ORDINANZA N. 149
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), promosso con ordinanza del 27 agosto 2005 dal Giudice di pace di Menfi, nel giudizio civile vertente tra la società cooperativa Autotrasporti Adranone a r. l. e la s.p.a. Montepaschi SE.RI.T., iscritta al n. 560 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri,
udito nella camera di consiglio del 22 marzo 2006 il Giudice relatore Franco Gallo.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile, promosso nei confronti della s. p. a. Montepaschi SE.RI.T., concessionaria del servizio di riscossione dei tributi, dalla società cooperativa Autotrasporti Adranone a r. l., per il risarcimento dei danni derivanti dal fermo di due autoveicoli di sua proprietà disposto dalla convenuta, il Giudice di pace di Menfi, con ordinanza del 27 agosto 2005, ha sollevato – in riferimento agli articoli 3 e 24 della Costituzione – questioni di legittimità dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), quale modificato dall’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), «nella parte in cui non prevede l’Autorità Giurisdizionale dinanzi alla quale sarebbe esperibile un eventuale giudizio di opposizione e nella parte in cui non è previsto un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario deve intraprendere le azioni esecutive, decorso il quale il fermo perde efficacia»;
che il giudice a quo premette: a) che la società concessionaria, a séguito del mancato pagamento delle somme portate da quattro cartelle esattoriali, notificate alla società attrice per l’omesso versamento di tributi e contributi previdenziali, ha disposto il fermo dei predetti autoveicoli ai sensi del censurato art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973 e del regolamento adottato con il decreto ministeriale 7 settembre 1998, n. 503 (Regolamento recante norme in materia di fermo amministrativo di veicoli a motore ed autoscafi, ai sensi dell’art. 91-bis del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, introdotto con l’art. 5, comma 4, del decreto-legge 31 dicembre 1996, n. 669, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30); b) che, in assenza di atti di esecuzione, l’attrice ha successivamente pagato parte di dette somme, restando debitrice di quelle relative all’omesso versamento dei contributi previdenziali; c) che la stessa attrice ha chiesto la condanna della concessionaria al risarcimento dei danni subiti per la indisponibilità degli autoveicoli assoggettati a fermo, previo accertamento della illegittimità di tale misura, perché disposta in mancanza del regolamento di attuazione di cui al comma 4 del citato art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, in materia di recupero di contributi previdenziali, estranea all’àmbito di applicazione dell’istituto, senza previa intimazione al debitore di pagare le somme iscritte a ruolo entro il termine di venti giorni ed in violazione dell’art. 50 dello stesso d.P.R. n. 602 del 1973; d) che la convenuta ha pregiudizialmente eccepito sia l’improponibilità della domanda per la formazione di un giudicato sul difetto di giurisdizione del giudice ordinario e, comunque, per difetto di giurisdizione del giudice adíto, sia l’incompetenza per valore di quest’ultimo; e) che, nel merito, la stessa convenuta ha concluso per la reiezione della domanda;
che il rimettente, respinte tali eccezioni e ritenuto applicabile il fermo anche alla riscossione coattiva delle entrate degli enti previdenziali, ha affermato che, in assenza di un nuovo regolamento di attuazione successivo alla riforma apportata all’istituto dal menzionato decreto legislativo n. 193 del 2001, «continua ad avere validità» il citato decreto ministeriale n. 503 del 1998;
che, quanto alla rilevanza, lo stesso rimettente afferma che le sollevate questioni incidono sulla definizione del giudizio principale, «(salvo la prova del danno)», in quanto «l’applicazione dell’art. 86 nella versione vigente, e del D.M. 503/98 dovrebbe condurre […] ad affermare la legittimità del disposto fermo e, conseguentemente, a respingere la domanda di risarcimento danni»;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il giudice a quo ritiene che il censurato art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973, nella parte in cui omette di indicare l’organo giurisdizionale competente a conoscere le controversie sul fermo, lederebbe il diritto di difesa del cittadino sancito dall’evocato art. 24 Cost., «con particolare riguardo all’aspetto teso a garantire […] l’effettività della tutela giurisdizionale»;
che inoltre, per lo stesso giudice a quo, l’omessa previsione, in tale articolo, di un termine di efficacia del fermo violerebbe gli artt. 3 e 24 Cost., in quanto: a) assoggetterebbe a tempo indefinito il cittadino alla azione esecutiva del concessionario, compromettendo la «certezza del diritto»; b) determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i debitori assoggettati alla esecuzione forzata ordinaria e quelli soggetti – come nella specie – ad esecuzione esattoriale, in quanto, ancorché il fermo produca «gli stessi effetti sostanziali del pignoramento», i termini perentori stabiliti dagli artt. 481 e 497 del codice di procedura civile per la cessazione di efficacia del precetto e del pignoramento sono previsti solo per il procedimento di esecuzione forzata ordinaria e non anche per quello di esecuzione esattoriale; c) non sarebbe coerente, sul piano logico e sistematico, con le attività dell’amministrazione finanziaria e del concessionario anteriori all’emanazione del fermo, che sono, invece, scandite da termini precisi;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’inammissibilità o per la manifesta infondatezza delle questioni sollevate, perché le controversie relative all’applicazione del fermo di beni mobili registrati sarebbero devolute alla giurisdizione del giudice ordinario.
