ORDINANZA N. 320
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nella fase di ammissibilità del giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 30 giugno 2004 relativa alla insindacabilità delle opinioni espresse dal senatore Emiddio Novi, promosso con ricorso del Tribunale Roma – Sezione prima civile, depositato in cancelleria il 2 marzo 2006 ed iscritto al n. 5 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2006.
Udito nella camera di consiglio del 5 luglio 2006 il Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto che con ricorso del 2 marzo 2006 (r. confl. n. 5 del 2006), il Tribunale di Roma ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla deliberazione del 30 giugno 2004 con la quale è stata dichiarata, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, l’insindacabilità delle dichiarazioni del senatore Emiddio Novi, rispetto alle quali pende un giudizio civile;
che il Tribunale romano, in funzione di giudice monocratico civile, riferisce che i dottori Del Gaudio Marco e altri, tutti magistrati con funzioni di sostituto procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, con atto di citazione notificato l’8 aprile 2002 – assumendo di essere stati diffamati e danneggiati da alcuni articoli a firma del giornalista Roberto Paolo («La vendetta dei P.M. puniti - Contro Cordova la vendetta dei P.M. puniti» del 19 gennaio 2002; «Veleno in Procura - L’ultimo ricatto contro Cordova - I P.M. minacciano la fuga in massa» del 25 gennaio 2002; «Veleno in Procura - Ce l’hanno con Cordova perché ha messo ordine» del 26 gennaio 2002; «Procura dei veleni - Caso Cordova, nuova spaccatura» del 3 febbraio 2002; «Procura dei veleni - Caso Cordova il bluff dei P.M. ribelli» del 7 febbraio 2002) e da un articolo a firma del senatore Emiddio Novi («Il Palazzo brucia e c’è chi pensa a spargere veleni» del 7 febbraio 2002), tutti pubblicati sul quotidiano «Roma», edito dalla società Edizione di Roma, diretto da Luigi Casciello – hanno convenuto in giudizio i predetti giornalisti Roberto Paolo e Luigi Casciello, nonché il sen. Emiddio Novi per sentirli condannare al risarcimento dei danni, al pagamento della sanzione pecuniaria prevista dall’art. 12 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (Disposizioni sulla stampa) e alla pubblicazione dell’emananda sentenza;
che, costituendosi nel giudizio principale, i resistenti eccepivano l’esimente del diritto di cronaca per le dichiarazioni del giornalista Paolo e, relativamente alle dichiarazioni del senatore Novi, l’insindacabilità delle medesime a norma dell’art. 68, primo comma, Cost. e, nel merito, chiedevano il rigetto della domanda;
che il Tribunale di Roma osserva di aver ritenuto fondata l’eccezione di insindacabilità in relazione a due articoli «Veleno in Procura - Ce l’hanno con Cordova perché ha messo ordine» del 26 gennaio 2002, «Procura dei veleni - Caso Cordova il bluff dei P.M. ribelli» del 7 febbraio 2002 a firma del giornalista Paolo, posto che in detti articoli lo stesso si era limitato a trascrivere fedelmente alcuni brani delle due interpellanze parlamentari rivolte dal sen. Novi al Ministro della giustizia nel corso della seduta pubblica del Senato della Repubblica in data 25 gennaio 2002;
che, al contrario, il Tribunale di Roma osserva di non aver ritenuto che tutte le opinioni espresse nell’articolo «Il Palazzo brucia e c’è chi pensa a spargere veleni», sottoscritto dal sen. Novi, risultassero riferibili al contenuto delle stesse interpellanze e, per tale ragione, di aver trasmesso gli atti al Senato della Repubblica affinché valutasse la ricorrenza della guarentigia dell’insindacabilità;
che il Senato della Repubblica, con deliberazione dell’Assemblea, adottata nella seduta del 30 giugno 2004, ha approvato la proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari volta a dichiarare che le affermazioni del sen. Novi, oggetto del giudizio, concernevano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni a norma dell’art. 68, primo comma, Cost.;
che dalla lettura della richiamata proposta risulta che la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, dopo aver rilevato che effettivamente non tutte le opinioni espresse dal Novi trovano riscontro nelle interpellanze a sua firma, tuttavia, aveva ritenuto che tali riscontri risultavano comunque ravvisabili in altri atti parlamentari dallo stesso posti in essere al fine di «dimostrare il teorema secondo cui la Procura di Napoli risponde a motivazioni extra-giuridiche nella scelta dei procedimenti cui dare impulso, nel rallentamento degli altri e, più in generale, nel tentativo di creare le condizioni per l’incompatibilità ambientale del procuratore Cordova»;
