Sentenza n. 141 del 2006

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 141

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Annibale                          MARINI                                                                              Presidente

- Franco                              BILE                                                                                        Giudice

- Giovanni Maria              FLICK                                                                                           ”

- Francesco                         AMIRANTE                                                                               ”

- Ugo                                   DE SIERVO                                                                               ”

- Romano                           VACCARELLA                                                                       ”

- Paolo                                 MADDALENA                                                                         ”

- Alfio                                 FINOCCHIARO                                                                       ”

- Alfonso                            QUARANTA                                                                             ”

- Franco                              GALLO                                                                                        ”

- Luigi                                 MAZZELLA                                                                              ”

- Gaetano                           SILVESTRI                                                                                 ”

- Sabino                              CASSESE                                                                                    ”

- Maria Rita                        SAULLE                                                                                      ”

- Giuseppe                          TESAURO                                                                                  ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera a), e 15, comma 6, della legge 8 luglio 1998 n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza) promosso con ordinanza del 3 settembre 2005 dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ed iscritta al n. 542 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2005.

                Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

                udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.

Ritenuto in fatto

1. − Con ordinanza depositata il 3 settembre 2005 il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera a), e 15, comma 6, della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), nella parte in cui stabilisce che i soggetti ammessi a prestare il servizio civile non possono detenere né usare le armi indicate dagli artt. 28 e 30 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), né assumere ruoli imprenditoriali o direttivi nella fabbricazione e commercializzazione di armi e materiali esplodenti, e vieta alle autorità di pubblica sicurezza di rilasciare o rinnovare ai medesimi soggetti qualsiasi autorizzazione relativa all’esercizio delle predette attività.

1.1. − Il giudice rimettente è investito del ricorso presentato da Odetto Gianluca per ottenere l’annullamento, previa sospensione, del provvedimento emanato dalla Provincia di Cuneo − area funzionale del territorio, ufficio polizia mineraria − con il quale è stata disposta «l’immediata sospensione dell’idoneità all’impiego di esplosivi nelle attività estrattive» a suo tempo rilasciata al ricorrente, nonché l’annullamento di ogni altro atto connesso e, in particolare, della comunicazione inviata dalla Questura di Torino − divisione di polizia amministrativa e sociale, sezione armi ed esplosivi − alla Provincia di Cuneo, riguardante l’assolvimento degli obblighi militari da parte del ricorrente e la conseguente incompatibilità all’uso di esplosivi.

1.2. − Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto, che il ricorrente, in qualità di legale rappresentante della EGO s.r.l., società avente ad oggetto prevalentemente la coltivazione di cave di pietra, ha chiesto alla Provincia di Cuneo il nulla osta per l’acquisto del materiale esplosivo necessario all’esecuzione di lavori di estrazione di blocchi lapidei nella cava sita in Comune di Rorà (TO), allegando, tra l’altro, l’attestato di idoneità all’impiego di esplosivi nell’attività estrattiva. Con il provvedimento oggetto di impugnazione la Provincia di Cuneo ha comunicato al ricorrente di aver ricevuto segnalazione dalla Questura di Torino secondo cui la scelta del servizio civile sostitutivo, a suo tempo effettuata dal ricorrente medesimo, è incompatibile con il possesso dell’attestato di idoneità all’uso di esplosivi, ed ha, quindi, proceduto a sospendere l’efficacia dell’attestato medesimo.

Nel giudizio a quo la difesa del ricorrente ha prospettato il dubbio di costituzionalità della normativa applicata dalla Provincia di Cuneo, chiedendo al giudice di sollevare la relativa questione.

1.3. − Il rimettente condivide il dubbio prospettato dalla parte ricorrente, sul rilievo che il richiamo contenuto nell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 230 del 1998, agli artt. 28 e 30 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, comporterebbe l’equiparazione del materiale esplodente alle armi, ai fini del divieto stabilito nel successivo art. 15, comma 6, della medesima legge n. 230 del 1998.

