Ordinanza n. 159 del 2006

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ORDINANZA N. 159

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

- Annibale                   MARINI                                  Presidente

- Franco                      BILE                                       Giudice

- Giovanni Maria         FLICK                                          "

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Romano                    VACCARELLA                            "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 179 e 180 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza del 15 marzo 2004 dalla Corte d’assise d’appello di Venezia, nel procedimento penale a carico di C. D., iscritta al n. 660 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 32, prima serie speciale, dell’anno 2004.

 

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

 

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe la Corte d’assise d’appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione ed «ai principi pure costituzionalizzati della speditezza, dell’economia e dell’efficienza del processo», questioni di legittimità costituzionale: a) in via principale, dell’art. 180 del codice di procedura penale; b) in via subordinata, dell’art. 179 del medesimo codice; c) ed in via ulteriormente subordinata, di entrambe le citate norme, nella parte in cui le stesse non prevedono che, nell’ipotesi di elezione di domicilio presso il difensore, le nullità afferenti alla notificazione di avvisi o citazioni all’imputato che ha eletto il domicilio debbano essere eccepite nei tempi e nelle forme di cui all’art. 181, comma 3, cod. proc. pen.;

 

che l’ordinanza premette, in punto di fatto, che il difensore dell’imputato aveva eccepito − per la prima volta con i motivi di appello −  la nullità assoluta dell’udienza preliminare per nullità della notificazione al proprio assistito del relativo decreto di fissazione, e la nullità assoluta del processo, per nullità della notificazione all’imputato medesimo del decreto che dispone il giudizio;

 

che, a sostegno dell’eccezione, l’appellante aveva rilevato come, avendo l’imputato eletto domicilio presso il difensore, ambedue le anzidette notifiche fossero state eseguite mediante consegna al portiere dello stabile nel quale era ubicato lo studio legale: con omissione, tuttavia, delle formalità previste dai commi 3 e 4 dell’art. 157 cod. proc. pen., e, in particolare, senza che l’ufficiale giudiziario avesse dato notizia al destinatario dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento;

 

che tale formalità doveva ritenersi necessaria a fronte del fatto che il portiere, benché qualificato nella relata di notifica come «addetto che cura la consegna», non apparteneva all’organico dello studio legale: donde − ad avviso della difesa − la nullità assoluta ed insanabile delle notifiche in questione, rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio;

 

che, al riguardo, la Corte rimettente osserva come, all’esito della disposta rinnovazione parziale del dibattimento, non risultasse in effetti provato in modo adeguato un collegamento, sia pur saltuario, della persona che aveva ricevuto le due notificazioni con lo studio legale del difensore dell’imputato;

 

che, nondimeno, entrambi gli atti erano stati comunque consegnati allo studio, come poteva desumersi sia dalla circostanza che il difensore − al quale l’avviso della fissazione dell’udienza preliminare era stato notificato con le medesime modalità − fosse comparso in detta udienza, senza sollevare eccezioni in ordine alla notificazione a sé destinata; sia dalle dichiarazioni rese, in veste di testimone, dal portiere consegnatario;

 

che si sarebbe, di conseguenza, al cospetto non già di un’omessa notifica, ma di una notifica eseguita in modo irregolare, integrativa, come tale, di una nullità di ordine generale (ex art. 178, comma 1, lettera c, cod. proc. pen.), diversa da quelle assolute − rilevabili anche d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento − di cui all’art. 179 cod. proc. pen.: e ciò in quanto − anche alla luce delle indicazioni ritraibili dalla relazione preliminare al codice di procedura penale − la fattispecie dell’omessa citazione dell’imputato, sanzionata dalla disposizione da ultimo citata, sarebbe configurabile nel solo caso in cui la notificazione non sia stata mai effettuata, e non anche quando la notificazione abbia invece portato, come nella specie, ad una conoscenza «non legale» dell’atto da parte del destinatario;

