ORDINANZA N. 319
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
- Luigi MAZZELLA “
- Gaetano SILVESTRI “
- Sabino CASSESE “
- Maria Rita SAULLE “
- Giuseppe TESAURO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 9 e 9-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), come modificati e introdotti dall’art. 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999 n. 205), promosso con ordinanza del 30 dicembre 2004 dal Tribunale di Trapani, nel procedimento civile vertente tra Tansini Maurizio e la Banca di credito cooperativo G. Toniolo di San Cataldo soc. coop. a r.l., iscritta al n. 567 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 21 giugno 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che con ordinanza del 30 dicembre 2004 il Tribunale di Trapani ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 2, 3 e 41 della Costituzione, degli articoli 9 e 9-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), come modificati e «introdotti» dall’art. 34 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999 n. 205);
che il giudizio a quo è stato promosso, con ricorso ex art. 700 del codice di procedura civile, da un imprenditore che − avendo tratto sul proprio conto corrente un assegno bancario rimasto impagato per mancanza di fondi ma alla cui copertura egli aveva provveduto, entro il termine di cui all’art. 8 della legge n. 386 del 1990, con la corresponsione del capitale e delle spese − aveva visto inserito il suo nominativo nell’archivio informatico della Banca d’Italia, ex art. 10-bis della legge n. 386 del 1990, perché non aveva prodotto la prova dell’avvenuto pagamento e che aveva perciò domandato, in via d’urgenza, «stante l’insussistenza dei presupposti richiesti e il grave e irreparabile pregiudizio arrecato all’attività commerciale dalla revoca dell’autorizzazione» a emettere assegni, che venisse ordinata la sospensione del predetto inserimento;
che, riferisce il giudice a quo, accolta l’istanza cautelare, il ricorrente aveva proposto nel termine assegnato per l’instaurazione del giudizio di merito, domanda volta ad ottenere la conferma del provvedimento d’urgenza e la condanna della banca trattaria al risarcimento dei danni conseguenti alla lesione dell’immagine commerciale e ai minori incassi percepiti;
che, osserva il rimettente, l’art. 8 della legge n. 386 del 1990 ammette il pagamento tardivo dell’assegno entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione del titolo, con effetti preclusivi per l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie; che l’art. 9 disciplina le condizioni e gli effetti dell’iscrizione del nominativo del traente nell’archivio informatico della Banca d’Italia; che l’art. 9-bis prevede la comunicazione allo stesso dell’avviso di iscrizione e di revoca dell’autorizzazione ad emettere assegni;
che tale iscrizione – introdotta dagli artt. 34 e 36 del decreto legislativo n. 507 del 1999, che ha operato la generalizzata depenalizzazione degli illeciti in materia bancaria, riconnettendovi l’applicazione di sanzioni di carattere amministrativo – costituisce un «rimedio potestativo» radicato nel contratto di conto corrente, ma destinato ad operare, con connotati parapubblicistici, in vista della salvaguardia della sicurezza delle transazioni finanziarie e della credibilità del sistema bancario nel suo complesso;
che, secondo il giudice a quo, le due sanzioni – quella amministrativa, di carattere pecuniario, e quella incidente sul «merito creditizio» dell’imprenditore – risponderebbero ad una medesima logica persecutrice della condotta antigiuridica del correntista, di modo che dovrebbero ancorarsi a un «coerente» presupposto giuridico; laddove, mentre l’art. 8 riconnette l’applicazione della prima al mancato pagamento dell’assegno entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione, il successivo art. 9 subordina l’iscrizione del nominativo del correntista nell’archivio informatico della Banca d’Italia alla mancata prova, entro il medesimo termine, dell’avvenuto pagamento;
che quest’ultima disposizione e, «per logica continenza», quella di cui al successivo articolo 9-bis non si sottrarrebbero al sospetto di incostituzionalità, in riferimento ai principi di ragionevolezza, di uguaglianza e di libertà di impresa (artt. 2, 3 e 41 della Costituzione), in primo luogo perché, essendo l’applicazione della sanzione pecuniaria impedita dal solo fatto del pagamento, nel termine assegnato, dell’assegno, sarebbe viziata da disparità di trattamento e da intrinseca irragionevolezza la previsione della segnalazione del nominativo del traente all’archivio informatico della Banca d’Italia in dipendenza della mera omissione della prova dell’avvenuto pagamento, e cioè di un adempimento legato al rilascio della quietanza – «atto potestativo», benché dovuto, del creditore – e inoltre, nonostante la gravità delle conseguenze che ne derivano, al fatto «aleatorio ed accidentale» del mancato recapito della quietanza;
che, in particolare, non sarebbe conforme a Costituzione l’imposizione alla banca trattaria dell’obbligo di dar corso alla segnalazione pur quando, effettuato dal creditore il pagamento «in tempestivo ritardo», la prova dell’adempimento sia stata fornita oltre il termine indicato;
che, in punto di rilevanza, osserva il giudice a quo che, ai fini della decisione della causa – nella quale l’attore si duole della iscrizione del proprio nominativo nell’archivio informatico della Banca d’Italia, in conseguenza della tardiva dimostrazione dell’avvenuto pagamento di un assegno, inizialmente scoperto, ma del quale risultava nondimeno effettuato il pagamento «all’interno della moratoria concessa dall’art. 8» – è necessario accertare «se sussistesse il potere della banca trattaria di effettuare la segnalazione»;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto alla Corte di dichiarare infondata la proposta questione;
