Ordinanza n. 273 del 2006

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 273

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Annibale                                        MARINI                                  Presidente

- Franco                                            BILE                                           Giudice

- Giovanni Maria                              FLICK                                              "

- Francesco                                       AMIRANTE                                     "

- Ugo                                                DE SIERVO                                     "

- Romano                                         VACCARELLA                               "

- Paolo                                              MADDALENA                                "

- Alfio                                              FINOCCHIARO                              "

- Alfonso                                          QUARANTA                                   "

- Franco                                            GALLO                                            "

- Luigi                                              MAZZELLA                                    "

- Gaetano                                         SILVESTRI                                      "

- Sabino                                            CASSESE                                          "

- Maria Rita                                      SAULLE                                           "

- Giuseppe                                        TESAURO                                        "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 172 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia. Testo B), trasfuso nell’art. 172 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Testo A), promosso con ordinanza del 30 maggio 2005 dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale centrale, sull’appello proposto dal Procuratore generale nei confronti di C. G., iscritta al n. 529 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell’anno 2005.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2006 il Giudice relatore Paolo Maddalena.

Ritenuto che, con ordinanza notificata il 6 giugno 2005 ed iscritta al n. 529 del registro ordinanze 2005, la Corte dei conti – sezione giurisdizionale centrale ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 101, 102, 104 e 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 172 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia. Testo B), trasfuso nell’art. 172 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Testo A);

che il Collegio rimettente chiarisce di dovere decidere sull’appello avverso la sentenza 27 febbraio 2003-29 maggio 2003, n. 490 della Corte dei conti – sezione giurisdizionale per la Regione Calabria;

            che il giudice contabile di primo grado ha dichiarato il proprio difetto di giurisdizione sull’azione di responsabilità amministrativa promossa a carico dell’allora Pretore di Caulonia, il quale, avendo dapprima omesso di provvedere al dissequestro di beni sequestrati contestualmente alla sentenza penale (divenuta esecutiva nell’ottobre 1996) ed avendo provveduto in tal senso solo il 22 gennaio 1998 (pur dopo la ricezione di un biglietto di segreteria in data 22 gennaio 1997, che ricordava l’incombenza), avrebbe comportato all’erario un danno pari alle maggiori spese di custodia dei beni in questione;

che la sentenza di primo grado ha declinato la giurisdizione in quanto ha giudicato di natura giudiziaria, e come tale insindacabile in sede di responsabilità amministrativa, l’attività «posta in essere dalla convenuta» ed in quanto «non ha individuato norme di diritto positivo che» ne «consentissero» la «chiamata in giudizio»;

che, in particolare, la sentenza impugnata davanti al giudice a quo ha individuato, nella fonte normativa legittimante (norme penali e relativo codice di procedura) e nella fase processuale in cui era consentito adottare il provvedimento di dissequestro (in sede di sentenza), le circostanze connotanti la natura giudiziaria dell’attività contestata al Pretore di Caulonia;

che il rimettente riferisce poi i motivi dell’appello del Procuratore generale, il quale, sul presupposto della giurisdizione del giudice contabile, ha chiesto l’annullamento della sentenza, con rinvio al primo giudice per lo svolgimento della relativa istruttoria;

che, per l’appellante, l’attività di dissequestro non avrebbe natura giudiziaria e, comunque, dall’articolo 5 della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile), dagli articoli 150 e 172 del testo unico n. 115 del 2002 sarebbero desumibili argomenti normativi per interpretare la disciplina dettata dalla legge 13 aprile 1988, n. 117 (Risarcimento dei danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie e responsabilità civile dei magistrati), nel senso di ammettere la responsabilità dei magistrati in conseguenza della loro attività stricto sensu giurisdizionale, oltre che per i danni indiretti (arrecati a terzi), anche per quelli direttamente recati allo Stato, per i quali, ovviamente, sussisterebbe la giurisdizione del giudice contabile;