 

che le nullità denunciate dalla difesa resterebbero pertanto disciplinate dall’art. 180 cod. proc. pen.: prospettiva nella quale − mentre la nullità concernente la notificazione dell’avviso per l’udienza preliminare risulterebbe tardivamente dedotta − sarebbe tempestiva l’eccezione di nullità inerente alla notificazione del decreto che dispone il giudizio; sicché, in applicazione dell’art. 604, comma 4, cod. proc. pen., la sentenza impugnata andrebbe annullata, con rinvio degli atti al giudice di primo grado;

 

che, ciò premesso, la Corte rimettente dubita, tuttavia, della legittimità costituzionale del citato art. 180 cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di elezione di domicilio presso il difensore, le nullità afferenti alla notificazione di avvisi o citazioni all’imputato che ha eletto il domicilio debbano essere eccepite nei tempi e nelle forme di cui all’art. 181, comma 3, cod. proc. pen. (ossia secondo le regole valevoli per le nullità relative);

 

che le modalità delle notificazioni degli avvisi e delle citazioni all’imputato mirano a garantire la conoscenza legale della chiamata in giudizio del soggetto nei cui confronti viene esercitata l’azione penale, la quale rappresenta uno dei momenti essenziali per la costituzione di un «rituale ed efficace rapporto processuale» e, quindi, per l’esercizio del diritto di difesa; sicché si giustificherebbe, in linea di principio, la previsione della possibilità di eccepire l’irregolarità della notifica nei tempi e nei modi di cui al citato art. 180, avendo il legislatore ritenuto, nell’esercizio della propria discrezionalità, che nel contrasto tra l’interesse all’efficienza, alla speditezza ed all’economia processuale, e quello alla rituale costituzione del rapporto processuale − ritualità che, nella materia considerata, riguarderebbe peraltro solo l’aspetto della correttezza legale delle forme − debba essere privilegiato il secondo, almeno nei termini procedimentali posti dallo stesso art. 180;

 

che tale assetto normativo si rivelerebbe tuttavia irrazionale − con conseguente violazione dell’art. 3 Cost., assistendosi ad un trattamento identico di situazioni ben diverse − allorché l’imputato abbia eletto domicilio presso il difensore, il quale è destinatario di una propria ed autonoma notifica per il medesimo incombente;

 

che a seguito di detta elezione di domicilio, difatti, l’irregolarità viene immediatamente portata a conoscenza dello stesso difensore tecnico, e cioè proprio di colui che è nelle condizioni di eccepirla;

 

che il difensore domiciliatario, d’altra parte, ha sempre − e, quindi, anche nel caso di notifica regolare − il preciso obbligo, «deontologico, contrattuale (e) procedimentale», di avvertire il proprio assistito della fissazione dell’incombente in relazione al quale ha ricevuto per suo conto la notifica: né potrebbe ipotizzarsi che egli ignori di essere stato designato come domiciliatario, giacché tale circostanza risulta comunque con chiarezza dallo stesso decreto di citazione;

 

che, a fronte di ciò, il fatto che il difensore domiciliatario non sia tenuto ad eccepire i vizi della notificazione ricevuta per conto dell’imputato nei termini previsti dall’art. 181, comma 3, cod. proc. pen. − il che basterebbe a garantire adeguatamente l’interesse alla regolarità anche formale delle notificazioni in parola − ma possa invece farlo in quelli di cui all’art. 180 cod. proc. pen., si tradurrebbe in una soluzione normativa priva di valida ragione;

 

che essa sacrificherebbe gravemente, infatti, i principi di ragionevole durata, efficienza, speditezza ed economia del processo, senza salvaguardare alcun apprezzabile interesse della parte, se non quello, eventuale e non costituzionalmente protetto, alla prescrizione dei reati;

