ORDINANZA N. 95
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Franco BILE Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Gaetano SILVESTRI “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1260, primo comma, del codice civile; degli artt. 41, comma 1, e 58, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e dell’art. 4, comma 1, della legge 30 aprile 1999, n. 130 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti), promosso con ordinanza del 9 luglio 2005 dal Tribunale ordinario di Viterbo, nel procedimento civile vertente tra Ivo Lanzi e la S.G.C. s.r.l., iscritta al n. 455 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell’8 febbraio 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella.
Ritenuto che, nel corso di un giudizio di opposizione all’esecuzione, il Tribunale ordinario di Viterbo, in composizione monocratica, ha sollevato, con ordinanza del 9 luglio 2005, questioni di legittimità costituzionale: a) in riferimento agli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione, dell’art. 1260, primo comma, del codice civile, in relazione agli articoli: 1 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali); 2, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali); 43-bis e 43-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come integrati dal d.m. 30 settembre 1997, n. 384 (Regolamento recante norme per la disciplina della cessione dei crediti d’imposta); 1262 e 1406 del codice civile; b) in riferimento agli artt. 2, 3, 41 e 111 della Costituzione, dell’art. 58, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e dell’art. 4, comma 1, della legge 30 aprile 1999, n. 130 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti), in relazione agli artt. 1263 e 1264 del codice civile; c) in riferimento agli artt. 2, 3, 41 e 111 della Costituzione, dell’art. 41, comma 1, del decreto legislativo n. 385 del 1993, in relazione all’art. 479 del codice di procedura civile.
che, in punto di fatto, il giudice a quo riferisce che, promossa una procedura di espropriazione presso terzi per un credito fondiario (iniziata in data 8 febbraio 2003), senza che fosse stato previamente notificato il titolo esecutivo, il debitore esecutato ha proposto opposizione all’esecuzione, deducendo la carenza di legittimazione attiva della società procedente, l’eccessività della somma pretesa per essere contra legem l’operata capitalizzazione degli interessi e l’assoluta incertezza in ordine all’effettiva entità del credito azionato;
che la controparte ha contestato le deduzioni avverse, asserendo che il credito era stato ceduto dall’originaria banca creditrice ad altra società in data 30 novembre 1999, nell’ambito di una più ampia operazione di «cessione dei crediti in blocco» e di «cartolarizzazione», a norma della legge 30 aprile 1999, n. 130 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti), e che la cessionaria aveva conferito mandato, con procura, alla società procedente per la gestione, anche giudiziale, del credito;
che il giudice rimettente afferma che, attese le contrapposte argomentazioni difensive, il giudizio di opposizione all’esecuzione non può essere definito indipendentemente dalla risoluzione delle questioni di legittimità costituzionale;
che, quanto alla non manifesta infondatezza, il medesimo giudice afferma, riguardo all’art. 1260, primo comma, cod. civ., che esso, nella parte in cui prevede che la cessione del credito può aver luogo «anche senza il consenso del debitore», appare in contrasto a) con l’art. 2 Cost., in quanto determina l’impossibilità per il debitore di controllare, in qualche modo, il destino della propria posizione debitoria, non scindibile dalla condizione della persona umana; b) con l’art. 3 Cost., in quanto la norma censurata è viziata da irrazionalità e, consentendo una cessione del credito attuata ad nutum del creditore, sembra non rispettosa della direttiva che impone di rimuovere gli ostacoli di ordine economico che possono limitare di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini; c) con l’art. 41 Cost., in quanto sembra legittimare un esercizio della libertà di iniziativa economica privata non rispettoso della dignità umana, laddove il legislatore si è preoccupato, con la legge n. 675 del 1996, di prevedere «che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti, delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all’identità personale» (art. 1), e, con il decreto legislativo n. 196 del 2003, di garantire «che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali» (art. 2);
