Sentenza n. 379 del 2005

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SENTENZA N. 379

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Piero Alberto             CAPOTOSTI                                     Presidente

-  Fernanda                   CONTRI                                              Giudice

-  Guido                        NEPPI MODONA                                    “

-  Annibale                    MARINI                                                    “

-  Franco                       BILE                                                          “

-  Giovanni Maria         FLICK                                                       “

-  Francesco                  AMIRANTE                                             “

-  Ugo                           DE SIERVO                                             “

-  Romano                     VACCARELLA                                       “

-  Paolo                          MADDALENA                                        “

-  Alfio                          FINOCCHIARO                                      “

-  Alfonso                     QUARANTA                                            “

-  Franco                       GALLO                                                     “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 567, secondo comma e quarto comma, del codice di procedura civile promosso con ordinanza del 28 giugno 2004 dal Tribunale di Caltanissetta sull’esecuzione proposta dal Banco di Credito Siciliano s.p.a. contro Pignatone Cosimo ed altra, iscritta al n. 922 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella.

Ritenuto in fatto

  1. – Nel corso di un processo di espropriazione forzata, iniziato con pignoramento eseguito il 6 maggio 1997 dal Banco di Credito Siciliano S.p.A. su beni immobili, costituiti sia da terreni che da fabbricati urbani, in proprietà di Calogera Burcheri e Cosimo Pignatone, sulla richiesta di vendita depositata dal creditore procedente il successivo 26 giugno 1997, il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Caltanissetta, con ordinanza emessa il 28 giugno 2004, ha sollevato questione di legittimità costituzionale,

  – dell’art. 567, secondo comma, del codice di procedura civile, per contrasto con l’art. 3 della Costituzione, «nella parte in cui non prevede che il certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari possa ritenersi sostitutivo soltanto dell’estratto del catasto e dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all'immobile pignorato»;

  – dell’art. 567, quarto comma, del codice di procedura civile, per contrasto con gli artt. 3 e 111 della Costituzione, «nella parte in cui non estende la sanzione dell’estinzione per inattività ex art. 630, secondo comma, c.p.c., per omesso o ritardato deposito dell’estratto delle mappe censuarie e/o del certificato di destinazione urbanistica ex art. 18, legge 28 febbraio 1985, n. 47, da allegare al ricorso contenente istanza di vendita in caso di tempestivo deposito di completo certificato notarile sostitutivo».

  1.1.– Il giudice a quo riferisce, in punto di fatto che, nel termine previsto dal secondo comma dell’art. 567 cod. proc. civ. – come sostituito dall’art. 1 della legge 3 agosto 1998, n. 302 (Norme in tema di espropriazione forzata e di atti affidabili ai notai), e successivamente stabilito in via transitoria dall’art. 13-bis (aggiunto alla medesima legge dall’articolo 4 del decreto-legge 21 settembre 1998, n. 328, convertito dalla legge 19 novembre 1998, n. 399, recante modifiche dei requisiti per la nomina dei giudici onorari aggregati da destinare alle sezioni stralcio istituite dalla legge 22 luglio 1997, n. 276, e modifica dell’articolo 123-bis dell’ordinamento giudiziario, nonché disciplina transitoria della legge 3 agosto 1998, n. 302, in materia di espropriazione forzata), nonché prorogato per effetto di altri numerosi decreti-legge succedutisi nel tempo fino, da ultimo, al 30 giugno 2001 per tutte le procedure nelle quali l’istanza di vendita sia stata depositata entro il 30 aprile 2001 – il creditore procedente aveva depositato il solo certificato notarile, previsto dall’art. 567, secondo comma, cod. proc. civ., attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari dei beni pignorati e non anche gli estratti autentici delle mappe censuarie ed i certificati di destinazione urbanistica ex art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, pure richiesti da quella norma del codice di rito.

  1.2.– Con riguardo alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente premette che, nella sua formulazione originaria, l’art. 567 cod. proc. civ. imponeva il deposito, in uno all’istanza di vendita, dell’estratto del catasto e delle mappe censuarie, nonché dei certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato e del certificato del tributo diretto verso lo Stato, di modo che, in assenza della previsione di un termine perentorio per compiere tali allegazioni, la pressoché unanime giurisprudenza aveva concluso nel senso che il mancato assolvimento di tale incombente comportasse unicamente la quiescenza della procedura espropriativa fino al momento in cui fossero stati prodotti tutti i documenti necessari per la vendita.