che, secondo il Tribunale di Roma, tale prospettazione non è condivisibile in quanto la prerogativa dell’insindacabilità non copre tutte le opinioni espresse dal parlamentare nello svolgimento della sua attività politica, ma solo quelle legate da un nesso funzionale con le attività svolte nella sua qualità di membro del Parlamento;
che, inoltre, la semplice comunanza di argomento tra le dichiarazioni lesive e le opinioni espresse in sede parlamentare non è idonea ad estendere alle prime l’immunità prevista per le seconde e, che, in particolare, le allusioni presenti nello scritto del senatore, laddove lo stesso ebbe a dichiarare che i magistrati di Napoli erano arrivati a non incriminare ovvero ad assolvere non meglio specificati camorristi per evitare di dover indagare anche certi imprenditori legati ai partiti di sinistra («poi ci sono i maneggioni che insabbiavano o deviavano le inchieste sui rapporti tra sinistra imprenditrice e camorra»… «giudici che assolvono camorristi pur di non condannare qualche imprenditore legato alla sinistra»), configurano gravissime accuse alla magistratura napoletana, sia inquirente che giudicante, che non trovano alcun riscontro in nessuno dei passi di atti parlamentari che la Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ha addotto a fondamento del proprio giudizio d’insindacabilità;
che, pertanto, la delibera così adottata configura un uso non corretto delle prerogative attribuite al Senato della Repubblica in tema di insindacabilità delle opinioni dei propri membri e limita illegittimamente i poteri attribuiti dall’art. 102 della Costituzione all’Autorità giudiziaria, impedendo l’esame della domanda di risarcimento da parte degli attori nei confronti del sen. Novi;
che il Tribunale di Roma, sospeso il giudizio, solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica e chiede che la Corte, previa delibazione di ammissibilità, annulli la deliberazione di insindacabilità adottata dall’Assemblea del Senato nella seduta del 30 giugno 2004 in relazione all’articolo a firma del sen. Emiddio Novi intitolato «Il Palazzo brucia e c’è chi pensa a spargere veleni», «quantomeno in riferimento all’opinione da questi espressa in ordine all’asserito mancato perseguimento penale da parte dei magistrati napoletani di alcuni camorristi asseritamente legati a non meglio precisati imprenditori vicini ai partiti di sinistra» e, conseguentemente, dichiari che non spetta al Senato della Repubblica deliberare che le suddette dichiarazioni concernono opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle funzioni parlamentari ai sensi dell’art. 68, primo comma, Cost.
Considerato che in questa fase la Corte è chiamata, ai sensi dell'art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), a deliberare se il sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sia ammissibile, valutando, senza contraddittorio tra le parti, se ne sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo, restando impregiudicata ogni ulteriore decisione anche in punto di ammissibilità;
che, quanto al requisito soggettivo, il Tribunale di Roma è legittimato a sollevare il conflitto, essendo competente a dichiarare definitivamente, in relazione al procedimento del quale è investito, la volontà del potere cui appartiene, in considerazione della posizione di indipendenza, costituzionalmente garantita, di cui godono i singoli organi giurisdizionali;
che, analogamente, il Senato della Repubblica, che ha deliberato l'insindacabilità delle opinioni espresse da un proprio membro, è legittimato ad essere parte del conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere che rappresenta;
che, per quanto riguarda il profilo oggettivo del conflitto, il Tribunale ricorrente denuncia la menomazione della propria sfera di attribuzione, garantita da norme costituzionali, in conseguenza dell'adozione, da parte del Senato della Repubblica, di una deliberazione ove si afferma, in modo asseritamente illegittimo, che le opinioni espresse da un proprio membro rientrano nell'esercizio delle funzioni parlamentari, in tal modo godendo della garanzia di insindacabilità stabilita dall'art. 68, primo comma, della Costituzione;
che, pertanto, esiste la materia di un conflitto la cui risoluzione spetta alla competenza della Corte.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile ai sensi dell'art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), il conflitto di attribuzione proposto dal Tribunale di Roma nei confronti del Senato della Repubblica con il ricorso indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Tribunale di Roma;
b) che l'atto introduttivo e la presente ordinanza siano, a cura del ricorrente, notificati al Senato della Repubblica entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere poi depositati, con la prova dell'avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni previsto dall'art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2006.