Ordinanza n. 71 del 2006

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ORDINANZA N. 71

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Annibale                  MARINI                    Presidente

-  Franco                     BILE                             Giudice

-  Giovanni Maria       FLICK                                   “

-  Francesco                AMIRANTE                          “

-  Ugo                         DE SIERVO                          “

-  Romano                   VACCARELLA                   “

-  Paolo                       MADDALENA                     “

-  Alfio                        FINOCCHIARO                   “

-  Alfonso                   QUARANTA                        “

-  Franco                     GALLO                                 “

-  Luigi                        MAZZELLA                         “

-  Gaetano                   SILVESTRI                           “

-  Sabino                     CASSESE                              “

-  Maria Rita               SAULLE                               “

-  Giuseppe                 TESAURO                            “

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), promosso con ordinanza del 26 luglio 2004 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Maurizio Pazzagli contro il Ministero per i beni e le attività culturali ed altri, iscritta al n. 342 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell'anno 2005.

            Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

            udito nella camera di consiglio del 25 gennaio 2006 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

            Ritenuto che la Corte di cassazione – investita di un ricorso per regolamento di competenza, proposto avverso una sentenza con cui il Tribunale ordinario di Pisa, all'esito di un giudizio civile tra parti private, nel quale era stato chiamato a intervenire, iussu iudicis, il Ministero per i beni e le attività culturali, ha dichiarato la propria incompetenza territoriale, per essere competente il Tribunale ordinario di Firenze, quale «foro della pubblica amministrazione» – ha sollevato, con ordinanza del 26 luglio 2004, questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 25, comma primo, della Costituzione, dell'art. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), nella parte in cui «prevede, in caso di chiamata in giudizio dello Stato, che la competenza si radichi, alternativamente, nel foro erariale o in quello naturale in base al mero esercizio discrezionale di scelta dell'amministrazione»;

            che, in punto di fatto, la Corte rimettente riferisce che, nel corso di un giudizio tra privati avente ad oggetto l'accertamento del diritto di proprietà pro quota di una scultura archeologica, l'adito Tribunale ordinario di Pisa, in composizione monocratica, aveva ordinato, ai sensi dell'art. 107 del codice di procedura civile, la chiamata in causa del Ministero per i beni e le attività culturali, il quale, costituitosi, ha eccepito l'incompetenza territoriale del predetto Tribunale, essendo competente il Tribunale ordinario di Firenze, a norma dell'art. 25 cod. proc. civ.;

            che, avendo il giudice accolto l'eccezione, l'attore ha impugnato la sentenza dichiarativa dell'incompetenza con l'istanza di regolamento, ai sensi dell'art. 42 cod. proc. civ., sostenendo che il “foro erariale” trova applicazione soltanto nei processi davanti a giudici collegiali, dal momento che l'art. 7 del regio decreto n. 1611 del 1933 deve essere interpretato, alla luce del decreto legislativo 19 febbraio 1998, n. 51 (Norme in materia di istituzione del giudice unico di primo grado), nel senso che la previsione dei «giudizi innanzi ai pretori ed ai conciliatori», per i quali «le norme ordinarie di competenza rimangono ferme, anche quando sia in causa un'amministrazione dello Stato», si riferisce oggi ai giudizi già innanzi ai pretori ed ora innanzi ai tribunali in composizione monocratica;

            che il Ministero per i beni e le attività culturali ha resistito all'impugnazione, chiedendo che, a conferma dell'impugnata sentenza, sia dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di Firenze, a norma dell'art. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933 e che il ricorrente, a sua volta, ha eccepito l'illegittimità costituzionale di tale norma;

            che la Corte rimettente – rilevato, preliminarmente, che la normativa del decreto legislativo n. 51 del 1998, essendo entrata in vigore il 2 giugno 1999, è irrilevante, a norma dell'art. 5 cod. proc. civ., ai fini della determinazione della competenza, posto che il giudizio è stato instaurato con citazione notificata il 14 gennaio 1999 – osserva che la competenza a giudicare la controversia de qua va determinata in base all'art. 25 cod. proc. civ. e all'art. 6 del regio decreto n. 1611 del 1933, il quale – dopo aver stabilito (al primo comma, il cui disposto è stato poi recepito nell'art. 25 cod. proc. civ.) che «la competenza per cause nelle quali è parte una amministrazione dello Stato, anche nel caso di più convenuti […], spetta al tribunale o alla corte di appello del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato nel cui distretto si trova il tribunale o la corte d'appello che sarebbe competente secondo le norme ordinarie» – prevede (al secondo comma) che, «quando un'amministrazione dello Stato è chiamata in garanzia, la cognizione così della causa principale come della azione in garanzia è devoluta, sulla semplice richiesta dell'amministrazione, con ordinanza del presidente, all'autorità giudiziaria competente a norma del comma precedente»;

            che tale ultima disposizione si applica anche nei casi in cui il giudice ordini l'intervento di un'amministrazione statale, cui ritenga comune la causa, ai sensi dell'art. 107 cod. proc. civ., come già affermato dallo stesso giudice di legittimità (Cass. 17 aprile 1982, n. 2340);

            che, quanto alla rilevanza della questione, il giudice a quo osserva che, alla stregua del richiamato indirizzo interpretativo, dovrebbe essere dichiarata la competenza del Tribunale ordinario di Firenze, ove ha sede l'Avvocatura dello Stato, poiché il Ministero, chiamato in causa iussu iudicis, ha chiesto l'applicazione del foro erariale, ai sensi dell'art. 6, comma secondo, del regio decreto n. 1611 del 1933;