  Per porre rimedio all’assoggettamento sine die del debitore al vincolo pignoratizio ed alla eccessiva durata del processo esecutivo immobiliare, il legislatore era quindi intervenuto, con la legge n. 302 del 1998, novellando il secondo comma dell’art. 567 cod. proc. civ., con la previsione di un termine di sessanta giorni, decorrenti dal deposito dell’istanza di vendita, per allegare «l’estratto del catasto e delle mappe censuarie, il certificato di destinazione urbanistica di cui all’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, di data non anteriore a tre mesi dal deposito del ricorso, nonché i certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato». Questo termine, per tutte le procedure espropriative nelle quali l’istanza di vendita risultava depositata entro il 30 aprile 2001, era stato quindi definitivamente fissato, con la disposizione transitoria dell’art. 13-bis della legge n. 302 del 1998, al 30 giugno 2001.

  Il giudice a quo – dopo aver puntualizzato che la documentazione richiesta dal novellato art. 567 cod. proc. civ. ha lo scopo di consentire l’esatta individuazione  dell’immobile oggetto dell’azione esecutiva nonché l’individuazione dello stato giuridico del bene, con riferimento sia alla effettiva titolarità in capo all’esecutato con correlata inesistenza di diritti di terzi, sia all’esistenza di creditori iscritti aventi diritto alla notificazione dell’avviso ex art. 498 cod. proc. civ., nonché con riferimento alla destinazione urbanistica dello stesso (ove si tratti di terreno censito al catasto rustico oppure pertinenziale ad immobile censito al catasto fabbricati, ove di estensione superiore a cinquemila metri quadrati) – osserva come il secondo comma della norma in questione, dopo aver disposto che «tale documentazione può essere sostituita da un certificato notarile», di seguito indica il contenuto di questo certificato nell’attestazione delle sole «risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari». In tal modo sarebbe manifesta la volontà del legislatore di ritenere non surrogabili dal notaio né il certificato di destinazione urbanistica, né l’estratto delle mappe censuarie (il quale, fornendo una rappresentazione topografico-catastale del bene pignorato, risulterebbe ontologicamente incompatibile con il possibile oggetto dell’attività certificativa notarile).

  Osserva, quindi, il rimettente che, alla stregua del disposto del quarto comma della norma censurata – secondo cui «qualora non sia depositata nei termini prescritti la documentazione di cui al secondo comma, ovvero il certificato notarile sostitutivo della stessa, il giudice dell’esecuzione pronuncia ad istanza del debitore o di ogni altra parte interessata o anche d’ufficio l’ordinanza di estinzione della procedura esecutiva di cui all’art. 630, secondo comma, disponendo che sia cancellata la trascrizione del pignoramento» – si dovrebbe distinguere il caso in cui la documentazione in questione sia depositata, incompleta o fuori termine, dal creditore procedente (o da quello intervenuto titolato) dal caso in cui al ricorso per la vendita sia unito esclusivamente il certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari.

  La prima ipotesi, infatti, comporterebbe la sicura estinzione della procedura esecutiva, mentre la seconda, pur nella incompletezza della documentazione necessaria per la prosecuzione del processo, non sarebbe affatto sanzionata «in assenza di espressa previsione di legge o di perentorietà dei termini ex artt. 567, comma 2, cod. proc. civ. e 13-bis, della legge 3 agosto 1998, n. 302».

  La normativa in questione sarebbe dunque, ad avviso del giudice a quo, in contrasto con la Costituzione e segnatamente con l’art. 3, «sia sotto il profilo dell’immotivato diverso trattamento di situazioni del tutto identiche, che sotto quello della irragionevolezza», e con l’art. 111 «giacché potenzialmente idonea a produrre – in assenza di una norma sanzionatoria dell’inattività del creditore – una quiescenza della procedura d’espropriazione incompatibile con il dovere del legislatore di assicurare la ragionevole durata di ogni processo».

  1.3.– Il rimettente ritiene infine la questione rilevante nel processo a quo, essendo chiamato a decidere su ricorso, contenente istanza di vendita, depositato il 26 giugno 1997, in uno al quale, come detto, sono stati uniti il certificato notarile sostitutivo attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari, nonché copia non autentica dell’estratto delle mappe censuarie relative al bene censito al catasto urbano, ma non anche gli estratti autentici della mappe censuarie di tutti i beni staggiti ed i certificati di destinazione urbanistica di quelli censiti al catasto terreni.