che, dunque, mentre sono tutelati i dati personali sensibili, dei quali è vietato il trattamento senza il consenso dell’interessato, non vi è alcuna tutela per la persona del debitore, «globalmente intesa come complesso inscindibile di interessi ed affetti», mentre, essendo mutato, rispetto al 1942, il contesto dei rapporti sociali ed economici, oggi, la persona del creditore, e la conseguente gestione del credito, non è affare indifferente per il debitore, che «avrà i propri buoni (o cattivi) motivi per preferire la Banca B alla Banca C»; perciò, che il credito possa essere ceduto senza il consenso del debitore a una qualunque società finanziaria «crea qualche perplessità»;
che il contrasto con l’art. 3 Cost. – prosegue il giudice a quo – è evidenziato, altresì, dalla profonda differenza fra la disposizione denunciata e la normativa relativa alla cessione dei crediti verso lo Stato, in quanto gli artt. 43-bis e 43-ter del d.P.R. n. 602 del 1973 e il d.m. n. 384 del 1997 dettano precise disposizioni a cautela del debitore cedendo, determinando «una situazione non proprio compatibile con lo Stato di diritto»;
che il sospetto circa l’illegittimità costituzionale dell’art. 1260 cod. civ. è, poi, rafforzato da ciò: che mentre l’art. 1406 cod. civ. prevede la cessione del contratto, «purché l’altra parte vi consenta», l’art. 1260 cod. civ., «visto funzionalmente in relazione con gli adempimenti legati al processo di esecuzione (artt. 555 e seguenti cod. proc. civ., segnatamente l’art. 557) e al disposto dell’art. 1262 cod. civ., consente, in effetti, la cessione del contratto anche senza il consenso del contraente ceduto»;
che le disposizioni dell’art. 58, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo n. 385 del 1993, prevedendo la «cessione a banche di aziende, di rami d’azienda, di beni e rapporti giuridici individuabili in blocco», creano un diritto singulare, accordando ingiustificate posizioni di privilegio e mostrando «disinteresse per le sorti del singolo» debitore, in contrasto col brocardo «privilegia ne inroganto»; stabiliscono una improponibile equivalenza fra gli adempimenti di cui all’art. 58, comma 2, del decreto legislativo n. 385 del 1993 e le formalità previste dall’art. 1264 cod. civ.; concorrono a una elusione di legge, consentendo a determinati soggetti giuridici di ottenere un risultato equivalente a quello della cessione del contratto, senza dover sottostare al consenso del contraente ceduto, così come previsto, invece, dall’art. 1406 cod. civ.;
che l’art. 41, comma 1, del decreto legislativo n. 385 del 1993, stabilendo che «nel procedimento di espropriazione relativo a crediti fondiari è escluso l’obbligo della notificazione del titolo contrattuale esecutivo», deroga al disposto dell’art. 479, primo comma, cod. proc. civ. sostituendo al requisito soggettivo («procedimento di espropriazione iniziato dagli Istituti di credito fondiario») – previsto dall’abrogato art. 43, comma primo, del regio decreto 16 luglio 1905, n. 646 (Testo unico delle leggi sul credito fondiario) – un requisito oggettivo («procedimento di espropriazione relativo a crediti fondiari»); sicché non solo si è lasciato in vita un privilegio, ma se ne sono ampliati, sotto il profilo dei legittimati a fruirne, limiti e portata, in controtendenza rispetto al complesso della legislazione, che tenderebbe ad evitare situazioni di ingiustificato vantaggio, e in violazione degli artt. 2, 3, 41 e 111 Cost.;
che, richiamate, quanto ai primi tre parametri, le considerazioni in precedenza svolte, il giudice a quo osserva, in riferimento all’art. 111 Cost., che «è alquanto dubbio che la disposizione denunciata possa consentire un processo (esecutivo, nel caso di specie) tra parti che non siano in condizione di parità», specie considerando che l’irragionevole facilitazione è accordata ad un soggetto che, per la sua qualità professionale, non dovrebbe avere alcuna difficoltà a notificare il titolo esecutivo;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità ovvero, in subordine, per l’infondatezza delle questioni sollevate, osservando, in linea preliminare, che la non manifesta infondatezza delle medesime non ha formato concretamente oggetto della doverosa delibazione del giudice rimettente, dal momento che egli prospetta un mero “sospetto” o si esprime in termini meramente dubitativi, senza neppure indicare con precisione i motivi della pretesa incostituzionalità;
che, inoltre, la terza questione appare inammissibile, anche perché formulata in via ipotetica riguardo ad una norma (l’art. 41 del decreto legislativo n. 385 del 1993), che, per ammissione dello stesso giudice, non è applicabile al caso di specie, operando solo per i contratti conclusi a far data dal 1° gennaio 1994 (laddove, riferisce il giudice a quo, nel caso di specie il contratto è stato concluso anteriormente);