In punto di non manifesta infondatezza, il rimettente evidenzia l’irragionevolezza della normativa impugnata là dove stabilisce un divieto indiscriminato all’uso degli esplosivi, per i soggetti che abbiano esercitato il diritto di obiezione di coscienza, senza distinguere tra le diverse possibili destinazioni del materiale esplodente. Sarebbe di tutta evidenza, a parere del rimettente, che l’utilizzo di tale materiale per fini estrattivi non si ponga in alcun modo in conflitto con la scelta di ripudio delle armi, alla quale l’ordinamento collega il diritto all’obiezione di coscienza, con la conseguenza che il comportamento in esame non rientrerebbe tra quelli che il legislatore ha inteso vietare per la sola ragione che essi risultano «incoerenti» con la scelta dell’obiezione.

Ritiene il rimettente, inoltre, che la previsione contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 230 del 1998, risulti intrinsecamente contraddittoria, in quanto, mentre con riferimento alle armi introduce la distinzione fondata sulla «offensività», là dove stabilisce che non incide sull’esercizio del diritto di obiezione di coscienza la titolarità di licenze o autorizzazioni relative ad armi o strumenti che non abbiano attitudine a recare offesa alla persona, richiamando il disposto dell’art. 2, primo comma, lettera h), e terzo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi), tralascia di operare analoga distinzione con riguardo ai diversi possibili usi del materiale esplodente.

Ulteriore elemento di censura è individuato dal rimettente nella ingiustificata disparità di trattamento, sotto il profilo della limitazione del diritto al lavoro, che la normativa impugnata produrrebbe tra coloro i quali, essendo nati dopo il 1° gennaio 1985, ai sensi dell’art. 1 della legge 23 agosto 2004, n. 226 (Sospensione anticipata del servizio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore), non sono più chiamati a svolgere il servizio di leva obbligatorio, e coloro i quali, essendo nati prima di tale data, sono stati costretti a rendere palese la propria convinzione contraria all’uso delle armi, con la conseguenza di essere assoggettati alle limitazioni e restrizioni in ambito lavorativo previste dalle norme in esame.

1.4. − In punto di rilevanza il rimettente evidenzia che, risultando l’attestato di idoneità all’utilizzo di esplosivi a fini estrattivi indispensabile per lo svolgimento dell’attività lavorativa del ricorrente, ed essendo altresì l’atto impugnato corrispondente al paradigma normativo delineato dalla legge in materia di obiezione di coscienza, l’accoglimento della questione di costituzionalità sarebbe pregiudiziale all’annullamento di tale atto.

2. − è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per la declaratoria di manifesta infondatezza della questione.

A parere della difesa erariale, i divieti previsti dalle disposizioni impugnate sarebbero coerenti con la ratio dell’istituto dell’obiezione di coscienza, che valorizza la convinzione personale del cittadino il quale − per ragioni di pensiero, morali o religiose − rifiuti l’uso delle armi, consentendogli per ciò solo di sottrarsi all’arruolamento, e con esso allo status di militare, in deroga al principio sancito dall’art. 52 della Costituzione.

La scelta di coscienza non ammetterebbe eccezioni, come desumibile dal tenore letterale dell’art. 1 della legge n. 230 del 1998, e come già affermato da questa Corte nelle sentenze numeri 470 e 409 del 1989, essendo obiettore di coscienza colui il quale rifiuta qualsiasi rapporto con le armi.

Su questa premessa la difesa dello Stato esclude che l’obiettore possa trovarsi nella condizione di dover fare uso delle armi, sicché mancherebbe il presupposto della necessità di averne la disponibilità, al quale l’ordinamento subordina la concessione delle licenze e autorizzazioni in materia.

La difesa erariale contesta, inoltre, la fondatezza della censura prospettata dal rimettente sotto il profilo della mancata distinzione, nelle norme impugnate, tra le possibili diverse destinazioni dei materiali esplodenti, evidenziando che questi ultimi si caratterizzano per la permanente potenzialità offensiva, a differenza di quanto avviene per le tipologie di armi individuate nell’art. 2, comma 3, della legge n. 110 del 1975, le quali, per caratteristiche intrinseche, non hanno «attitudine a recare offesa alla persona».