che, quanto alla natura dell’attività contestata al Pretore di Caulonia, l’appellante sostiene che, alla luce delle previsioni degli articoli 263 del codice di procedura penale, 84 delle relative norme di attuazione (poi trasfuso nell’articolo 150 del testo unico n. 115 del 2002) e 10, comma 3, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 237 (Modifica della disciplina in materia di servizi autonomi di cassa degli uffici finanziari) – che riproduce l’articolo 455 del regio decreto 23 maggio 1924, n. 827 (Regolamento per l’amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato), e che è ora stato trasfuso nell’articolo 172 del testo unico n. 115 del 2002 –, si tratterebbe di «veri e propri atti dovuti, sforniti di qualsivoglia margine di discrezionalità […] che rappresentano necessitato adempimento di altrettanti obblighi di servizio ed implicano profili di spesa che non hanno diretta incidenza non solo e, se del caso, indirettamente sulle parti private, ma principalmente e direttamente sul bilancio erariale»;

che, quanto alla ammissibilità di una responsabilità amministrativa dei magistrati anche per attività giudiziaria, l’appellante sostiene che la sentenza n. 385 del 1996 di questa Corte legittimerebbe una tale ipotesi di giurisdizione contabile, in quanto fondata su una specifica interpositio legislatoris. Nella specie le norme legittimanti sarebbero costituite, sul piano soggettivo, dagli articoli 81, 82 e 83 del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440 (Nuove disposizioni sull’amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato), dall’articolo 52 del regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214 (Approvazione del testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), dall’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti) – che individuano nell’ampia nozione di pubblico dipendente i soggetti passivi della responsabilità amministrativa – e, sul piano oggettivo, dagli articoli 150 e 172 del testo unico n. 115 del 2002 (che regolano il procedimento di restituzione di beni sequestrati e la responsabilità dei magistrati e funzionari amministrativi);

che il Collegio rimettente sostanzialmente condivide le conclusioni dell’appellante in ordine alla sussistenza della giurisdizione dell’adito giudice contabile, ma, come detto, dubita, in riferimento agli articoli 3, 101, 102, 104 e 108 della Costituzione, della legittimità costituzionale del predetto articolo 172 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, secondo il quale «i magistrati e i funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa»;

che, quanto alla rilevanza della questione, la Corte dei conti – sezione giurisdizionale centrale, sostiene, anzitutto, che la norma censurata, sebbene sopravvenuta ai fatti contestati, sia nondimeno applicabile in quanto l’atto di citazione è stato depositato il 2 luglio 2002 (pertanto nella vigenza della disciplina dettata dal testo unico, entrato in vigore il 1° luglio 2002);

che quanto al censurato articolo 172 dovrebbe, poi, «presumersi un’interpretazione estensiva e, quindi, con valenza retroattiva» delle disposizioni dettate dall’articolo «10, comma 3, del decreto legs.vo n. 237 del 1997, che riproduce testualmente l’articolo 455 del r.d. n. 827 del 1924 in cui la responsabilità per danni diretti era limitata ai funzionari e non anche ai magistrati», dagli «articoli 81, 82 e 83 del r.d 18.11.1923, n. 2440», dall’articolo «52 del r.d. n. 1214 del 1934 – che estende ai funzionari impiegati ed agenti, civili e militari, compresi quelli dell’ordine giudiziario» e dall’articolo «1 della l. n. 20 del 1994, che, peraltro, non si riferisce ai magistrati»;

che, in sostanza, essa avrebbe interpretato estensivamente queste “tradizionali” ipotesi di responsabilità amministrativa, equiparando il magistrato agli altri pubblici dipendenti e ricomprendendolo tra i soggetti legittimati passivi dell’azione;

