ORDINANZA N. 68
ANNO 2006
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell'articolo 13, commi 3, 4, 5-bis e 8, e dell'articolo 13-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi con ordinanze del 12 dicembre 2003 e del 21 giugno 2004 dal Tribunale di Nuoro sui ricorsi proposti da S.S. e R.M contro il Prefetto di Nuoro, iscritte ai nn. 209 e 990 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 13 e 50, prima serie speciale, dell'anno 2004.
Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio dell'11 gennaio 2006 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con le due ordinanze in epigrafe, di analogo tenore, emesse nell'ambito di distinti giudizi di opposizione a decreti prefettizi di espulsione, il Tribunale di Nuoro ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:
a) dell'art. 13, commi 3, 4, 5-bis e 8, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 113 della Costituzione, nella parte in cui prevede l'immediata esecutività del decreto prefettizio di espulsione e del provvedimento del questore che dispone l'accompagnamento coattivo dello straniero alla frontiera, e comunque non contempla - con riguardo all'impugnazione del decreto espulsivo - «efficaci strumenti processuali che scongiurino, in maniera non semplicemente formale, l'irrimediabile pregiudizio del ricorrente vittorioso»;
b) dell'art. 13, commi 3, 4, 5-bis e 8, e dell'art. 13-bis del medesimo decreto legislativo, in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 24, secondo comma, 101, secondo comma, e 111, primo e secondo comma, Cost., nella parte in cui «non prevedono che il ricorrente sia posto in condizione di essere sentito dal giudice e, più in generale, non apprestano in favore di entrambe le parti garanzie procedimentali minime»;
che - ricostruita preliminarmente l'evoluzione della disciplina dell'espulsione amministrativa dello straniero - il giudice a quo osserva come, nell'assetto risultante a seguito della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), risulti inequivoca l'immediata esecutorietà tanto del decreto prefettizio di espulsione (sancita dall'art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998), quanto del provvedimento con cui il questore dispone l'accompagnamento dello straniero alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 5-bis): accompagnamento che costituisce la forma generale di esecuzione dell'espulsione, ai sensi del comma 4 dello stesso art. 13;
che inequivoca risulta, altresì, la mancanza di effetto sospensivo automatico dell'opposizione al decreto espulsivo;
che il rimettente dubita, tuttavia, della compatibilità di tale disciplina con gli artt. 3, 24, primo comma, e 113 Cost.;
che l'immediata esecutività dei due decreti - prefettizio e del questore - contrasterebbe, infatti, con il principio in forza del quale la durata del processo non deve mai risolversi in pregiudizio dell'attore che ha ragione, dato che la decisione sull'opposizione al provvedimento di espulsione interverrebbe inevitabilmente quando il rimpatrio manu militari dell'interessato è già da tempo avvenuto;
che, in tale ottica, il rimedio dell'opposizione, contemplato dall'art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, resterebbe svuotato di significato, in quanto inidoneo a garantire lo straniero dalle ripercussioni negative di un provvedimento pure destinato, in ipotesi, all'annullamento da parte del giudice: e ciò tanto più ove si consideri che la convalida giurisdizionale del provvedimento di accompagnamento coattivo - prevista dall'art. 13, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, in relazione alla sua natura di provvedimento limitativo della libertà personale - viene resa inaudita altera parte;
che alla conseguente violazione degli artt. 24, primo comma, e 113 Cost. - che garantiscono, rispettivamente, il diritto di azione e la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione - si aggiungerebbe anche quella dell'art. 3 Cost., giacché nell'ipotesi considerata il tempestivo esercizio del diritto di azione lascerebbe il ricorrente vittorioso in una situazione analoga a quella di chi abbia proposto un'opposizione infondata o pretestuosa, o addirittura abbia del tutto omesso di proporre l'impugnazione: donde una irragionevole equiparazione di trattamento di situazioni obiettivamente diverse;
che onde escludere gli indicati vulnera, non varrebbe d'altra parte far leva sulla possibilità che il giudice dell'opposizione rinvenga comunque nell'ordinamento uno strumento per sospendere l'efficacia del decreto prefettizio impugnato, giacché l'eventuale sospensione risulterebbe superflua, intervenendo, nella generalità dei casi, ad esecuzione già avvenuta;
che neppure gioverebbe opporre che - una volta intervenuta la sospensione o l'annullamento del provvedimento del prefetto - lo straniero ben potrebbe far rientro in Italia: obiezione, questa, che trascurerebbe le evidenti difficoltà economiche e burocratiche che detto rientro comporta, nonché le conseguenze, spesso non rimediabili, della forzata assenza dell'interessato dal luogo di dimora e di lavoro per un tempo non breve;
che il rimettente dubita, per altro verso, della legittimità costituzionale delle disposizioni che regolano gli aspetti procedurali del giudizio di opposizione al decreto di espulsione;