 

che si consentirebbero, in tal modo, manovre dilatorie, analoghe a quella avutasi nel giudizio a quo; il difensore domiciliatario − il quale abbia ricevuto la contestuale notificazione della propria citazione e sia altresì consapevole delle irregolarità che inficiano entrambe le notifiche ricevute − potrebbe infatti comparire (con l’effetto tra l’altro di sanare la nullità che lo riguarda, ai sensi dell’art. 184, comma 1, cod. proc. pen.), senza però dedurre quella concernente il proprio assistito: facendo così celebrare l’intero giudizio di primo grado, salvo poi proporre la questione con i motivi di appello;

 

che, in via subordinata − nell’ipotesi in cui dovesse ritenersi che la nullità della notificazione equivalga ad omissione della stessa, dando così luogo ad una nullità assoluta disciplinata dall’art. 179 cod. proc. pen. − il giudice a quo sottopone a scrutinio di costituzionalità quest’ultima disposizione, rilevando come le argomentazioni svolte a dimostrazione della non manifesta infondatezza della questione sollevata in via principale valgano a fortiori qualora le irregolarità di cui si discute integrassero una nullità ancora più grave, rilevabile in ogni stato e grado del processo;

 

che, da ultimo, ed in via ulteriormente subordinata − ove si reputasse che la sussunzione della fattispecie considerata nell’ambito dell’una o dell’altra categoria di nullità resti affidata al giudice ordinario − la Corte rimettente denuncia l’illegittimità costituzionale di entrambe le norme;

 

che le questioni, gradatamente poste nei termini dianzi indicati, sarebbero altresì rilevanti nel giudizio a quo, giacché il loro accoglimento consentirebbe di evitare l’annullamento della sentenza impugnata e, dunque, di decidere l’appello nel merito;

 

che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate inammissibili per difetto di rilevanza e, comunque, manifestamente infondate.

 

Considerato che la Corte d’assise d’appello di Venezia dubita della legittimità costituzionale dell’art. 180 codice procedura penale, nella parte in cui sottopone alla disciplina delle nullità c.d. a regime intermedio − anziché a quella prevista dall’art. 181, comma 3, cod. proc. pen. in rapporto alle nullità relative − anche le nullità concernenti le notificazioni o gli avvisi all’imputato che ha eletto domicilio presso il difensore;

 

che, in via subordinata − e per l’ipotesi in cui la fattispecie oggetto del giudizio a quo (attinente a citazione non omessa, ma notificata in modo irregolare, senza pregiudizio per l’effettiva conoscenza dell’atto) fosse ritenuta integrativa di una nullità assoluta, ai sensi dell’art. 179 cod. proc. pen. − la Corte rimettente sottopone a scrutinio di costituzionalità, in omologhi termini, quest’ultima disposizione; salvo a denunciare poi cumulativamente, in via di ulteriore subordine, entrambe le disposizioni, qualora la collocazione dell’anzidetta fattispecie nell’una o nell’altra categoria di nullità fosse reputata di competenza del giudice ordinario;

 

che la premessa ermeneutica posta a base della questione sollevata in via principale − relativa all’esigenza di distinguere, ai fini considerati, la citazione omessa dalla citazione irregolarmente notificata − risulta plausibile, avendo trovato l’avallo delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (v. sentenza 7 gennaio 2005, n. 119) e della successiva giurisprudenza di legittimità;

 

che alla stregua di tale indirizzo interpretativo, difatti, la nullità assoluta ed insanabile prevista dall’art. 179 cod. proc. pen. ricorre soltanto nel caso in cui la notificazione della citazione dell’imputato sia stata radicalmente omessa, ovvero quando − essendo stata eseguita in forme diverse da quelle prescritte − essa risulti astrattamente o concretamente inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell’atto da parte del destinatario; con la conseguenza che la notificazione irrituale, ma comunque atta a garantire l’anzidetta conoscenza, ricade nel novero delle nullità c.d. a regime intermedio, di cui all’art. 180 cod. proc. pen.;

