ORDINANZA N. 131
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK ”
- Francesco AMIRANTE ”
- Ugo DE SIERVO ”
- Romano VACCARELLA ”
- Paolo MADDALENA ”
- Alfio FINOCCHIARO ”
- Alfonso QUARANTA ”
- Franco GALLO ”
- Luigi MAZZELLA ”
- Gaetano SILVESTRI ”
- Sabino CASSESE ”
- Maria Rita SAULLE ”
- Giuseppe TESAURO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZAnel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione del Senato della Repubblica del 28 maggio 2003, relativa all’insindacabilità delle affermazioni contenute nelle denunce presentate dall’ex senatore Rocco Loreto, rispettivamente in data 6 aprile 2000, 31 maggio 2000 e 2 giugno 2000, alla Procura della Repubblica di Taranto nei confronti del dott. Matteo Di Giorgio promosso con ricorso del Gup del Tribunale di Potenza nei confronti del Senato della Repubblica depositato in cancelleria il 4 novembre 2005 ed iscritto al n. 39 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2005, fase di ammissibilità.
Udito nella camera di consiglio dell’8 marzo 2006 il Giudice relatore Gaetano Silvestri.
Ritenuto che, con ricorso depositato il 4 novembre 2005, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Potenza ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Senato della Repubblica, in relazione alla delibera adottata nella seduta del 28 maggio 2003, che ha dichiarato che i fatti per i quali l’allora senatore Rocco Loreto è sottoposto a procedimento penale, relativamente al delitto di calunnia, concernono opinioni da lui espresse nell’esercizio delle funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;
che il Giudice per l’udienza preliminare di Potenza premette di procedere, per il reato di calunnia, in relazione al contenuto delle denunce presentate da Rocco Loreto alla Procura della Repubblica di Taranto, in data 6 aprile 2000, 31 maggio 2000 e 2 giugno 2000, con le quali il predetto aveva incolpato Matteo Di Giorgio, sostituto procuratore presso la medesima Procura, di fatti costituenti i reati di cui agli artt. 323 e 326 cod. pen.;
che il ricorrente richiama il capo d’imputazione formulato dal pubblico ministero procedente, dal quale emerge che nelle denunce sopra indicate Rocco Loreto aveva accusato Matteo Di Giorgio di aver utilizzato le indagini di cui era titolare «per orientare il voto del 16 aprile»; di aver partecipato ad un incontro segreto nel quale «sarebbe stato concordato un piano per distruggere politicamente lo stesso Loreto»; di aver divulgato notizie coperte da segreto istruttorio, in quanto «anche nei supermercati veniva pubblicamente annunciato da signore amiche di famiglia del dr. Di Giorgio che tra giovedì e venerdì sarebbe scoppiato un botto che avrebbe spazzato via dalla città lo scrivente»; di avere, infine, strumentalizzato le indagini con intento e finalità persecutorie nei confronti del denunciante;
che il Giudice per l’udienza preliminare, preso atto della delibera di insindacabilità adottata dal Senato per i fatti sottoposti a giudizio, contesta che nel caso di specie sussista l’immunità riconosciuta dall’art. 68, primo comma, Cost., non essendo detta immunità invocabile in riferimento a dichiarazioni contenute in denunce presentate all’autorità giudiziaria che non sarebbero riconducibili all’attività parlamentare del dichiarante, sia sotto il profilo contenutistico, sia avuto riguardo alla qualità dell’autorità destinataria;
che, quanto al primo aspetto, il ricorrente esclude che le dichiarazioni contenute nelle denunce sopra indicate possano costituire espressione di opinioni, o manifestazioni di voto, o altro atto tipico parlamentare, secondo l’ampia accezione contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l’attuazione dell’articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato), il quale estende l’immunità alla «attività di ispezione, di divulgazione, di critica e di denuncia politica, connessa alla funzione di parlamentare, espletata anche fuori dal Parlamento»;
che, con riguardo al secondo aspetto, il ricorrente evidenzia come, essendo l’autorità giudiziaria destinataria di notizie di reato, i fatti ad essa riferiti possano assumere soltanto significato di notitia criminis, rimanendo esclusa ogni altra valenza, compresa quella di espressione-divulgazione di attività parlamentare;
che, pertanto, il Giudice per l’udienza preliminare, assumendo che con la citata delibera si sarebbe determinata una illegittima interferenza nel procedimento penale in corso, solleva conflitto di attribuzione nei confronti del Senato della Repubblica, chiedendo sia dichiarato che non spettava al Senato la valutazione espressa con la delibera stessa.
Considerato che la Corte è chiamata in questa fase, ai sensi dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a valutare esclusivamente, in assenza di contraddittorio tra le parti, se il promosso conflitto di attribuzione sia ammissibile, sussistendone i prescritti requisiti di carattere soggettivo ed oggettivo, restando impregiudicata ogni definitiva decisione anche in ordine all’ammissibilità;
che, sotto il profilo soggettivo, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Potenza è legittimato a sollevare il conflitto, in quanto organo giurisdizionale, in posizione di indipendenza costituzionalmente garantita, competente a dichiarare definitivamente, nell’esercizio delle funzioni attribuitegli, la volontà del potere cui appartiene;
che analoga legittimazione ad essere parte del conflitto sussiste per il Senato della Repubblica, in quanto organo competente a dichiarare in modo definitivo la volontà del potere che rappresenta in merito alla ricorrenza dell’immunità riconosciuta dall’art. 68, primo comma, Cost.;
che, in relazione al profilo oggettivo del conflitto, il ricorrente denuncia la menomazione della propria sfera di attribuzione, garantita da norme costituzionali, attraverso la deliberazione, asseritamente illegittima, che i fatti per i quali è processo sarebbero insindacabili in applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost.;
che, infine, dal ricorso si rilevano le «ragioni del conflitto» e «le norme costituzionali che regolano la materia», come stabilito dall’art. 26 delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Potenza nei confronti del Senato della Repubblica con l’atto introduttivo indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria della Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Potenza;
b) che l’atto introduttivo e la presente ordinanza siano notificati al Senato della Repubblica, a cura del ricorrente, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere poi depositati nella cancelleria di questa Corte, con la prova dell’avvenuta notifica, entro il termine di venti giorni previsto dall’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 marzo 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Gaetano SILVESTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2006.