che a seguito, infatti, dell'avvenuta abrogazione, ad opera della legge n. 189 del 2002, del comma 9 dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 - in forza del quale il tribunale decideva «sentito l'interessato, nei modi di cui agli artt. 737 e seguenti del codice di procedura civile» - non è più previsto il diritto del ricorrente all'audizione personale nel corso della causa: né, d'altro canto, sarebbe ipotizzabile una interpretazione “adeguatrice”, in virtù della quale l'audizione potrebbe essere comunque disposta dal giudice in base ai principi generali dell'ordinamento, giacché tale operazione ermeneutica - già in astratto di dubbia praticabilità - troverebbe un insormontabile ostacolo nella immediata esecutorietà del provvedimento espulsivo;
che, in tal modo, risulterebbe tuttavia leso il diritto di difesa, sancito dall'art. 24, secondo comma, Cost. — da annoverare fra i valori primari fruenti anche della garanzia di cui all'art. 2 Cost. — il quale, letto in correlazione con l'art. 3, primo e secondo comma, Cost., postula l'uguaglianza «formale e sostanziale» delle parti; nonché l'art. 111, secondo comma, Cost., secondo cui il processo deve svolgersi «nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità», dovendo il diritto al contraddittorio essere inteso, non soltanto come possibilità di ricorrere ad una qualificata difesa tecnica, ma anche come facoltà di effettiva partecipazione dell'interessato al giudizio e alla formazione della prova;
che ove si consideri, infatti, che nel procedimento di convalida dell'accompagnamento il contraddittorio è solo «virtuale», essendo sostanzialmente differito alla successiva fase di opposizione al decreto espulsivo, risulterebbe innegabile la minorazione delle facoltà difensive del soggetto che neppure in tale sede possa presenziare all'udienza per esporre le proprie ragioni, né concordare personalmente con il proprio difensore le opportune strategie processuali;
che, al riguardo, sarebbe significativo che l'esigenza del contraddittorio nella fase processuale in questione fosse stata in precedenza specificamente considerata dal legislatore, il quale, con il decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 113 (Disposizioni correttive al testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell'art. 47, comma 2, della legge 6 marzo 1998, n. 40), aveva introdotto nel d.lgs. n. 286 del 1998 il nuovo art. 13-bis (la cui rubrica suona «partecipazione dell'amministrazione nei procedimenti in camera di consiglio»), anche allo scopo - speculare - di garantire la prefettura opposta;
che, in aggiunta a ciò, l'intero modello processuale in esame si paleserebbe non coerente con il paradigma costituzionale sotto due distinti profili;
che, in primo luogo, infatti, la natura di misura limitativa della libertà personale, propria dell'espulsione e dell'atto esecutivo di accompagnamento alla frontiera, comporterebbe la loro soggezione alla riserva di giurisdizione prevista dall'art. 13 Cost.: con la conseguente necessità, da un lato, che il vaglio del tribunale sul provvedimento del prefetto, in sede di convalida dell'accompagnamento - ma, a fortiori, nel successivo giudizio di opposizione - si traduca in un controllo pieno, non «meramente esteriore»; e, dall'altro, che il rifiuto della convalida da parte dell'autorità giudiziaria privi di ogni effetto l'atto amministrativo;
che né l'una né l'altra esigenza risulterebbero per contro soddisfatte dalle disposizioni impugnate: non la prima, giacché il carattere «fondamentalmente cartolare» del processo da esse delineato — essendo nel procedimento di convalida addirittura «formalizzata» l'assenza del destinatario dell'atto — non consentirebbe una integrale cognizione dei fatti controversi all'esito di una completa istruttoria; non la seconda, stante la già rimarcata inidoneità della decisione di accoglimento dell'opposizione a privare di ogni effetto il decreto prefettizio;
che sotto altro profilo, poi, la ridotta regolamentazione del rito — la quale non andrebbe oltre il semplice rinvio alle norme generali sui procedimenti in camera di consiglio, da ritenere insufficienti in rapporto al contenzioso su diritti soggettivi — finirebbe col demandare al giudice «la concreta gestione del processo e la concreta scelta delle modalità di tutela degli interessi sostanziali e processuali delle parti»: e ciò in violazione dei principi enunciati dall'art. 101, secondo comma, e 111, primo comma, Cost. − per cui «i giudici sono soggetti soltanto alla legge» ed il «giusto processo» è «regolato dalla legge» − i quali esigono che la disciplina del processo venga predeterminata da norme di rango primario;
che ne deriverebbe anche un ulteriore profilo di compromissione del diritto di difesa, stante l'impossibilità per le parti di conoscere preventivamente — a fronte delle diverse scelte operate, secondo «infinite possibili varianti», dai singoli magistrati — le regole che governeranno il giudizio e di determinarsi quindi consapevolmente al riguardo;
che quanto, infine, alla rilevanza delle questioni, essa si connetterebbe alla possibile fondatezza di alcune delle doglianze dei ricorrenti nei giudizi a quibus ed alle conseguenze «esiziali» che, in rapporto al tenore delle doglianze stesse, potrebbero derivare dalla impossibilità per gli interessati di presenziare all'udienza e di concordare le scelte processuali con il difensore;
che nel giudizio di costituzionalità relativo all'ordinanza r.o. n. 990 del 2004 è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.