che, nel merito, quanto alla prima questione, l’Avvocatura obietta che la previsione della cedibilità del credito anche senza il consenso del debitore non è affatto in contrasto con gli artt. 2, 3 e 41 Cost.; che è inconferente il richiamo alle disposizioni in materia di tutela della riservatezza, le quali assolvono funzioni del tutto diverse da quelle perseguite con la comunicazione della cessione (art. 1264 cod. civ.) o perseguibili col consenso alla cessione; che altrettanto inconferente è il richiamo alla disciplina della cessione del contratto, basata su presupposti di fatto e di diritto diversi da quelli della cessione del credito e alle disposizioni sulla cessione dei crediti verso la pubblica amministrazione, trattandosi di situazioni non comparabili tra di esse;
che analoghe obiezioni valgono per la seconda questione, senza dire che le considerazioni del giudice a quo non hanno alcuna attinenza con i principi desumibili dall’art. 111 Cost.;
che, riguardo alla terza questione, l’Avvocatura osserva che non si comprende come la deroga all’onere di notificazione del titolo esecutivo possa avere rilevanza nel caso di specie, atteso che la mancata notificazione del titolo esecutivo non è stata oggetto di specifico motivo di opposizione.
Considerato che il Tribunale ordinario di Viterbo dubita della legittimità costituzionale – in riferimento agli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione – dell’art. 1260, comma primo, del codice civile («Cedibilità dei crediti»), in relazione agli articoli 1 della legge 31 dicembre 1996, n. 675 (Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali), 2, comma 1, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), 43-bis e 43-ter del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 (Disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito), come integrati dal d.m. 30 settembre 1997, n. 385 (Regolamento recante norme per la disciplina della cessione dei crediti d’imposta); degli artt. 58, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e 4, comma 1, della legge 30 aprile 1999, n. 130 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti); e infine, anche in riferimento all’art. 111 Cost., dell’art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 385 del 1993 (in relazione all’art. 479 del codice di procedura civile);
che le questioni sollevate relativamente all’art. 1260, comma primo, cod. civ. ed agli artt. 58, commi 2, 3 e 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, e 4, comma 1, della legge n. 130 del 1999 sono manifestamente infondate sotto tutti i profili prospettati dal rimettente, dal momento che il diritto di credito costituisce un bene, come tale idoneo a circolare senza coinvolgimento della persona del debitore e dei suoi diritti inviolabili, laddove la cessione del contratto (assunta come tertium comparationis) presuppone l’esistenza, al momento della cessione stessa, in capo ad entrambe le parti di un complesso unitario di situazioni giuridiche attive e passive, e, pertanto, la necessità del consenso del contraente ceduto, in quanto titolare delle situazioni attive corrispondenti agli obblighi gravanti sul cedente;
che le questioni sollevate relativamente all’art. 41, comma 1, del d.lgs. n. 385 del 1993, in quanto non richiede la notificazione del titolo esecutivo al debitore (a differenza di quanto disposto dall’art. 479 cod. proc. civ.), sono manifestamente inammissibili, non essendo tale norma (a detta del medesimo rimettente) applicabile nel giudizio a quo e non avendo nel giudizio di opposizione il debitore dedotto alcuna contestazione in proposito: ciò che rende palesemente irrilevante la questione di legittimità costituzionale sollevata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale sollevate, relativamente agli artt. 1260, primo comma, del codice civile, 58, commi 2, 3 e 4, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385 (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia), e 4, comma 1, della legge 30 aprile 1999, n. 130 (Disposizioni sulla cartolarizzazione dei crediti), in riferimento agli artt. 2, 3 e 41 della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Viterbo, con l’ordinanza in epigrafe;
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata, relativamente all’art. 41, comma 1, del decreto legislativo n. 385 del 1993, in riferimento agli artt. 2, 3, 41 e 111 della Costituzione, dallo stesso Tribunale, con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 marzo 2006.
Franco BILE, Presidente
Romano VACCARELLA, Redattore
Depositata in Cancelleria il 10 marzo 2006.