  2.– E’ intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità ovvero per la manifesta infondatezza della questione.

  Secondo la difesa erariale l’infondatezza della prima questione emergerebbe dall’interpretazione sistematica della norma denunciata, risultando chiaro l’intento del legislatore di consentire la sostituzione, mediante il certificato notarile, solo delle visure catastali e dei registri immobiliari e non anche del certificato di destinazione urbanistica e della mappa censuaria i quali, per come costantemente ritenuto anche dalla giurisprudenza di merito, individuano dati obiettivi dell’immobile pignorato di natura tale «da poter essere attestati solo da pubblici ufficiali e non certamente dalla relazione notarile».

  Rileva, inoltre, l’Avvocatura generale dello Stato che anche la seconda questione può essere risolta in via interpretativa, considerando come l’estinzione del processo esecutivo possa conseguire sia direttamente da situazioni espressamente «qualificate dalla legge in tal senso (pur senza espressioni sacrali)», sia mediatamente da «fattispecie in cui essa non è una sanzione positiva, ma la risultanza dell’inettitudine degli atti esecutivi compiuti a garantire la procedibilità del processo fino al suo esito naturale». La difesa erariale conclude, pertanto, nel senso che, facendo applicazione di tali principî, l’estinzione andrebbe dichiarata sia, stante l’espresso richiamo normativo, nell’ipotesi di mancato deposito del certificato notarile sostitutivo, sia nel caso di mancata allegazione all’istanza di vendita, pur tempestivamente corredata del certificato notarile sostitutivo, del certificato di destinazione urbanistica o dell’estratto di mappa censuaria (non surrogabili da quel certificato), venendosi comunque a creare «una situazione di impedimento alla naturale conclusione del procedimento esecutivo».

Considerato in diritto

  1.– Il Tribunale di Caltanissetta, giudice dell’esecuzione, dubita della legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 567, secondo comma, cod. proc. civ., «nella parte in cui non prevede che il certificato notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari possa ritenersi sostitutivo soltanto dell’estratto del catasto e di certificati delle iscrizioni e trascrizioni relative all’immobile pignorato», ed inoltre della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 111 Cost., del quarto comma del medesimo art. 567 «nella parte in cui non estende la sanzione dell’estinzione per inattività ex art. 630, secondo comma, cod. proc. civ., per omesso o ritardato deposito dell’estratto delle mappe censuarie e/o del certificato di destinazione urbanistica ex art. 18, della legge 28 febbraio 1985, n. 47, da allegare al ricorso contenente istanza di vendita in caso di tempestivo deposito di completo certificato notarile sostitutivo».

  2.– La questione non è fondata.

  2.1.– Dalla corretta premessa secondo la quale i documenti della cui produzione è onerato il creditore procedente, a norma dell’art. 567, secondo comma, prima parte, cod. proc. civ., non sono integralmente surrogabili dal certificato notarile «attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari», il giudice rimettente deduce l’incostituzionalità dell’art. 567:

  a) nella parte in cui, nel secondo comma, irragionevolmente statuisce che anche il certificato di destinazione urbanistica e le mappe censuarie sono sostituiti dal certificato notarile;

  b) nella parte in cui, nel quarto comma, prevede l’estinzione del processo esecutivo «qualora non sia depositata nei termini prescritti la documentazione di cui al secondo comma, ovvero il certificato notarile sostitutivo della stessa», in tal modo escludendo l’estinzione nell’ipotesi di tempestivo deposito del certificato notarile nonostante «l’omesso o ritardato deposito dell’estratto delle mappe censuarie e/o del certificato di destinazione urbanistica».

  2.2.– Nel trarre le conseguenze appena riferite dalla circostanza che la documentazione di cui alla prima parte del secondo comma dell’art. 567 cod. proc. civ. è più ampia di quella che il certificato notarile è in grado di sostituire, il giudice rimettente sembra presupporre che tutta quella documentazione sia indispensabile perché il processo esecutivo possa proseguire: indispensabilità a presidio della quale, coerentemente, starebbe l’estinzione, non a caso dichiarabile anche d’ufficio, e che – di conseguenza – dovrebbe essere estesa all’ipotesi di produzione, da parte del creditore, della sola certificazione notarile.

