ORDINANZA N. 447
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza del 6 febbraio 2003 dal Tribunale di Sondrio, nel procedimento penale a carico di V.Q.D.M., iscritta al n. 150 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Sondrio ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale:
a) dell’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui prevede «che il reato ivi disciplinato si consuma in data antecedente all’inutile decorso del termine di sessanta giorni per la presentazione dell’opposizione al decreto espulsivo ovvero all’esaurimento con decisione irrevocabile dell’opposizione eventualmente proposta»;
b) dell’art. 14, comma 5-quinquies, del medesimo decreto legislativo, nella parte in cui prevede «che l’obbligatorietà dell’arresto» – per il reato dianzi indicato – «decorre da data antecedente all’inutile decorso del termine di giorni sessanta per la presentazione dell’opposizione al decreto espulsivo ovvero all’esaurimento con decisione irrevocabile dell’opposizione eventualmente proposta»;
che il rimettente – premesso di essere investito del ricorso proposto da uno straniero, ai sensi dell’art. 13, comma 8, del d.lgs. n. 286 del 1998, avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di Sondrio – rileva come, ai fini della decisione su tale ricorso, dovrebbe disporsi la convocazione delle parti per l’udienza di cui all’art. 13-bis, comma 1, dello stesso decreto, non potendosi condividere la tesi secondo cui l’avvenuta abrogazione (ex art. 12 della legge n. 189 del 2002) del comma 9 del citato art. 13 avrebbe determinato il venir meno dell’obbligo di sentire anche il ricorrente;
che nella specie, peraltro, il Questore di Sondrio, con provvedimento del 10 dicembre 2002 – dato atto dell’impossibilità di eseguire immediatamente l’espulsione per indisponibilità di «idoneo vettore o altro mezzo di trasporto» – aveva ordinato allo straniero, ai sensi dell’art. 14, comma 5-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, di lasciare il territorio dello Stato entro cinque giorni: ordine cui l’interessato non aveva ottemperato, come poteva inferirsi dal fatto che egli aveva presentato personalmente il ricorso in data 5 febbraio 2003, dichiarando di essere domiciliato in Comune di Segrate e di vivere ivi assieme alla sorella;
che risulterebbe di conseguenza integrata la fattispecie criminosa prevista dal comma 5-ter del medesimo art. 14, dovendosi escludere che la «scriminante», ivi contemplata, del «giustificato motivo» – che rende non punibile l’inottemperanza all’ordine – sia configurabile in rapporto ad una «ipotesi generale», quale l’esigenza di trattenersi nel territorio nazionale per predisporre il ricorso avverso il provvedimento di espulsione e per partecipare successivamente all’udienza;
che ogni valutazione sul punto sarebbe ad ogni modo rimessa al giudice penale, sussistendo indubbiamente – allo stato – quantomeno una «notitia criminis» in relazione alla fattispecie de qua;
che ad avviso del rimettente, tuttavia, la norma incriminatrice in parola si porrebbe in contrasto con gli artt. 24 e 111 Cost., sanzionando penalmente un comportamento che costituisce mera esplicazione del diritto di agire in giudizio e di partecipare al contraddittorio nel procedimento di opposizione al decreto espulsivo;
che ai fini del pieno esercizio del proprio diritto di ricorrere avverso il provvedimento di espulsione – per il quale è previsto il termine di sessanta giorni – l’interessato dovrebbe, infatti, potersi trattenere nel territorio dello Stato onde esaminare compiutamente gli atti, conferire con un difensore e reperire elementi di prova in suo favore, e successivamente presentarsi davanti al giudice per essere interrogato liberamente sui fatti;
che il dubbio di costituzionalità sarebbe d’altro canto rilevante già nell’attuale fase di giudizio, in quanto esso rimettente, ai sensi dell’art. 331 cod. proc. pen., sarebbe tenuto a denunciare «senza ritardo» al pubblico ministero il ricorrente per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998: obbligo che verrebbe invece meno nel caso di accoglimento della questione;
che il giudice a quo dubita, altresì, in rapporto ai medesimi parametri costituzionali, della legittimità costituzionale del comma 5-quinquies del citato art. 14, in forza del quale, per il reato di cui al comma 5-ter, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto, osservando come per effetto di tale previsione la convocazione del ricorrente venga «svuotata di significato», giacché alla comparizione dell’interessato conseguirebbe il suo immediato arresto, onde l’udienza non potrebbe comunque tenersi con la sua presenza;
che sotto questo profilo, anche tale seconda questione – la quale rimarrebbe peraltro «assorbita» in caso di accoglimento della prima – sarebbe già allo stato rilevante, dato che la norma impugnata precluderebbe la «proficua convocazione» del ricorrente al fine dell’instaurazione del contraddittorio e dell’esercizio del diritto di difesa;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate infondate;
che con successiva memoria, la difesa erariale – rilevato come le disposizioni impugnate siano state medio tempore modificate dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in tema di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271 – ha chiesto che gli atti vengano restituiti al giudice a quo.
