ORDINANZA N. 177
ANNO 2006
REPUBBLICA
ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
composta dai Signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
-
Ugo DE
SIERVO "
-
Romano VACCARELLA "
-
Paolo MADDALENA "
-
Alfio FINOCCHIARO "
-
Alfonso QUARANTA "
-
Franco GALLO "
-
Luigi MAZZELLA "
-
Gaetano SILVESTRI "
-
Sabino CASSESE "
-
Maria Rita SAULLE "
-
Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 112, comma
1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico
delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia
– Testo A), promosso con ordinanza del 18 novembre 2004 dalla Corte di
cassazione sul ricorso proposto dal Altomonte Luciano, iscritta al n. 220 del
registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 17, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei
ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2006 il Giudice
relatore Alfio Finocchiaro.
Ritenuto che, con ordinanza del 18 novembre 2004, la Corte di Cassazione ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 112, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A) in riferimento all’art. 77, primo comma, della Costituzione;
che, secondo il rimettente, il difensore di un imputato, nell’ambito di un procedimento penale in ordine al reato di cui all’art. 80, comma 2, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), aveva proposto ricorso per cassazione avverso il decreto con il quale la Corte d’appello di Bari aveva revocato de plano, ai sensi degli artt. 112, 113 e 114 del d.P.R. n. 115 del 2002, su richiesta avanzata dall’Agenzia delle entrate di Bari, il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, emesso dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, sulla base della presunzione di sussistenza di una disponibilità di reddito superiore al limite massimo fissato dalla normativa di settore, desumibile dalla definitiva sentenza di condanna, laddove si era accertato che l’imputato aveva posto in essere, a fini di lucro, un’attività di spaccio di sostanze stupefacenti di notevole rilevanza;
che il difensore dell’imputato lamentava che il provvedimento impugnato era stato emesso, ai sensi dell’art. 112 del d.P.R. n. 115 del 2002, con decreto de plano, con conseguente violazione del principio del contraddittorio;
che tale d.P.R. raccoglie i testi unici delle disposizioni legislative di cui al d.lgs. 30 maggio 2002, n. 113 (Testo unico delle disposizioni legislative in materia di spese di giustizia – Testo B) e di quelle regolamentari di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 114 (Testo unico delle disposizioni regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo C);
che il d.lgs. n. 113 del 2002 trova il suo fondamento nella delega contenuta nell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998), come modificato dall’art. 1, comma 6, della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1999);
che dal preambolo dello stesso decreto legislativo emergerebbe che la delega è esercitata con riferimento alle materie indicate ai nn. 9, 10 e 11 dell’allegato n. 1 della predetta legge n. 50 del 1999, che, rispettivamente, attengono al procedimento di gestione ed alienazione dei beni sequestrati e confiscati, al procedimento relativo alle spese di giustizia ed ai procedimenti per l’iscrizione a ruolo ed al rilascio di copie di atti in materia tributaria ed in sede giurisdizionale, cioè all’intera materia delle spese di giustizia, che costituisce l’oggetto sostanziale della delega stessa;
che la Corte di cassazione ha in più occasioni (v. Cass. 25 febbraio 2004, imp. Lustri e, da ultimo, 14 luglio 2004, imp. Pangallo) sottolineato che l’oggetto della delega, contenuta nell’art. 7, comma 2, lettera d), della legge n. 50 del 1999, è espressamente limitato al «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti» con facoltà di «apportare nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa, anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo», con la conseguenza che in nessun modo le singole norme del testo unico possono essere interpretate nel senso volto a determinare apprezzabili modifiche, in particolare a detrimento delle tutele sostanziali e procedimentali già riconosciute, rispetto alla situazione normativa precedente;
