ORDINANZA N. 446
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Annibale MARINI Presidente
- Giovanni Maria FLICK Giudice
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 14, comma 5-quinquies, e 13, comma 13-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza del 18 novembre 2002 dal Tribunale di Firenze – sezione distaccata di Pontassieve, nel procedimento penale a carico di X.B. ed altro, iscritta al n. 131 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Firenze – sezione distaccata di Pontassieve, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 13, primo comma, 27, secondo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 14, comma 5-quinquies, e 13, comma 13-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui prevedono, rispettivamente, l’arresto obbligatorio nella flagranza del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del medesimo decreto legislativo, e l’arresto facoltativo nella flagranza del reato di cui all’art. 13, comma 13, dello stesso decreto;
che il giudice a quo riferisce di essere chiamato alla convalida dell’arresto di due cittadini extracomunitari, imputati dei reati di ingiustificato trattenimento e di illecito reingresso nel territorio dello Stato, di cui agli artt. 14, comma 5-ter, e 13, comma 13, del d.lgs. n. 286 del 1998: reati in relazione ai quali la misura da convalidare è prevista, rispettivamente, come obbligatoria e facoltativa dagli artt. 14, comma 5-quinquies, e 13, comma 13-ter, del citato decreto legislativo;
che – dopo aver premesso che, nel caso di specie, l’arresto dovrebbe essere convalidato, in quanto operato dalla polizia giudiziaria nel rispetto dei presupposti di legge – il rimettente dubita, tuttavia, della compatibilità delle norme denunciate con plurimi parametri costituzionali, rilevando come esse impongano o consentano, da parte dell’autorità amministrativa, una restrizione della libertà personale priva di qualsiasi finalità, sia processuale che extraprocessuale;
che l’arresto eseguito ai sensi delle predette disposizioni, difatti, non potrebbe assolvere al suo fine tipico di anticipazione, per ragioni contingenti di necessità ed urgenza, dell’applicazione di una misura cautelare coercitiva ad opera dell’autorità giudiziaria, rimanendo tale applicazione preclusa dalla pena edittale dei reati anzidetti, configurati entrambi come semplici contravvenzioni;
che neppure, d’altra parte, si potrebbe ritenere che l’arresto – destinato inevitabilmente alla perenzione nel termine massimo di quarantotto ore – miri a permettere l’immediata espulsione dello straniero, facendo sì che esso rimanga nella «disponibilità fisica» delle forze di polizia: gli artt. 13, comma 13, e 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, infatti, stabiliscono che, nel caso di commissione dei reati da essi previsti, si procede a immediato accompagnamento alla frontiera dello straniero, dimostrando, così, che il legislatore ha affidato ad altri istituti l’effettività dell’espulsione; e ciò senza considerare che, stante l’inapplicabilità di misure coercitive in relazione ai reati in parola, il pubblico ministero dovrebbe ordinare (come del resto era avvenuto nel caso di specie) l’immediata liberazione dell’arrestato a norma dell’art. 121 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, anche con provvedimento verbale: sicché la persona arrestata rimarrebbe nella disponibilità dell’autorità di pubblica sicurezza per un tempo eccessivamente breve onde consentire alla stessa di apprestare l’espulsione coatta;
che la circostanza che l’arresto – tanto nella forma obbligatoria che in quella facoltativa – contemplato dalle norme denunciate risulti privo di qualsiasi giustificazione renderebbe dunque la misura «meramente vessatoria», trasformandola in una inammissibile anticipazione dell’applicazione di una pena detentiva in relazione a reati contravvenzionali ancora da accertare; con conseguente violazione degli artt. 3, 13, primo comma, e 27, secondo comma, Cost.;
che risulterebbe compromesso, altresì, l’art. 97 Cost., dato che l’adozione di una misura restrittiva senza finalità comporterebbe un inutile dispendio di energie e di mezzi per la pubblica amministrazione, in contrasto con il principio di buon andamento della medesima;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;
che con successiva memoria, la difesa erariale – rilevato come le disposizioni impugnate siano state medio tempore modificate dal decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in tema di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271 – ha chiesto che gli atti vengano restituiti al giudice a quo.
Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5–ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione provvisoria della libertà personale priva di qualsiasi giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del provvedimento amministrativo di espulsione;
che, di seguito a tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha mutato il trattamento sanzionatorio delle fattispecie criminose di illegale rientro e di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, di cui agli artt. 13, comma 13, e 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, trasformandole da contravvenzioni in delitti puniti con la reclusione da uno a quattro anni – configurazione che consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive – fatta eccezione per l’ipotesi dell’ingiustificato trattenimento nel caso di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non è stato richiesto il rinnovo, la quale mantiene l’originaria natura contravvenzionale (commi 2-ter e 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunti dalla legge di conversione);
che, correlativamente, è stata ripristinata – per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto connotazione delittuosa – la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);
che gli atti vanno pertanto restituiti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione, alla luce dell’intervenuto mutamento del quadro normativo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta il 30 novembre 2005.
Annibale MARINI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 13 dicembre 2005.