Considerato che le due ordinanze di rimessione sollevano identiche questioni, sicché i relativi giudizi vanno riuniti e decisi con unica pronuncia;
che, successivamente alle medesime ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 222 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 13 e 24 della Costituzione, l'art. 13, comma 5-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui non prevedeva che il giudizio di convalida del provvedimento di accompagnamento alla frontiera dovesse svolgersi in contraddittorio, con le garanzie della difesa, prima dell'esecuzione del provvedimento stesso;
che, a seguito di tale pronuncia, l'art. 1, comma 1, del decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha sostituito il citato comma 5-bis dell'art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, prevedendo che il provvedimento del questore con cui è disposto l'accompagnamento alla frontiera deve essere comunicato immediatamente, e comunque entro quarantotto ore dalla sua adozione, al giudice di pace territorialmente competente; che l'esecuzione del provvedimento stesso è sospesa fino alla decisione sulla convalida; che l'udienza di convalida si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria di un difensore, tempestivamente avvertito, e con applicazione, altresì, in quanto compatibili, delle disposizioni di cui al comma 8 dello stesso art. 13, in tema di ammissione al patrocinio a spese dello Stato e di nomina di un difensore d'ufficio all'interessato privo di difensore di fiducia; che l'interessato è anch'esso tempestivamente informato e condotto nel luogo in cui il giudice tiene udienza; che il giudice provvede «sentito l'interessato», se comparso; che nel caso di diniego della convalida, o di mancata decisione entro le successive quarantotto ore, il provvedimento del questore «perde ogni effetto»;
che l'indicata sentenza di questa Corte e la successiva novella legislativa - pur non avendo investito in modo diretto la disciplina del procedimento di impugnazione del decreto di espulsione, se non ai limitati fini della modifica della competenza, che il d.l. n. 241 del 2004 ha parimenti devoluto al giudice di pace, in luogo del tribunale in composizione monocratica (art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, come modificato dall'art. 1, comma 2, del citato decreto-legge) - incidono tuttavia in modo evidente sull'oggetto di entrambi i quesiti di costituzionalità formulati dall'odierno rimettente;
che quanto infatti alla prima questione, essa da un lato verte specificamente sulla immediata esecutività (anche) del provvedimento di accompagnamento alla frontiera, oggi venuta meno; e, dall'altro lato, trova la sua generale premessa fondante nel rilievo per cui la decisione sul ricorso avverso il decreto di espulsione interverrebbe, inevitabilmente, dopo che lo straniero è già stato allontanato dal territorio dello Stato: rilievo non più valido, nella sua assolutezza, in rapporto all'attuale quadro normativo, a fronte del quale l'esecutività del provvedimento di accompagnamento è sospesa fino alla convalida ed il diniego di questa priva il provvedimento stesso di ogni effetto;
che tali ultime previsioni incidono immediatamente, altresì, sui profili di violazione dell'art. 13 Cost. dedotti nell'ambito del secondo quesito;
che per il resto, poi, la compromissione dei principi di cui agli artt. 2, 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma, Cost. — ventilata anch'essa con la seconda questione — viene argomentata dal Tribunale di Nuoro facendo leva anche, ed in modo particolare, sulla carenza di un effettivo contraddittorio nel procedimento di convalida dell'accompagnamento: donde la necessità di una nuova valutazione sul punto da parte del giudice rimettente alla luce delle sopravvenute modifiche del predetto procedimento;
che gli atti vanno quindi restituiti al giudice a quo affinché verifichi la persistente rilevanza delle questioni alla luce dello ius superveniens.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Nuoro.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 febbraio 2006.
Annibale MARINI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2006.