che tale natura interpretativa ed estensiva (pertanto retroattiva) della norma censurata dovrebbe necessariamente essere riconosciuta in base ad una lettura orientata e, «almeno prima facie, secundum Constitutionem» della stessa, in quanto, secondo il rimettente, una diversa lettura, che la ritenesse innovativa (e pertanto non retroattiva), comporterebbe una evidente illegittimità della stessa, per violazione dell’articolo 76 della Costituzione, poiché una tale possibilità non sarebbe contemplata dalla legge delega «(art. 7 e punti n. 9, 10 e 11 dell’allegato 1 della legge 8.3.1999, n. 50 modificata dall’art. 1, comma 6, lettere d ed e della legge 24 novembre 2000, n. 340 intitolata “Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998”)»;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente ritiene anzitutto che entrambe le attività oggetto di contestazione («mancata adozione della disposizione» di dissequestro «in sentenza e ritardo nell’emissione del provvedimento “riparatore”») siano da qualificarsi quali attività stricto sensu giudiziarie o, comunque, strumentali ad esse;

che il rimettente sostiene, poi, che l’articolo 172 del testo unico n. 113 del 2002 (poi trasfuso nell’articolo 172 del testo unico n. 115 del 2002), nell’estendere, sia pure con una interpretazione autentica, le ipotesi di responsabilità dei magistrati per il non corretto esercizio della predetta attività giudiziaria (o strumentale) ai danni diretti (all’erario), non si darebbe carico di assicurare (diversamente da quanto invece dispone la legge n. 117 del 1988 per le ipotesi di danni indiretti ovvero arrecati ai terzi) le necessarie guarentigie alla loro peculiare posizione istituzionale e, in tal senso, violerebbe i principi costituzionali di indipendenza, insindacabilità e autonomia dei magistrati (artt. 101, 102, 104 e 108 Cost.);

che, a dire del rimettente, «tale assunto» non sarebbe «smentito dalla sent. n. 385 del 1996 della Corte costituzionale – che, nel dirimere un conflitto di attribuzione, ha affermato la ipotizzabilità della giurisdizione della Corte dei conti per responsabilità dei magistrati, non essendo tale soluzione in contrasto con la Costituzione – poiché, nel caso, non si prospetta una incostituzionalità della giurisdizione di questo giudice sic et simpliciter, ben attribuibile dal legislatore (e del resto già prevista dalla legge n. 117 del 1988 per le sole ipotesi di reato, nel campo delle azioni per danni a terzi), bensì si prospetta una carenza di garanzie sull’autonomia, sull’indipendenza e sulla pienezza della funzione giudiziaria dei magistrati di cui si è preoccupata, invece, come detto, la citata legge n. 117 del 1988 nel prevedere ipotesi di responsabilità colpose quali quelle oggi all’esame»;

che il rimettente richiama, inoltre, le sentenze n. 243 del 1989, n. 5, n. 406 e n. 468 del 1990 di questa Corte, dalle quali trae argomenti per sostenere la «indispensabilità di un “filtro”» per la responsabilità (civile o amministrativa) dei magistrati, non essendo possibile ricondurre la loro posizione alla disciplina risarcitoria della generalità dei dipendenti pubblici senza arrecare un vulnus ai sopra ricordati principi costituzionali;

che l’articolo 172 del testo unico n. 113 del 2002 (poi trasfuso nell’articolo 172 del testo unico n. 115 del 2002) sarebbe, altresì, in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, per l’irragionevolezza della differenziazione tra la disciplina dei danni indiretti (assistiti da particolari guarentigie) e quelli diretti (non assistiti da alcuna guarentigia) derivanti da comportamenti colposi sempre riconducibili ad attività giudiziaria;

che la norma impugnata sarebbe, infine, in contrasto, sotto diverso profilo, sempre con l’articolo 108 della Costituzione, in quanto, essendo stata «emanata con decreto legislativo basato su una normativa preesistente che non riguardava i magistrati» violerebbe la riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario prevista da tale articolo della Costituzione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la inammissibilità e la manifesta infondatezza della questione, in quanto la norma censurata non introdurrebbe innovazioni, neppure per interpretazione autentica, in ordine alla responsabilità del magistrato e la questione sottoposta a questa Corte non avrebbe, pertanto, una reale «norma oggetto»;

che la difesa erariale ritiene, in particolare, che l’articolo 172 del testo unico n. 113 del 2002 (poi trasfuso nell’articolo 172 del testo unico n. 115 del 2002) «semplicemente» chiarisca «quello che già si sapeva, e cioè che anche il magistrato, quando emana atti amministrativi, opera come qualsiasi funzionario pubblico, e dunque risponde – come tutti gli altri – per i danni erariali che dovesse provocare», e che tale questione non avrebbe, comunque, «a che vedere con quella odierna».