Considerato che il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale di due disposizioni – la norma incriminatrice di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), che punisce l’ingiustificata inottemperanza dello straniero colpito da provvedimento di espulsione all’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato impartitogli dal questore; e la norma processuale di cui al comma 5-quinquies dello stesso articolo, nella parte in cui prevede l’arresto obbligatorio dell’autore del predetto reato – delle quali non è affatto chiamato a fare applicazione nell’ambito del procedimento in cui l’incidente di costituzionalità si innesta;
che – secondo quanto si legge nell’ordinanza di rimessione – il giudice a quo è infatti investito unicamente del giudizio civile diretto alla verifica della legittimità del provvedimento prefettizio di espulsione che sta “a monte” dell’ordine del questore di allontanamento dal territorio dello Stato: ordine che costituisce, a sua volta, il presupposto del reato di cui al citato art. 14, comma 5-ter;
che la configurabilità o meno di una responsabilità penale del ricorrente nel giudizio a quo per il reato ora indicato è, dunque, aspetto totalmente estraneo al thema decidendum del giudice rimettente; né la rilevanza della questione di costituzionalità che investe l’anzidetta norma incriminatrice può essere fatta discendere – come si pretende nell’ordinanza di rimessione – dall’obbligo di denuncia previsto dall’art. 331 cod. proc. pen. a carico di qualunque pubblico ufficiale (e non solo del giudice) che abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio nell’esercizio delle sue funzioni: e ciò per l’ovvia ragione che la presentazione o meno della denuncia nei confronti dello straniero, per il reato considerato, è circostanza avulsa ed assolutamente ininfluente rispetto allo scrutinio del suo ricorso avverso il provvedimento di espulsione;
che tanto meno, poi, il rimettente è chiamato a fare applicazione della disposizione di cui al comma 5-quinquies dell’art. 14, in tema di arresto obbligatorio per il reato in parola: arresto, nella specie, neppure avvenuto;
che, al riguardo, è infondata l’argomentazione in base alla quale il giudice a quo afferma la rilevanza del dubbio di costituzionalità concernente tale disposizione: vale a dire che la previsione normativa censurata renderebbe praticamente inutile la convocazione del ricorrente ai fini dell’audizione personale – cui esso giudice a quo dovrebbe procedere prima della decisione sul ricorso – dato che, in caso di comparizione, il ricorrente sarebbe destinato ad essere arrestato «in limine dell’udienza», e non potrebbe dunque partecipare a questa;
che – a prescindere, dal rilievo che, in tal modo, il rimettente basa l’affermazione della rilevanza su un presupposto fattuale “patologico” nel sistema della legge (che, cioè, lo straniero colpito da ordine di allontanamento del questore, disobbedisca ingiustificatamente all’intimazione) e, al tempo stesso, su un evento futuro ed ipotetico (l’arresto del ricorrente in occasione della comparizione all’udienza, il quale potrebbe in concreto non verificarsi per i più diversi motivi) – è assorbente la considerazione che si palesa erronea la premessa interpretativa su cui si regge l’intera costruzione logica;
che, infatti – come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimità – a seguito della modifica del comma 8 dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998 operata dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), che ha altresì soppresso il comma 9 dello stesso articolo, ove si prevedeva l’obbligo di audizione dell’interessato, nel giudizio sul ricorso dello straniero avverso il decreto prefettizio di espulsione non è più richiesta l’audizione personale del ricorrente: e ciò in coerenza con la regola generale dell’immediata esecuzione del provvedimento a mezzo di accompagnamento alla frontiera;
che il rimettente, in effetti, trascura la circostanza che, nel sistema introdotto dalla citata legge n. 189 del 2002, il provvedimento di espulsione – che è immediatamente esecutivo nonostante gravame (art. 13, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998) – deve essere eseguito, in via di principio, con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica (art. 13, comma 4, del d.lgs. n. 286 del 1998), ricorrendosi allo strumento dell’ordine di allontanamento (presidiato da sanzione penale e cui accede l’arresto obbligatorio) solo quando l’esecuzione immediata dell’espulsione non sia possibile (art. 14, comma 1, del d.lgs. n. 286 del 1998);
che tale regime rende, dunque, del tutto implausibile il duplice assunto per cui, da un lato, la legge imporrebbe tuttora al giudice di sentire comunque personalmente l’interessato prima della decisione sul ricorso avverso il provvedimento prefettizio di espulsione (per la cui proposizione è previsto il termine di sessanta giorni); e, dall’altro lato, l’elemento che impedirebbe tale audizione sarebbe rappresentato dalla mera previsione dell’arresto obbligatorio per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998: arresto che rappresenta, di contro, solo l’ultimo possibile anello della catena degli eventi prefigurati dal sistema normativo, presupponendo non solo che non sia stato possibile accompagnare immediatamente lo straniero alla frontiera, ma anche che lo straniero non abbia ottemperato, senza giustificato motivo, al conseguente ordine di allontanamento dal territorio nazionale;
che la palese estraneità delle norme denunciate all’area decisionale del giudice rimettente esclude che debba farsi luogo – così come richiesto dall’Avvocatura dello Stato – alla restituzione degli atti al predetto giudice, per un nuovo esame della rilevanza delle questioni alla luce dei sopravvenuti mutamenti che hanno interessato le norme stesse: mutamenti rappresentati, in particolare, dalla sentenza di questa Corte n. 223 del 2004 – con cui l’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevedeva l’arresto obbligatorio per il reato contravvenzionale di cui al comma 5-ter dello stesso articolo – e dal successivo decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, il quale, per un verso, ha trasformato l’anzidetta figura criminosa in delitto, fatta eccezione per l’ipotesi dell’ingiustificato trattenimento nel caso di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo; e, per un altro verso, ha ripristinato la misura dell’arresto obbligatorio in rapporto alle ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto connotazione delittuosa;
che le questioni debbono essere dichiarate, pertanto, manifestamente inammissibili.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motiviLA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’art. 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), sollevate, in riferimento agli artt. 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Sondrio con l’ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 30 novembre 2005.
Annibale MARINI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2005.