Ordinanza n. 386 del 2006

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ORDINANZA N. 386

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Romano                    VACCARELLA                            "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-bis e 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza del 7 aprile 2003 dal Tribunale di Asti, nel procedimento penale a carico di D.L., iscritta al n. 1011 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2003.

 

Udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

 

Ritenuto che, con l’ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Asti ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-bis e 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), che configura come illecito penale il trattenimento, senza giustificato motivo, dello straniero sul territorio dello Stato in violazione dell’ordine del questore di allontanamento da esso entro cinque giorni;

 

che il giudice a quo premette di essere chiamato a celebrare, nelle forme del giudizio abbreviato (richiesto dalla difesa), il procedimento penale nei confronti di un cittadino extracomunitario tratto in arresto per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, in quanto sorpreso sul territorio nazionale dopo la scadenza del termine di cinque giorni, entro il quale gli era stato intimato dal Questore di Asti di lasciare l’Italia;

 

che il rimettente riferisce di aver precedentemente convalidato l’arresto dell’imputato, il quale, nell’interrogatorio reso in tale occasione, aveva dichiarato di essersi trovato nell’impossibilità di ottemperare all’ordine di allontanamento in quanto sprovvisto di denaro e di documenti, sottolineando, altresì, come nel suo paese di origine – la Cecenia – fosse in corso una guerra civile;

 

che, tuttavia – «al di là della valutazione necessariamente sommaria effettuata in sede di convalida dell’operato delle forze dell’ordine» – il giudice a quo ritiene che il disposto dell’art. 14, commi 5-bis e 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 venga a porsi in contrasto con plurimi precetti costituzionali;

 

che la norma incriminatrice di cui al comma 5-ter del citato art. 14 – inserita all’interno della disciplina dell’esecuzione del provvedimento prefettizio di espulsione – colpisce, infatti, l’inottemperanza all’intimazione impartita dal questore ai sensi del comma 5-bis del medesimo articolo;

 

che detta intimazione presuppone, a sua volta – oltre all’esistenza di un valido decreto di espulsione amministrativa dello straniero – una complessa situazione di fatto, rappresentata, per un verso, dalla impossibilità di esecuzione immediata dell’espulsione mediante accompagnamento alla frontiera per uno dei motivi indicati dall’art. 14, comma 1 (necessità di procedere al soccorso dello straniero o ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione dei documenti di viaggio; indisponibilità di vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo); e, per altro verso, dalla impossibilità di trattenere lo straniero presso un centro di permanenza temporaneo;

 

che, in presenza di tali condizioni, il legislatore delegherebbe, in pratica, l’esecuzione del provvedimento espulsivo al suo stesso destinatario, rendendola coattiva tramite la comminatoria di una sanzione penale;

 

che siffatta soluzione normativa si presenterebbe, peraltro, irrimediabilmente lesiva del principio di offensività (nullum crimen sine iniuria), desumibile dall’art. 25, secondo comma, Cost.: principio in forza del quale, da un lato, l’interesse protetto dalla norma penale deve risultare costituzionalmente significativo; e, dall’altro lato, il reato deve estrinsecarsi in un fatto necessariamente lesivo, o quantomeno pericoloso per detto interesse;

 

che, nella contingenza, risulterebbe soddisfatta solo la prima condizione – essendo la previsione punitiva posta a presidio dei medesimi interessi, di sicuro rilievo costituzionale, tutelati dal provvedimento di espulsione, quali l’ordine e la sicurezza pubblica – ma non anche la seconda, dato che la fattispecie penale risulterebbe strutturata in modo tale da escludere, già in linea astratta, la lesione del bene protetto;

 

che il reato in questione avrebbe difatti come presupposto un decreto di espulsione che lo stesso legislatore, all’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998, definisce «non immediatamente eseguibile» a causa delle condizioni ostative ivi contemplate: con la conseguenza che l’inottemperanza all’ordine del questore risulterebbe a priori inidonea a vulnerare il valore penalmente tutelato, venendo a configurarsi come illecito di mera disobbedienza;

 

che l’ordinamento entrerebbe, d’altra parte, in contraddizione con sé stesso ove pretendesse che sia data esecuzione ad un provvedimento che si presuppone insuscettibile di diretta e immediata attuazione: e a maggior ragione la contraddizione sussisterebbe – trasformandosi in irragionevolezza – quando ad una simile pretesa si accompagnasse la previsione di una sanzione penale per il caso di inottemperanza;

 

che, sotto questo profilo, il reato delineato dall’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 violerebbe, quindi, anche gli artt. 13 e 27, terzo comma, Cost., poiché la compressione della libertà personale conseguente all’inosservanza dell’ordine risulterebbe del tutto ingiustificata; mentre nessuna finalità rieducativa potrebbe essere esplicata da una pena volta ad imporre un comportamento che, per riconoscimento dello stesso legislatore, non può essere materialmente realizzato;

 

che la questione sarebbe rilevante nel giudizio a quo, avendo l’imputato dedotto, quale giustificazione dell’inottemperanza all’ordine, proprio una delle situazioni in presenza delle quali il legislatore definisce non immediatamente eseguibile l’espulsione, e cioè la mancanza di documenti di identificazione;

 

che tale situazione risulterebbe peraltro richiamata anche nell’ordine del questore, che aveva motivato il ricorso allo strumento dell’intimazione con l’impossibilità di procedere all’accompagnamento immediato alla frontiera dell’espellendo, per la necessità di effettuare accertamenti supplementari in ordine alla sua identità e nazionalità, trattandosi «di soggetto sprovvisto di documenti di riconoscimento e quindi di viaggio».

