SENTENZA N. 457
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Franco BILE Giudice
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
- Sabino CASSESE "
- Maria Rita SAULLE "
- Giuseppe TESAURO "
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), promosso con ordinanza 25 gennaio 2005 dal Tribunale di Lecce, nel procedimento di esecuzione promosso da Mediocredito della Puglia S.p.A. ed altri contro Leonardo Metrangolo ed altri, iscritta al n. 286 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 16 novembre 2005 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto in fatto
Nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare il Tribunale di Lecce, con ordinanza depositata il 26 gennaio 2005, ha sollevato, in riferimento agli artt. 101, secondo comma, e 108, secondo comma, della Costituzione ed «al principio fondamentale della separazione dei poteri dello Stato», questione di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura).
La disposizione impugnata dispone che la sospensione dei processi esecutivi per la durata di trecento giorni, prevista al comma 4 in favore dei soggetti che abbiano richiesto o nel cui interesse sia stata richiesta l’elargizione di cui agli artt. 3, 5, 6 e 8 della stessa legge, abbia effetto «a seguito del parere favorevole del prefetto competente per territorio, sentito il presidente del tribunale».
Espone il rimettente che – nel procedimento esecutivo di cui si tratta – il Prefetto di Lecce, nonostante il parere contrario del presidente del Tribunale, ha espresso parere favorevole ad una nuova sospensione di trecento giorni dei termini del processo esecutivo, pur avendo il debitore esecutato già goduto una volta, nel medesimo procedimento, del suddetto beneficio.
Il giudice a quo ritiene che la norma impugnata non possa essere interpretata nel senso di consentire che la sospensione del procedimento per trecento giorni venga disposta per più di una volta, ostandovi non soltanto la lettera della disposizione ma anche la sua ratio, evidentemente ispirata al contemperamento tra «le legittime aspettative del debitore che sia stato vittima dei reati di usura e di estorsione» e «le contrapposte esigenze di tutela dei creditori che la procedura esecutiva mira a soddisfare, almeno parzialmente».
L’intero impianto della legge, in uno con le norme del regolamento di attuazione di cui al decreto del Presidente della Repubblica 16 agosto 1999, n. 455 (Regolamento recante norme concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura, ai sensi dell’articolo 21 della legge 23 febbraio 1999, n. 44), renderebbe d’altro canto palese l’intenzione del legislatore di circoscrivere in lassi temporali assai ristretti la definizione delle richieste avanzate al Fondo di solidarietà, cosicché la sospensione dei procedimenti esecutivi per un periodo, non reiterabile, di trecento giorni risulta più che sufficiente a consentire la conclusione dell’iter amministrativo.
Il giudice dell’esecuzione tuttavia – ad avviso dello stesso rimettente – non può che prendere atto della determinazione del Prefetto, atteso il tenore testuale della disposizione, cosicché la procedura esecutiva di cui si tratta – ed in ciò risiede la rilevanza della questione – dovrebbe essere senz’altro sospesa per ulteriori trecento giorni.
Assume, peraltro, il giudice a quo che la norma, attribuendo ad un funzionario subordinato al potere esecutivo il potere di adottare un provvedimento vincolante per l’autorità giudiziaria, si pone in contrasto sia con l’art. 101, secondo comma, della Costituzione, secondo cui i giudici sono soggetti soltanto alla legge, sia con l’art. 108, secondo comma, della Costituzione, secondo cui la legge assicura l’indipendenza degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia, sia infine con il fondamentale principio di separazione dei poteri, «proprio di ogni Stato democratico».
Il prefetto, infatti, non è un organo indipendente ed imparziale, essendo, al contrario, alle dirette dipendenze del Governo, ed è privo di quelle garanzie, prima fra tutte l’inamovibilità, poste a fondamento della autonomia ed indipendenza dei giudici.
Aggiunge infine il rimettente che la stessa Corte costituzionale, in una serie di pronunce in tema di composizione degli organi giurisdizionali, avrebbe in sostanza affermato il principio secondo cui il prefetto e funzionari comunque dipendenti dal potere esecutivo non possono ingerirsi in alcun modo nell’amministrazione della giustizia.
Considerato in diritto
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 7, della legge 23 febbraio 1999, n. 44 (Disposizioni concernenti il Fondo di solidarietà per le vittime delle richieste estorsive e dell’usura), limitatamente alla parola «favorevole».
Così deciso nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2005.
Annibale MARINI, Presidente e Redattore
Depositata in Cancelleria il 23 dicembre 2005.