che, pertanto, emergerebbe un contrasto del richiamato art. 112 del d.P.R. n. 115 del 2002 con il contenuto della legge di delega, là dove questa attribuirebbe al legislatore delegato un potere limitato, tale da escludere la possibilità di qualsiasi modifica sostanziale delle strutture portanti della disciplina delle materie cui la delega stessa si riferisce;
che la citata disposizione avrebbe ridisciplinato, sotto il profilo sostanziale, tutte le ipotesi di revoca del beneficio, prevedendo, alle lettere a), b) e c) del comma 1, le revoche «d’ufficio» di carattere c.d. formale, ed alla lettera d) dello stesso comma 1, quella «su richiesta dell’ufficio finanziario, presentata in ogni momento, e comunque non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito»;
che l’art. 113 ribadisce poi la ricorribilità per cassazione (non più limitata ai soli casi di «violazione di legge») solo contro il decreto che decide sulla richiesta di revoca dell’Ufficio finanziario;
che, secondo il giudice a quo, la norma impugnata, sotto il profilo squisitamente procedimentale, statuisce, invece, che in tutte le ipotesi previste, il magistrato revoca l’ammissione con decreto motivato;
che la norma sarebbe decisamente innovativa rispetto al sistema della legge n. 217 del 1990 che prevedeva, all’art. 10, comma 2, nelle ipotesi di revoca o modifica del provvedimento di ammissione su richiesta del pubblico ministero o dell’ufficio finanziario (come nel caso in esame), l’applicabilità della procedura di cui all’art. 6, comma 4, che rinviava, a sua volta, all’art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e cioè ad una disposizione che dettava, in proposito, una disciplina ispirata a garantire il principio del contraddittorio (essendo, tra l’altro, prevista la comparizione degli interessati davanti al giudice);
che sarebbe, pertanto, evidente che la nuova normativa avrebbe abrogato il procedimento in contraddittorio tra le parti precedentemente previsto avverso la revoca del provvedimento di ammissione, ora non più richiamato neppure implicitamente, determinando una sostanziale modifica del previgente sistema, che, secondo il rimettente, non sarebbe autorizzato dal legislatore delegante, in contrasto con l’art. 77, primo comma, Cost.;
che la questione sarebbe infine rilevante per la definizione del giudizio a quo, perché, vertendosi in materia processuale, sarebbe stata fatta applicazione del principio tempus regit actum tenuto conto che la richiesta di revoca dell’Agenzia delle entrate è dell’8 gennaio 2003;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata infondata, dal momento che la delega conferita al Governo dall’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, costituisce altresì legge di semplificazione annuale e, dunque, si ispira alle disposizioni della legge 15 marzo 1997, n. 59, che concerne proprio le deleghe contenute nelle leggi di semplificazione, e il cui art. 20 stabilisce che l’esercizio delle deleghe di cui alle leggi di semplificazione attiene a principi di semplificazione e snellimento procedurale;
che tali principi si affiancherebbero a quelli di cui alla legge n. 50 del 1999 che, secondo la prospettazione del rimettente, legittimerebbe solo interventi di coordinamento formale;
che, secondo l’Avvocatura, l’interpretazione riduttiva della legge di delega sarebbe in contrasto con le sentenze della Corte costituzionale n. 52 e n. 54 del 2005, dal momento che la sentenza n. 52 del 2005 legittima il legislatore ad operare interventi idonei al raggiungimento dell’obiettivo del riordino logico e sistematico della materia, e che la sentenza n. 54 del 2005, confermando l’esperibilità del ricorso per cassazione in caso di revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, comporterebbe che la denunciata abrogazione del procedimento in contraddittorio sarebbe compensata dalla predisposizione di un rimedio di più ampia e completa tutela nei confronti del provvedimento emesso de plano.