            che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice rimettente osserva che la norma denunciata, collegando – nel caso di chiamata in garanzia ovvero per ordine del giudice – l'applicazione del “foro erariale” alla mera richiesta dell'amministrazione statale, intervenuta coattivamente in giudizio (ex art. 106 o 107 cod. proc. civ.), e, quindi, facendo dipendere da tale richiesta lo spostamento del giudice competente a conoscere della causa principale, sembra porsi in contrasto con l'art. 25, comma primo, Cost., poiché le parti di detta causa vengono distolte dal «giudice naturale precostituito per legge» in ordine alla stessa causa, per effetto di una scelta rimessa alla libera volontà dell'amministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla legge;

            che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l'inammissibilità ovvero l'infondatezza della questione, osservando, in linea preliminare, che, nel caso di specie, si versa in un'ipotesi non già di «chiamata in garanzia», prevista dall'art. 6, comma secondo, del regio decreto n. 1611 del 1933, bensì di «comunanza di causa», cui si applica la disposizione del primo comma del medesimo art. 6 e che, secondo un consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, il cosiddetto “foro erariale” è inderogabile ed attrae l'intera controversia, in caso sia di litisconsorzio necessario, sia di litisconsorzio facoltativo, sia di litisconsorzio successivo a seguito di intervento coatto, sicché, in tali casi, non sussiste alcun margine di discrezionalità nello spostamento della causa innanzi al tribunale del luogo dove ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato;

            che, inoltre, la Corte costituzionale, con ripetute pronunce, ha ritenuto conforme a Costituzione la normativa dell'art. 25 cod. proc. civ. e del regio decreto n. 1611 del 1933, osservando che «la regola del foro dello Stato, per un verso non menoma in modo apprezzabile l'esercizio del diritto di difesa da parte del singolo, né sotto il profilo del costo né sotto quello del disagio; per altro verso ha una adeguata giustificazione nelle ragioni di interesse generale (ridondanti anche a beneficio dei singoli), collegabili al soddisfacimento dell'esigenza di concentrare – in vista di un servizio organizzato in modo da importare minori oneri e migliori risultati per la collettività – gli uffici dell'Avvocatura dello Stato e dell'esigenza di concentrare – ancora una volta in vista del migliore rendimento del servizio – i giudizi cui partecipa lo Stato presso un numero ristretto di sedi giudiziarie» (ordinanza n. 189 del 1989);

            che, in tale contesto, la questione è infondata, in quanto la norma denunciata rende derogabile (su eccezione di parte) un foro che, per regola generale, è automatico e inderogabile, così rimettendo, ragionevolmente, al prudente apprezzamento della parte pubblica chiamata in causa la valutazione della rilevanza dell'interesse pubblico coinvolto nel giudizio.

            Considerato che la Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 25, comma primo, della Costituzione, dell'art. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), in quanto, collegando – nel caso di chiamata in garanzia ovvero per ordine del giudice – l'applicazione del “foro erariale” alla mera richiesta dell'amministrazione statale, intervenuta coattivamente in giudizio (ex art. 106 o 107 del codice di procedura civile), e, quindi, facendo dipendere da tale richiesta lo spostamento del giudice competente a conoscere della causa principale, distoglie le parti di detta causa dal «giudice naturale precostituito per legge», per effetto di una scelta rimessa alla libera volontà dell'amministrazione e non disciplinata in alcun modo dalla legge;

            che la questione è manifestamente inammissibile, in quanto l'ordinanza di rimessione, nel censurare la norma che riconosce alla pubblica amministrazione il potere di far valere o non l'incompetenza del giudice adito in favore di quello del cosiddetto “foro erariale”, non lascia comprendere se la pretesa violazione del precetto di cui all'art. 25 Cost. sia ravvisata nella circostanza che le parti private sono distolte dal giudice naturale da esse individuato secondo le regole ordinarie ovvero nella circostanza che, potendo la pubblica amministrazione non proporre l'eccezione d'incompetenza, ad essa sia consentito, a suo libito, di sottrarsi al criterio inderogabile del “foro erariale”; in sintesi, non è dato comprendere se si censuri la circostanza che parti private possano essere distolte dal loro giudice naturale ovvero la circostanza che la pubblica amministrazione possa sottrarsi al suo giudice naturale, non avanzando la richiesta di cui alla norma censurata;

            che, nel primo caso, risolvendosi la censura nella contestazione della stessa previsione del “foro erariale”, è evidente che la Corte rimettente avrebbe dovuto fare oggetto dei suoi rilievi l'art. 25 cod. proc. civ. (ovvero l'art. 6, comma primo, del regio decreto n. 1611 del 1933), così come è evidente che, nel secondo caso, la questione è irrilevante nel giudizio a quo, in quanto per tale giudizio è stata dichiarata la competenza del giudice naturale della pubblica amministrazione ai sensi dell'art. 25 cod. proc. civ.

            Visti gli artt. 26, comma secondo, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

            dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma secondo, del regio decreto 30 ottobre 1933, n. 1611 (Approvazione del testo unico delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato), sollevata, in riferimento all'art. 25, comma primo, della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.

            Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2006.