 

Considerato che il Tribunale di Asti dubita della legittimità costituzionale della fattispecie criminosa dell’ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, delineata dall’art. 14, commi 5-bis e 5-ter, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, assumendone il contrasto con gli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione;

 

che mentre, peraltro, la dedotta lesione dell’art. 2 Cost. risulta priva di specifico supporto argomentativo, quanto agli altri parametri costituzionali evocati, il dubbio di costituzionalità del giudice rimettente trova, in sostanza, la sua premessa fondante nella supposta “inesigibilità” della condotta che la norma censurata pretenderebbe dallo straniero, sotto comminatoria di sanzione penale;

 

che tale “inesigibilità” conseguirebbe, in assunto, al fatto che l’intimazione del questore a lasciare entro cinque giorni il territorio nazionale – l’inottemperanza alla quale realizza il reato – annovera, tra i suoi presupposti legittimanti, proprio l’impossibilità di eseguire con immediatezza l’espulsione per le ragioni specificamente elencate dall’art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998 (una delle quali – la mancanza di documenti di identificazione – verrebbe in rilievo nel caso oggetto del giudizio a quo);

 

che nel denunciare i vulnera che siffatta soluzione normativa recherebbe ai principi costituzionali di offensività, ragionevolezza, inviolabilità della libertà personale e finalità rieducativa della pena, il rimettente omette tuttavia di considerare il ruolo che, nell’economia applicativa della fattispecie criminosa, è chiamato a svolgere il requisito negativo espresso dalla formula «senza giustificato motivo», presente nella descrizione del fatto incriminato dal citato comma 5-ter dell’art. 14;

 

che, a tal riguardo, questa Corte ha già avuto modo di affermare in più occasioni (sentenza n. 5 del 2004; ordinanze n. 80 e n. 302 del 2004) che la clausola in parola – alla luce sia delle finalità dell’incriminazione (rendere effettivo il provvedimento di espulsione, rimuovendo situazioni di illiceità o pericolo correlate alla presenza dello straniero nel territorio dello Stato); sia del quadro normativo in cui tale finalità si innesta (che vede regolati in modo diverso, anche a livello costituzionale, l’ingresso e la permanenza degli stranieri nel Paese, a seconda che si tratti di richiedenti asilo o rifugiati, ovvero di c.d. “migranti economici”) – deve ritenersi diretta ad escludere la configurabilità del reato in presenza di situazioni ostative di particolare pregnanza, le quali – anche senza integrare delle cause di giustificazione in senso tecnico – incidano sulla stessa possibilità, soggettiva od oggettiva, di adempiere all’intimazione, escludendola ovvero rendendola difficoltosa o pericolosa; mentre non si attribuisce rilievo ad esigenze che riflettano la condizione tipica del “migrante economico”, sebbene espressive di istanze in sé e per sé pienamente legittime (salvo, s’intende, che ricorrano situazioni riconducibili alle scriminanti previste dall’ordinamento);

 

che il necessario coordinamento della norma incriminatrice con le ulteriori disposizioni del d.lgs. n. 286 del 1998 rende d’altro canto palese come i motivi che, a mente dell’art. 14, comma 1, del citato decreto legislativo legittimano la pubblica amministrazione a non procedere – in deroga al drastico imperativo di cui all’art. 13, comma 4 («l’espulsione è sempre eseguita …») – all’accompagnamento coattivo alla frontiera, «non possono non costituire sicuri indici di riconoscimento di situazioni nelle quali può ravvisarsi un “giustificato motivo” di inottemperanza dello straniero all’ordine del questore» (sentenza n. 5 del 2004; ordinanze n. 80 e n. 302 del 2004);

 

che ciò vale, in particolare – al lume del basilare principio ad impossibilia nemo tenetur – quando l’inadempienza dipenda dalla condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (specie aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio; ovvero – per richiamarsi più da vicino all’evenienza prospettata dall’odierna ordinanza di rimessione – quando essa derivi dal mancato rilascio, da parte della competente autorità diplomatica o consolare, dei documenti necessari, pure sollecitamente e diligentemente richiesti dall’interessato (sentenza n. 5 del 2004): conclusioni, queste, che hanno peraltro trovato sostanziale eco nella giurisprudenza, anche di legittimità;

 

che, in tal ottica, resta dunque escluso quello che il giudice rimettente dà viceversa per scontato: e cioè che la norma incriminatrice si presti a reprimere anche inottemperanze dovute a situazioni di impossibilità incolpevole – oggettiva e soggettiva – di adempimento del precetto;

 

che è ben vero che, in questa prospettiva, la formula «senza giustificato motivo» finisce per comprimere sensibilmente, in fatto, le capacità di presa della norma incriminatrice, giacché – come rimarca il giudice rimettente – nel sistema della legge (e prescindendo da difformi prassi operative, le quali, proprio in quanto contrastanti con la norma, non potrebbero comunque influire sulla valutazione di essa), l’ordine di allontanamento dovrebbe essere emesso, in surroga dell’accompagnamento coattivo alla frontiera, proprio nelle situazioni in cui il destinatario versa in una situazione di rilevante difficoltà ad adempierlo;

 

che, tuttavia, tale fenomeno – derivante non dalla sola disposizione denunciata, ma dall’architettura complessiva della nuova disciplina dell’espulsione, di cui detta disposizione costituisce «un semplice e conclusivo tassello» – «incide … sul piano dell’opportunità delle scelte politico-criminali sottese a tale disciplina, e non su quello della loro legittimità costituzionale» (sentenza n. 5 del 2004);

 

che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-bis e 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, dal Tribunale di Asti con l’ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 novembre 2006.

 

F.to:

 

Franco BILE, Presidente

 

Giovanni Maria FLICK, Redattore

 

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

 

Depositata in Cancelleria il 21 novembre 2006.