Considerato che la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’art. 112, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), in tema di patrocinio a spese dello Stato, nella parte in cui prevede che, in caso di richiesta proveniente dall’Ufficio finanziario competente, il magistrato provvede alla revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato con decreto emesso de plano, per violazione dell’art. 77, primo comma, della Costituzione, per essere stata la norma impugnata emanata in assenza di delega legislativa, in quanto la delega stessa si limiterebbe a permettere un coordinamento meramente formale di norme preesistenti, mentre la norma impugnata sarebbe fortemente innovativa rispetto al sistema della precedente legge 30 luglio 1990, n. 217 (Istituzione del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti), abrogata dal d.P.R. n. 115 del 2002, che prevedeva, all’art. 10, comma 2, nelle ipotesi di revoca o modifica del provvedimento di ammissione su richiesta dell’ufficio finanziario, l’applicabilità della procedura di cui all’art. 6, comma 4, che rinviava, a sua volta, all’art. 29 della legge 13 giugno 1942, n. 794, e cioè ad una disposizione che dettava una disciplina ispirata a garantire il principio del contraddittorio;
che questa Corte – proprio con riferimento al decreto legislativo impugnato – ha affermato che, tra i criteri direttivi individuati nella delega, assume rilievo quello previsto dalla lettera d), comma 2, dell’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 (Delegificazione e testi unici di norme concernenti procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1998), come modificato dall’art. 1 della legge 24 novembre 2000, n. 340 (Disposizioni per la delegificazione di norme e per la semplificazione di procedimenti amministrativi – legge di semplificazione 1999) concernente il «coordinamento formale del testo delle disposizioni vigenti apportando, nei limiti di detto coordinamento, le modifiche necessarie per garantire la coerenza logica e sistematica della normativa anche al fine di adeguare e semplificare il linguaggio normativo», aggiungendo che «se l’obiettivo è quello della coerenza logica e sistematica della normativa, il coordinamento non può essere solo formale, come non ha mancato di sottolineare il Consiglio di Stato nel parere espresso nel corso della procedura di approvazione del testo unico» e che, «se l’obiettivo è quello di ricondurre a sistema una disciplina stratificata negli anni, con la conseguenza che i principî sono quelli già posti dal legislatore, non è necessario che – come vorrebbe il rimettente – sia espressamente enunciato nella delega il principio già presente nell’ordinamento, essendo sufficiente il criterio del riordino di una materia delimitata», con la conseguenza che «entro questi limiti il testo unico poteva innovare per raggiungere la coerenza logica e sistematica» (sentenza n. 52 del 2005);
che, del resto, nonostante un difetto di coordinamento normativo delle disposizioni trasfuse nel testo unico ed in parte novellate, si può ricavare dal sistema la possibilità di una interpretazione adeguatrice secondo la quale è sempre esperibile, nei confronti dei provvedimenti di revoca della ammissione al patrocinio a spese dello Stato emessi dal giudice competente, il ricorso al Presidente del tribunale o della corte di appello, i cui provvedimenti sono ricorribili per cassazione ovvero, in caso di revoca richiesta dall’ufficio finanziario, direttamente il ricorso per cassazione;
che, come già affermato da questa Corte, «per "diritto vivente”, come espresso in numerose pronunce della Corte di cassazione, confermato dalla recente sentenza delle sezioni unite penali del 14 luglio 2004, n. 36168, tutti i provvedimenti che dispongono in ordine alla ammissione al patrocinio a spese dell’erario, compresi quelli di revoca di un precedente provvedimento, sono impugnabili negli stessi termini e con i medesimi rimedi stabiliti dall’art. 99 del d.P.R. n. 115 del 2002, non avendo il testo unico abrogato i diritti e le garanzie difensive previsti dalla previgente disciplina» (sentenza n. 54 del 2005);
che il rimettente è partito quindi da un presupposto interpretativo erroneo e da una incompleta ricostruzione del quadro normativo e giurisprudenziale, con conseguente manifesta infondatezza della questione sollevata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 112, comma 1, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia – Testo A), sollevata, in riferimento all’art. 77, primo comma, della Costituzione, dalla Corte di cassazione, con l’ordinanza in epigrafe.
Così
deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 aprile 2006.
F.to:
Maria