzione di inutilizzabilità degli atti d’indagine raccolti anteriormente alla data di iscrizione avvenuta con ritardo non giustificabile» genera il contrasto con il principio costituzionale della difesa inviolabile, posto che l’omessa iscrizione o l’ingiustificato ritardo di essa – conclude il giudice  a quo – ha ricadute ampiamente negative sulla garanzia di difesa: e ciò sia sotto il profilo della “sorpresa” di un’indagine in corso da anni ed ignota invece all’interessato; sia, soprattutto, «impoverendo indebitamente gli strumenti della difesa a tutto vantaggio dell’invasività, contra legem, dell’accusa»;

che nel presente giudizio si è costituita la parte privata L. T., imputato nel giudizio a quo, concludendo per l’accoglimento della questione e rilevando che il principio della scelta discrezionale, in capo all’organo requirente, circa la data di iscrizione della notizia di reato, confligge «con fondamentali principi di garanzia dei diritti dell’indagato, posti dal secondo comma dell’art. 24 Cost. in maniera perentoria ed ineludibile».

Considerato che il Tribunale di Bologna − adito a seguito di istanza di riesame avverso provvedimenti di sequestro e di convalida di sequestro − sottopone allo scrutinio di questa Corte, in relazione all’art. 24 della Costituzione, il profilo della legittimità dell’art. 407 comma 3, del codice del rito penale, «nella parte in cui non prevede, in caso di ritardo abnorme o comunque ingiustificato nella iscrizione della notizia di reato a cura del pubblico ministero ex art. 335 cod. proc. pen., l’inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine di cui all’art. 405, comma 2, c.p.p., calcolato a far tempo dal momento in cui la notizia di reato avrebbe dovuto essere iscritta»;

che, nondimeno, il Tribunale rimettente omette di precisare se ed in che misura l’eventuale inutilizzabilità degli atti dell’indagine – compiuti dopo la scadenza dei relativi termini − influirebbe sullo scrutinio che il giudice a quo è chiamato a compiere in relazione alla domanda di riesame proposta avverso i provvedimenti di sequestro: omessa precisazione che si risolve in un evidente difetto di motivazione circa la rilevanza della questione;

che, accanto a ciò, il quesito di costituzionalità si sostanzia nella richiesta di una declaratoria di illegittimità costituzionale fondata su parametri del tutto aspecifici, quali quelli del «ritardo abnorme» o dell’«ingiustificato ritardo» nella iscrizione della notizia nel registro ex art. 335 cod. proc. pen.: dal che consegue l’evidente inammissibilità del petitum per totale genericità dei suoi presupposti;

che, sotto altro profilo, il petitum conclusivamente formulato mira a sollecitare una pronuncia additiva idonea a sanzionare – con l’inutilizzabilità processuale − gli atti compiuti dall’organo di accusa oltre il termine effettivo delle indagini preliminari; ma tale richiesta appare in decisa contraddizione con l’argomentazione espressa nel corpo dell’ordinanza di rimessione in cui, invece, oggetto di censura risulta essere «l’omessa indicazione della sanzione di inutilizzabilità degli atti d’indagine raccolti anteriormente alla data di iscrizione avvenuta con ritardo non giustificabile»;

che le due prospettive − miranti, l’una, ad introdurre la sanzione di inutilizzabilità di atti compiuti oltre la scadenza del termine massimo di indagine, considerato il momento in cui la notizia di reato avrebbe dovuto essere effettivamente iscritta; l’altra, a richiedere la medesima sanzione processuale per gli atti compiuti prima della formale iscrizione nel registro ex art. 335 cod. proc. pen., se quest’ultima è avvenuta con ritardo «ingiustificabile» − si palesano, all’evidenza, completamente antitetiche, sì da far risaltare l’insolubile contraddittorietà del quesito;

che per i suesposti motivi la questione è manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, della norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 407, comma 3, del codice di procedura penale, sollevata, in relazione all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Bologna con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 novembre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l’1 dicembre 2006.