Considerato che il Giudice di pace di Menfi dubita, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, della legittimità dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), sia nella parte in cui non indica l’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale può promuoversi il giudizio di opposizione al fermo di beni mobili registrati, sia nella parte in cui non prevede, per tale fermo, un termine di efficacia entro il quale il concessionario deve intraprendere l’azione esecutiva a pena di decadenza dal diritto a procedere ad esecuzione forzata;
che le questioni sono sollevate in un giudizio civile, in cui la proprietaria di alcuni autoveicoli chiede la condanna della società concessionaria del servizio di riscossione dei tributi al risarcimento dei danni conseguenti al fermo di detti autoveicoli, previo accertamento dell’illegittimità del fermo stesso disposto dalla concessionaria;
che, con la prima questione, il giudice a quo deduce la violazione dell’art. 24 Cost., perché l’omessa indicazione dell’«autorità giurisdizionale dinanzi alla quale sarebbe esperibile un eventuale giudizio di opposizione alla misura del fermo» lederebbe il diritto di difesa, «con particolare riguardo all’aspetto teso a garantire al privato cittadino l’effettività della tutela giurisdizionale»;
che, con la seconda questione, il rimettente deduce la violazione degli artt. 3 e 24 Cost., perché l’omessa previsione di un termine di efficacia del fermo: a) assoggetterebbe a tempo indefinito il cittadino alla azione esecutiva del concessionario, compromettendo la «certezza del diritto»; b) determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra i debitori assoggettati alla esecuzione forzata ordinaria e quelli soggetti – come nella specie – ad esecuzione esattoriale, in quanto, ancorché il fermo produca «gli stessi effetti sostanziali del pignoramento», i termini perentori stabiliti dagli artt. 481 e 497 del codice di procedura civile per la cessazione di efficacia del precetto e del pignoramento sono previsti solo per il procedimento di esecuzione forzata ordinaria e non anche per quello di esecuzione esattoriale; c) non sarebbe coerente, sul piano logico e sistematico, con le attività dell’amministrazione finanziaria e del concessionario anteriori all’emanazione del fermo, che sono, invece, scandite da termini precisi;
che il rimettente osserva che «l’applicazione dell’art. 86 nella versione vigente e del D.M. 503/98 dovrebbe condurre […] ad affermare la legittimità del disposto fermo e, conseguentemente, a respingere la domanda di risarcimento danni» e, pertanto, ritiene le sollevate questioni rilevanti per la definizione del giudizio, «(salvo la prova del danno)»;
che le questioni sono manifestamente inammissibili, per diversi e concorrenti motivi;
che, in primo luogo, esse sono prive di motivazione sulla rilevanza, perché il giudice rimettente ha omesso di indicare le ragioni per le quali la dichiarazione di incostituzionalità della norma censurata e la conseguente illegittimità del fermo dovrebbero comportare, da parte dello stesso giudice, l’automatica affermazione della responsabilità della concessionaria; e ciò senza che esso abbia proceduto al previo accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo dell’illecito aquiliano;
che tale accertamento è, invece, richiesto dal diritto vivente in tema di responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione, secondo cui l’imputazione di tale responsabilità non consegue al mero dato obiettivo dell’illegittimità dell’azione amministrativa, ma richiede anche l’accertamento in concreto «della colpa […] della P.A. intesa come apparato» (sentenza delle sezioni unite della Corte di cassazione n. 500 del 1999; v. inoltre, ex plurimis, le successive sentenze della stessa Corte, numeri 20358 e 13164 del 2005);
che, in ogni caso, la richiamata espressione parentetica «salvo la prova del danno» non consente, a causa della sua genericità ed equivocità, di stabilire con certezza se tale accertamento sia stato effettuato;
che, pertanto, le indicate lacune motivazionali dell’ordinanza di rimessione impediscono il controllo di questa Corte circa l’applicabilità, nel giudizio a quo, della norma denunciata;
che, inoltre, la questione concernente l’omessa indicazione, nella norma censurata, del giudice competente sull’opposizione al fermo, sollevata in riferimento all’art. 24 Cost., è manifestamente inammissibile perché priva di motivazione sulla non manifesta infondatezza;
che, infatti, il giudice a quo non chiarisce le ragioni per cui l’obbligo per il legislatore di indicare il giudice competente sull’impugnazione del fermo sarebbe riconducibile all’art. 24 Cost., né precisa quali siano le difficoltà che tale omessa indicazione frapporrebbe all’esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale;
che la questione concernente l’omessa previsione di un termine di efficacia del fermo, sollevata in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., è altresí manifestamente inammissibile, perché, come risulta dall’ordinanza di rimessione, l’attrice nel giudizio principale non ha addotto, tra i motivi di illegittimità del fermo produttivi di danno, quello dell’indefinito protrarsi del fermo stesso causato dalla mancanza di un termine di efficacia; con la conseguenza che l’invocata dichiarazione di illegittimità costituzionale della norma oggetto di censura non avrebbe alcuna incidenza nel giudizio a quo, essendo essa pronunciata con riferimento ad una circostanza – appunto, la mancanza di un termine di efficacia del fermo – estranea al thema decidendum del giudizio stesso.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 86 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera q), del decreto legislativo 27 aprile 2001, n. 193 (Disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 26 febbraio 1999, n. 46, e 13 aprile 1999, n. 112, in materia di riordino della disciplina relativa alla riscossione), sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Giudice di pace di Menfi con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2006.
F.to:
Annibale MARINI, Presidente
Franco GALLO, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2006.