  Non è revocabile in dubbio che l’art. 567 cod. proc. civ., nei suoi commi secondo e quarto, è affetto da una antinomia, in quanto prevede, da un lato, la necessità, a pena di estinzione, della produzione di una documentazione comprensiva di mappe censuarie e certificato di destinazione urbanistica (quando il creditore non si valga di un notaio) e, dall’altro lato, della sufficienza, per evitare l’estinzione, di una certificazione notarile che non comprende né le mappe né il certificato di destinazione urbanistica.

  Osserva la Corte che tale evidente antinomia potrebbe comporsi nel senso sollecitato dall’ordinanza di rimessione solo se anche le mappe censuarie ed il certificato di destinazione urbanistica fossero indispensabili affinché la procedura esecutiva, in quello stadio del suo svolgimento (e cioè al fine di consentire al giudice dell’esecuzione di autorizzare la vendita nell’udienza di cui all’art. 569 cod. proc. civ.), prosegua utilmente; e ciò in quanto l’estinzione dichiarabile d’ufficio potrebbe essere ragionevolmente disposta dal legislatore, a causa della omessa produzione di documenti, solo se da tale omissione discendesse l’impossibilità per la procedura esecutiva di svolgersi.

  E’ ben vero, e deve essere qui ribadito, che il legislatore gode di ampia discrezionalità nel disegnare gli istituti processuali, incontrando esso il solo limite della manifesta irragionevolezza, ma è anche vero, e decisivo nel caso di specie, che l’art. 567 cod. proc. civ., come correttamente osserva il rimettente, è stato totalmente riscritto dalla legge 3 agosto 1998, n. 302 (Norme in tema di espropriazione forzata e di atti affidabili ai notai), al dichiarato fine di impedire che – senza che il processo esecutivo potesse progredire verso la liquidazione del bene a causa della mancata produzione da parte del creditore della documentazione, a tal fine necessaria – il debitore restasse indefinitamente soggetto all’azione esecutiva ed esposto, con la minacciosa possibilità della vendita forzata sullo sfondo, alle pretese dei creditori.

  Attraverso l’estinzione conseguente alla mancata produzione, entro un termine perentorio (peraltro estremamente breve, come si evince anche dai successivi interventi del legislatore), della documentazione richiesta per disporre la vendita forzata, il legislatore ha voluto impedire – e la dichiarabilità ex officio  ne costituisce indice univoco – che il processo esecutivo diventasse, in luogo che la sede deputata all’attuazione della c.d. sanzione esecutiva, l’occasione per non sempre limpidi mercanteggiamenti tra debitore e creditori, consentiti dalla previgente disciplina: a tenore della quale, come ricorda il giudice a quo, al creditore procedente era consentito – proposta l’istanza di vendita entro i novanta giorni di cui all’art. 497 cod. proc. civ. ma omettendo di produrre i documenti necessari per l’atto successivo del procedimento, l’autorizzazione della vendita – di mantenere indefinitamente in vita l’esecuzione, senza farla proseguire.

  2.3.– E’ in questo quadro, dunque, che va valutata la richiesta del giudice rimettente di comporre la segnalata  (ed innegabile) antinomia insita nell’art. 567 cod. proc. civ., da un lato, imponendo in ogni caso al creditore procedente (e, quindi, anche quando si valga dell’opera di un notaio) di produrre tempestivamente anche l’estratto delle mappe censuarie ed il certificato di destinazione urbanistica, e, dall’altro lato, estendendo a tale ipotesi (di creditore che si valga dell’opera di un notaio) la sanzione dell’estinzione ove tale ulteriore documentazione non sia tempestivamente prodotta.

  Osserva questa Corte che, se certamente è irragionevole disciplinare diversamente l’ipotesi della mancata produzione di certi documenti a seconda che il creditore si sia, o non, avvalso dell’opera di un notaio, altrettanto certamente non può a tale irragionevolezza porsi riparo assoggettando entrambe le ipotesi ad una disciplina che potrebbe non essere conforme alla ratioe, pertanto, essa stessa intrinsecamente irragionevole – che ha ispirato la previsione dell’estinzione nella norma de qua.

  Si impone, pertanto, la valutazione della indispensabilità sia dell’estratto delle mappe censuarie sia del certificato di destinazione urbanistica ai fini del compimento dell’atto successivo della procedura esecutiva, e cioè dell’autorizzazione della vendita forzata.