Con riferimento, infine, alla denunciata disparità di trattamento, che deriverebbe dall’applicazione della normativa censurata, tra soggetti nati prima e dopo l’anno 1985, essendo soltanto i primi destinatari dei divieti e della conseguente compressione del diritto al lavoro, la difesa erariale segnala l’erroneità del presupposto dal quale muove il rilievo del rimettente, secondo cui il servizio di leva obbligatorio sarebbe stato abolito, mentre in realtà la riforma di settore ha soltanto sospeso tale servizio, prevedendo che esso possa essere ripristinato alle condizioni indicate nell’art. 2, comma 1, lettera f), della legge 14 novembre 2000, n. 331 (Norme per l'istituzione del servizio militare professionale).

Pertanto, secondo la difesa dello Stato, il divieto di ottenere licenze ed autorizzazioni concernenti l’uso di armi ed esplosivi riguarderebbe anche i soggetti nati dopo il 1985, nell’ipotesi in cui costoro intendano conservare il diritto ad esercitare l’obiezione di coscienza al servizio militare in caso di ripristino del servizio di leva obbligatorio. Tale divieto discende dalla previsione contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 230 del 1998, che preclude l’esercizio del diritto di obiezione di coscienza ai titolari di licenze e autorizzazioni in materia di armi ed esplosivi.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale amministrativo regionale del Piemonte ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera a), e 15, comma 6, della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), nella parte in cui stabilisce che i soggetti ammessi a prestare il servizio civile non possono detenere né usare le armi indicate dagli artt. 28 e 30 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), né assumere ruoli imprenditoriali o direttivi nella fabbricazione e commercializzazione di armi e materiali esplodenti, e vieta alle autorità di pubblica sicurezza di rilasciare o rinnovare ai medesimi soggetti qualsiasi autorizzazione relativa all’esercizio delle predette attività.

2. – La questione non è fondata nei sensi di seguito esposti.

2.1. – La norma impugnata vieta a coloro che sono stati ammessi a prestare servizio civile di detenere e usare le armi di cui agli artt. 28 e 30 del r.d. n. 773 del 1931 nonché di assumere ruoli imprenditoriali o direttivi nella fabbricazione e commercializzazione, anche a mezzo di rappresentanti, delle predette armi, delle munizioni e dei materiali esplodenti.

La ratio del divieto è evidente. I soggetti che ottengono di prestare il servizio civile sostitutivo di quello militare esercitano una facoltà che l’ordinamento riconosce loro in quanto «per obbedienza alla coscienza, nell’esercizio del diritto alle libertà di pensiero, coscienza e religione riconosciute dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e dalla Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, opponendosi all’uso delle armi, non accettano l’arruolamento nelle Forze armate e nei Corpi armati dello Stato» (art. 1, comma 1, della legge n. 230 del 1998). Il diritto all’obiezione di coscienza fa perno dunque sul rifiuto, da parte di alcuni cittadini, di usare «le armi» per motivi ideali o religiosi, che il legislatore ritiene meritevoli di tutela.

La stessa ratio posta a fondamento del diritto impone che i soggetti beneficiari mantengano integra, almeno in foro externo, quella coerenza morale, ideale e religiosa che ha motivato il loro rifiuto di prestare il servizio militare. Il divieto loro imposto, a carattere generalizzato e permanente, di usare o detenere armi, è volto a dare effettività e serietà ad una scelta di ripudio della violenza che, se contraddetta da comportamenti successivi incompatibili con le alte ragioni etiche e religiose addotte, perderebbe, in tutto o in parte, la sua natura ideale, e rivelerebbe una probabile funzione strumentale.

Il legislatore ha altresì aggiunto al divieto di uso o detenzione delle armi anche quello di svolgere, con ruoli imprenditoriali o direttivi, attività industriali o commerciali nel settore delle armi stesse oltre che degli esplosivi. Si tratta di conseguenza logica del divieto principale, giacché non avrebbe senso vietare l’uso e la detenzione delle armi agli obiettori di coscienza, se si consentisse loro di svolgere attività, anche redditizie, in posizione non subordinata o meramente esecutiva, nella produzione e distribuzione di oggetti o sostanze aventi la medesima natura.

Le armi sono qualificate come tali in quanto la loro «destinazione naturale è l’offesa alla persona», come testualmente recita il primo comma dell’art. 30 del r.d. n. 773 del 1931 a proposito delle armi proprie. Il secondo comma della stessa disposizione estende la definizione di arma anche alle «bombe» ed a «qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti, ovvero i gas asfissianti o accecanti».