Considerato che la Corte dei conti – sezione giurisdizionale centrale solleva questione di legittimità costituzionale dell’articolo 172 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia. Testo B), trasfuso nell’art. 172 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Testo A), in riferimento agli articoli 3, 101, 102, 104 e 108 della Costituzione;

che il rimettente muove dal presupposto che questa previsione estenderebbe in via retroattiva, con norma di interpretazione autentica, le ipotesi di responsabilità dei magistrati per il non corretto esercizio della predetta attività giudiziaria (o strumentale) ai danni diretti (all’erario);

che tale prospettazione è accompagnata dalla specificazione che, ai sensi della previgente disciplina della responsabilità amministrativa (che il rimettente identifica negli articoli 10, comma 3, del decreto legislativo n. 237 del 1997, 455 del regio decreto n. 827 del 1924, 81, 82 e 83 del regio decreto n. 2440 del 1923, 52 del regio decreto n. 1214 del 1934 e 1 della legge n. 20 del 1994), non sarebbe configurabile una responsabilità dei magistrati per attività giudiziaria;

che il rimettente nega, peraltro, natura innovativa alla previsione censurata, sull’assunto che, altrimenti, essa sarebbe in contrasto con l’articolo 76 della Costituzione, atteso il carattere meramente ricognitivo della delega legislativa esercitata «(art. 7 e punti n. 9, 10 e 11 dell’allegato 1 della legge 8.3.1999, n. 50 modificata dall’art. 1, comma 6, lettere d) ed e) della legge 24 novembre 2000, n. 340 intitolata “Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998”)»;

che tali argomentazioni sono erronee e, in tutta evidenza, contraddittorie;

che l’impugnato articolo 172 del decreto legislativo n. 113 del 2002 non ha, infatti, alcun contenuto innovativo dell’ordinamento giuridico previgente, limitandosi a prevedere che «i magistrati e i funzionari amministrativi sono responsabili delle liquidazioni e dei pagamenti da loro ordinati e sono tenuti al risarcimento del danno subito dall’erario a causa degli errori e delle irregolarità delle loro disposizioni, secondo la disciplina generale in tema di responsabilità amministrativa»;

che, pertanto, la norma censurata non ha alcuna incidenza sulla questione della responsabilità dei magistrati per attività giudiziaria oggetto del giudizio a quo, la quale trova la sua soluzione nell’interpretazione dell’ambito oggettivo e soggettivo della disciplina dettata in tema di responsabilità amministrativa ovvero di disposizioni non fatte oggetto di censura dal giudice a quo;

che, d’altro canto, l’assunto del rimettente è intrinsecamente contraddittorio, laddove, da un lato, indica nel carattere non innovativo (bensì interpretativo e retroattivo) della disposizione il presupposto della sua applicazione a fatti avvenuti anteriormente alla sua entrata in vigore e, dall’altro, individua la lesività della norma nel suo carattere innovativo di una precedente disciplina, dalla quale, a dire del rimettente (ma in senso affatto diverso v., da ultimo, ordinanza n. 6582 del 2006 delle Sezioni unite della Cassazione), non sarebbe desumibile una responsabilità del magistrato per danno arrecato all’erario nell’esercizio dell’attività giudiziaria;

che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli articoli 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

La Corte costituzionale

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 172 del decreto legislativo 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia. Testo B), trasfuso nell’articolo 172 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia. Testo A), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 101, 102, 104 e 108 della Costituzione, dalla Corte dei conti – sezione giurisdizionale centrale con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Paolo MADDALENA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2006.