 

che, nella specie, il giudice a quo ha ampiamente argomentato riguardo al fatto che − ad onta dell’omissione dell’avviso dell’avvenuta notifica mediante lettera raccomandata, prescritto dall’art. 157, comma 3, cod. proc. pen. − la consegna dell’atto al portiere aveva comunque assicurato al difensore domiciliatario dell’imputato una effettiva e piena conoscenza dell’atto ricevuto per conto del suo assistito;

 

che in questa prospettiva, tuttavia, l’affermazione della Corte rimettente circa la rilevanza della questione nel giudizio a quo − avuto riguardo all’eccezione di nullità del decreto che dispone il giudizio, dedotta dal difensore dell’imputato per la prima volta con i motivi di appello − appare basata su un presupposto del tutto indimostrato;

 

che, a mente dell’art. 180 cod. proc. pen., infatti, le nullità c.d. a regime intermedio non possono essere più dedotte «dopo la deliberazione della sentenza di primo grado»: mentre solo per quelle che si sono verificate «nel giudizio» la preclusione si sposta al momento di «deliberazione della sentenza del grado successivo»;

 

che, nell’assumere che l’anzidetta eccezione di nullità della difesa sarebbe tempestiva ai sensi della disposizione ora citata, la Corte rimettente dà, dunque, per scontato che la nullità della notificazione del decreto che dispone il giudizio si debba considerare verificata «nel giudizio»: il che, invece, è tutto da dimostrare, dato che tale notificazione rappresenta un incombente anteriore e prodromico all’instaurazione di detta fase processuale;

 

che, al riguardo, basti considerare − sul piano della sistematica legislativa − che l’obbligo di notificazione del decreto in parola è previsto dall’art. 429, comma 4, cod. proc. pen., ossia da una disposizione collocata non già nel Libro VII (dedicato al «giudizio»), ma nel Libro V (intitolato «indagini preliminari e udienza preliminare»);

 

che, inoltre, l’art. 181 cod. proc. pen. − nel disciplinare i termini per la deduzione delle nullità relative − distingue chiaramente «le nullità concernenti il decreto che dispone il giudizio» (cui è riferimento nel comma 3) dalle nullità verificatesi «nel giudizio» (comma 4);

 

che, d’altro canto, le stesse Sezioni Unite della Corte di cassazione, nella sentenza dianzi citata − concernente una nullità analoga a quella che al presente interessa, in quanto riguardante

 

anch’essa la notifica del decreto che dispone il giudizio e qualificabile come nullità a regime intermedio − hanno specificamente affermato che tale nullità deve essere eccepita nel giudizio di primo grado: e ciò tenuto conto anche dell’esigenza di evitare la lesione dei parametri costituzionali evocati dall’odierno rimettente − sotto il profilo dell’irragionevole prolungamento del processo e della possibile strumentalizzazione del vizio dell’atto da parte dell’imputato − cui darebbe luogo una soluzione di diverso segno;

 

che, pertanto, il risultato concreto che il giudice a quo vorrebbe conseguire sostituendo, in parte qua, la disciplina di cui all’art. 180 cod. proc. pen. con quella di cui all’art. 181, comma 3, dello stesso codice − ossia la declaratoria di inammissibilità, per tardività, dell’eccezione della difesa, così da evitare l’annullamento della sentenza di primo grado − appare, in realtà, già assicurato dal citato art. 180: né, d’altra parte, la Corte rimettente allega alcun argomento che osti ad una simile conclusione, in rapporto a quanto appena sopra evidenziato;

 

che, di conseguenza, le questioni sollevate vanno dichiarate manifestamente inammissibili per difetto di rilevanza.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 179 e 180 del codice di procedura penale, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 111, secondo comma, della Costituzione, dalla Corte d’assise d’appello di Venezia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 5 aprile 2006.

 

Annibale MARINI, Presidente

 

Giovanni Maria FLICK, Redattore

 

Depositata in Cancelleria il 14 aprile 2006.