Quest’ultima norma si riferisce, con tutta evidenza, a quelli che, nel linguaggio comune, vengono denominati «ordigni bellici», dotati di uguale, se non superiore, capacità di offesa alla persona. Si tratta cioè di una nozione specifica, esattamente calibrata sull’attuale e immediata predisposizione del materiale esplodente per fini di offesa alla persona.

2.2. – Da quanto sinora detto si deduce che l’intento del legislatore è quello di circoscrivere in modo preciso il concetto di «arma», che risulta complessivamente integrato dal primo e dal secondo comma del citato art. 30 del r.d. n. 773 del 1931. A questo proposito, giova notare che lo stesso testo unico delle leggi di pubblica sicurezza detta, con distinte norme, la disciplina sugli esplosivi che non siano contenuti in «macchine» o «involucri», che non siano cioè ordigni bellici. L’art. 46 del citato t.u. stabilisce che «Senza licenza del Ministro dell’interno è vietato fabbricare, tenere in deposito, vendere o trasportare dinamite e prodotti affini negli effetti esplosivi, fulminati, picrati, artifici contenenti miscele detonanti, ovvero elementi solidi e liquidi destinati alla composizione di esplosivi nel momento dell’impiego. È vietato altresì, senza licenza del Ministro dell’interno, fabbricare polveri contenenti nitrocellulosa o nitroglicerina». Il successivo art. 47 estende il divieto alle «polveri piriche o qualsiasi altro esplosivo […] compresi i fuochi artificiali e i prodotti affini, ovvero materie e sostanze atte alla composizione o fabbricazione di prodotti esplodenti».

La normativa sopra richiamata distingue tra esplosivi riconducibili alle armi, vale a dire ordigni bellici costituiti da macchine o involucri destinati ad essere utilizzati a fini offensivi, ed esplosivi in sé considerati, assoggettati ad una disciplina restrittiva di pubblica sicurezza (artt. 46-57 del r.d. n. 773 del 1931) diversa da quella riguardante le armi (artt. 28 e 30 del medesimo t.u.), oltre che, naturalmente, a disposizioni penali di carattere generale che riguardano tutti i cittadini indistintamente.

2.3. – La conseguenza della ricognizione normativa prima effettuata è che il divieto contenuto nella norma impugnata, poiché prevede, in stretta sequenza, le armi, le munizioni e i materiali esplodenti, riguarda questi ultimi in quanto predisposti per l’offesa alla persona. Si deve trattare di ordigni bellici assimilabili – sia ai fini di pubblica sicurezza, sia ai fini specifici della legge sull’obiezione di coscienza – alle armi in senso stretto. Restano esclusi da tale ambito gli esplosivi destinati inequivocabilmente ed esclusivamente a fini civili, quali quelli utilizzati, ad esempio, in cave, miniere, fuochi artificiali e simili, che, per le caratteristiche del loro confezionamento e le modalità del loro impiego, non sono destinati a recare offesa alle persone.

Giova ricordare che la fabbricazione, la commercializzazione e l’utilizzazione delle sostanze esplodenti non è libera, ma è assoggettata, come già s’è detto, a precise autorizzazioni da parte dell’autorità di pubblica sicurezza e a particolari cautele, volte a prevenire, come si legge nella rubrica del capo V del r.d. n. 773 del 1931, «infortuni e disastri». Il rigoroso regime di autorizzazioni e cautele previsto dalla legge serve proprio a mantenere e garantire la non offensività degli esplosivi utilizzati per fini civili.

Dipende dalla finalità dichiarata e documentata dall’interessato, nell’istanza volta al rilascio della prescritta autorizzazione, l’applicabilità o meno del divieto di cui all’art. 15, comma 6, della legge n. 230 del 1998. È appena il caso di aggiungere che l’autorità di pubblica sicurezza deve accertare l’attendibilità della dichiarazione e vigilare sull’uso effettivo degli esplosivi da parte del soggetto autorizzato. Ciò non attiene però alla norma, ma alla sua applicazione.