che, secondo l’Avvocatura, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, le due sanzioni, quella pecuniaria e quella consistente nella revoca dell’autorizzazione a emettere assegni (previa iscrizione nell’archivio informatico della Banca d’Italia), avrebbero ciascuna proprie finalità e presupposti, di guisa che ben si giustificherebbe il diverso trattamento previsto dalla legge;
che la sanzione pecuniaria di cui agli artt. 2 e 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 386 – temperata dalla concessione al responsabile della possibilità di un ravvedimento operoso, costituito dal pagamento integrale della somma portata dal titolo, entro sessanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione dello stesso – avrebbe una funzione essenzialmente afflittiva e, quindi, di prevenzione generale e speciale;
che, invece, la revoca dell’autorizzazione prevista dall’art. 9 costituirebbe misura, più che sanzionatoria, amministrativa, «di salvaguardia in forma specifica» delle relazioni economiche e di tutela della pubblica fede, e quindi volta a proteggere i creditori nei confronti di debitori che abbiano già dato cattiva prova di sé: la disciplina avrebbe quindi in definitiva riguardo alla posizione dei possibili prenditori del titoli, più che a quella dei traenti;
che in tale contesto, secondo l’Avvocatura, si spiegherebbe la diversa regolamentazione dettata dal legislatore in relazione alle due fattispecie: per evitare la sanzione pecuniaria, è sufficiente che il pagamento avvenga nei termini; per scongiurare la revoca dell’autorizzazione a emettere assegni, è altresì necessario che tale pagamento sia disposto con un anticipo tale da consentire al traente di far pervenire alla banca trattaria la quietanza del prenditore;
che l’interesse generale alla sicurezza dei traffici giustificherebbe la previsione dell’iscrizione nell’archivio informatico e della revoca dell’autorizzazione in conseguenza del fatto oggettivo della mancata produzione della quietanza nei termini di cui all’art. 8, senza gravare la banca trattaria di lunghe e complesse indagini sull’intervento di un eventuale, successivo adempimento del debitore e sulle ragioni della mancata produzione della quietanza, laddove l’invio del preavviso di revoca varrebbe a garantire in maniera adeguata la posizione del traente;
che, peraltro, l’interesse del traente sarebbe preso in adeguata considerazione, posto che l’art. 9 prevede che, decorsi sei mesi, vengano meno gli effetti dell’iscrizione e l’autorizzazione possa essere ripristinata; e posto che, ove l’iscrizione sia derivata dalla mancata collaborazione del prenditore nell’invio della quietanza (come, a detta del ricorrente, si sarebbe verificato nella fattispecie dedotta in giudizio), il traente può agire nei suoi confronti per il ristoro dei danni.
Considerato che il Tribunale di Trapani dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 2, 3 e 41 della Costituzione, degli articoli 9 e 9 bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), come modificati e «introdotti» dall’art. 34 decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507 (Depenalizzazione dei reati minori e riforma del sistema sanzionatorio, ai sensi dell’art. 1 della legge 25 giugno 1999 n. 205), nella parte in cui, in caso di mancato pagamento di un assegno, in tutto o in parte, per carenza di provvista, richiedono, perché non abbia luogo l’iscrizione del nominativo del traente nell’archivio informatico della Banca d’Italia e la conseguente revoca di ogni autorizzazione a emettere assegni, che, entro il termine di cui all’art. 8 della stessa legge (sessanta giorni dalla data di scadenza della presentazione), venga fornita la prova dell’avvenuto pagamento dell’assegno, invece di ritenere sufficiente, a questi fini, al pari di quanto previsto per l’applicazione delle sanzioni amministrative, che, nel rispetto dei limiti temporali innanzi indicati, il titolo sia stato pagato;
che la questione è manifestamente inammissibile per inadeguata descrizione della fattispecie, non essendo dato comprendere se, nel caso di specie, la banca trattaria abbia provveduto a trasmettere il nominativo del traente all’archivio informatico della Banca d’Italia dopo che le era stata fornita la prova – ancorché successivamente allo spirare del termine di sessanta giorni di cui all’art. 8 – dell’avvenuto pagamento in “tempestivo ritardo” ovvero se la prova dell’avvenuto pagamento era stata fornita dopo che la banca trattaria aveva provveduto alla trasmissione del nominativo del traente all’archivio informatico;
che è evidente che l’onere di tempestiva produzione della prova dell’avvenuto pagamento ha ben altra rilevanza – in quanto funzionale a dimostrare il “ravvedimento operoso” del traente – nell’una ipotesi e nell’altra, e pertanto ai fini della sussistenza dell’obbligo − oggetto di controversia nel giudizio a quo − della banca trattaria di provvedere alla trasmissione del nominativo del traente all’archivio informatico della Banca d’Italia;
che l’insufficiente descrizione della fattispecie si risolve in carenza della motivazione sulla rilevanza della proposta questione, e pertanto nella sua manifesta inammissibilità.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 9 e 9-bis della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Trapani con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 luglio 2006.
F.to:
Franco BILE, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2006.