3. – In conclusione, le disposizioni impugnate devono essere interpretate alla luce della finalità del legislatore di vietare l’uso e la detenzione di «armi» da parte di soggetti che, per effetto del ripudio di quelle stesse armi, hanno ottenuto di sostituire il servizio civile a quello militare. Le proposizioni normative impugnate non solo non conducono necessariamente all’interpretazione adottata dal giudice rimettente, ma implicano viceversa, secondo una loro lettura sistematica, la restrizione del divieto agli esplosivi che siano classificabili come armi o parti di esse. Gli obiettori di coscienza che, muniti delle prescritte autorizzazioni, detengono o usano materiali esplosivi destinati esclusivamente e inequivocabilmente a fini civili, o assumono ruoli imprenditoriali o direttivi nella fabbricazione e commercializzazione, anche mediante rappresentanti, degli stessi, non entrano in contraddizione con la scelta fatta al momento della richiesta di svolgere il servizio civile, ma si limitano ad esercitare, nei modi e nei limiti previsti dalla legge, un’attività o una professione di natura prettamente civile.

L’esito interpretativo fin qui illustrato non solo non è contraddetto dall’art. 2, comma 1, lettera a), della legge n. 230 del 1998, ma da questo riceve ulteriore conferma. Tale norma esclude dal divieto per gli obiettori di coscienza le «armi di cui al primo comma, lettera h), nonché al terzo comma dell’art. 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110, come sostituito dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 1990, n. 36». Si tratta – dopo le ulteriori modifiche apportate dalla legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per l’adempimento di obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia alle Comunità europee. Legge comunitaria 1999) all’art. 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110 (Norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) – delle «repliche di armi antiche ad avancarica di modelli anteriori al 1890, fatta eccezione per quelle a colpo singolo» e delle «armi comuni da sparo […] denominate “da bersaglio da sala”, o ad emissione di gas, nonché [de] le armi ad aria compressa o gas compressi, sia lunghe sia corte i cui proiettili erogano un’energia cinetica non superiore a 7,5 joule, e [de] gli strumenti lanciarazzi, salvo che si tratti di armi destinate alla pesca ovvero di armi o strumenti per i quali la commissione consultiva di cui all’art. 6 escluda, in relazione alle rispettive caratteristiche, l’attitudine a recare offesa alla persona».

Il legislatore ha voluto esplicitamente escludere dal divieto imposto agli obiettori di coscienza gli oggetti indicati da tali norme perché gli stessi sono classificati dalla legge come «armi e munizioni comuni da sparo» (art. 2, comma 1, della legge n. 110 del 1975). In mancanza di tale espressa sottrazione al divieto, quest’ultimo si sarebbe loro esteso in modo automatico in base alla comune denominazione di «armi». Ciò riceve conferma dalla sottrazione in via generale al regime giuridico delle armi di quelle, pur così comunemente chiamate, ma considerate, previa valutazione degli organi competenti, prive di attitudine a recare offesa alle persone. In altre parole, a fini generali il legislatore ha incluso tra le «armi» quelle ad aria compressa, i lanciarazzi e simili, giacché dotati di una potenziale capacità offensiva, anche se ridotta, ed ha escluso, sempre in linea generale, quelle che non possiedono tale capacità. Inoltre ha escluso, con la norma impugnata, ai limitati fini del divieto per gli obiettori di coscienza, anche le suddette «armi», equiparando così la minore offensività alla sua mancanza. Non solo tale esplicita esclusione non dimostra a contrario l’inclusione nel divieto degli esplosivi destinati a fini civili, come ritiene il giudice a quo, ma mette in luce la vigenza nel diritto positivo del criterio della non offensività per la persona come ratio della legislazione specifica in materia e quindi come canone per la sua interpretazione.

4. – La corretta ricostruzione ermeneutica delle disposizioni impugnate esonera dall’esame di tutte le censure di legittimità costituzionale contenute nell’ordinanza di rimessione, che devono essere pertanto rigettate.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 2, comma 1, lettera a), e 15, comma 6, della legge 8 luglio 1998, n. 230 (Nuove norme in materia di obiezione di coscienza), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Piemonte con l’ordinanza citata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 aprile 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 7 aprile 2006.