  2.4.– Quanto all’estratto della mappe censuarie, osserva questa Corte che la funzione di tale documento, consistente nell’individuazione della dislocazione del bene sul territorio, non è essenziale in tale fase della procedura, essendo in essa necessario soltanto stabilire l’appartenenza del bene al debitore e l’eventuale esistenza di atti, iscritti o trascritti, opponibili alla procedura esecutiva e destinati ad essere travolti, previo avviso ex art. 498 cod. proc. civ., dal c.d. effetto purgativo della vendita forzata.

  Peraltro, la rappresentazione grafica del bene offerta dalla mappa censuaria consente al giudice dell’esecuzione di operare, specialmente in caso di variazioni risultanti dal certificato storico-catastale, un riscontro, ai fini dell’individuazione del bene staggito, che il notaio – ove tali variazioni gli risultino – non può non compiere nel redigere il “certificato attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari”; sicché può ben dirsi che, ove necessario ai fini dell’individuazione del bene, quanto risulterebbe dalla mappa censuaria al giudice dell’esecuzione, potrebbe essere implicitamente ricavabile dal certificato notarile.

  In ogni caso, quand’anche il certificato notarile fosse redatto in modo da farne emergere la lacunosità sotto questo profilo, non per ciò solo la necessità di far integrare successivamente una documentazione, che ab origine dovrebbe essere esaustiva, imporrebbe di prevedere l’estinzione per la mancata produzione di un documento che, normalmente e prevedibilmente, è in questa fase della procedura non essenziale, se non addirittura superfluo.

  2.5.– Quanto al certificato di destinazione urbanistica previsto dall’art. 18 della legge 28 febbraio 1985, n. 47 (Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere edilizie) – e, oggi, dall’art. 30 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia) – la intrinseca “precarietà” di quanto da esso risultante esclude inequivocabilmente che, in questo stadio della procedura esecutiva, esso sia indispensabile per la sua prosecuzione.

  Depone, peraltro, in tal senso non solo la norma secondo la quale «esso conserva validità per un anno dalla data di rilascio, se, per dichiarazione dell’alienante o di uno dei condividendi, non sia intervenuta modificazione degli strumenti urbanistici» (art. 30, comma 3), ma anche – e, ai fini qui in esame, soprattutto – la circostanza che l’art. 591-bis cod. proc. civ. prevede l’esigenza che l’avviso di vendita contenga l’indicazione (evidentemente, attuale) della destinazione urbanistica del terreno risultante dal certificato (comma quarto) e che al decreto di trasferimento sia «allegato il certificato di destinazione urbanistica […] che conserva validità per un anno dal suo rilascio o, in caso di scadenza, altro certificato sostitutivo» (comma ottavo).

  Rilevato, dunque, che la “validità” del certificato è subordinata dalla legge alla duplice condizione della sua anteriorità non superiore ad un anno e della dichiarazione dell’alienante che non sono intervenute modificazioni degli strumenti urbanistici, è evidente che, anche quando è prodotto dal creditore procedente, il certificato in questione – in quanto, ovviamente, privo della “dichiarazione dell’alienante” (id est del debitore) – non è idoneo ad assolvere pienamente alla funzione sua propria, ma soltanto a quella di fornire precari elementi conoscitivi che necessitano di costanti, successivi aggiornamenti fino al decreto di trasferimento, al quale la norma ne prescrive l’allegazione (in ossequio a quanto è previsto, a pena di nullità, per gli atti tra vivi: art. 30, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001).

  Peraltro, è evidente che, essendo la destinazione urbanistica del terreno (censito al catasto terreni o, se costituente pertinenza di un edificio censito nel nuovo catasto edilizio urbano, di superficie superiore a cinquemila metri quadri) rilevante ai fini della determinazione del valore dell’immobile (art. 568 cod. proc. civ.), non può l’esperto nominato dal giudice dell’esecuzione (né il giudice stesso) prescindere dall’acquisire autonomamente conoscenza di tale destinazione.

  2.6.– Le considerazioni fin qui svolte – con riguardo alle norme ratione temporis applicabili nel giudizio a quo – sono confortate dalle innovazioni che, in questa materia, ha introdotto recentemente l’art. 2 del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale)

come modificato dalla legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell’ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali).

  Se è vero, infatti, che il legislatore non ha risolto l’antinomia insita nell’art. 567 cod. proc. civ., è anche vero che – sia pur rendendo meno iugulatori i termini perentori previsti per il deposito della documentazione – esso ne ha confermato la ratio, quale sopra si è individuata, di impedire che il mancato deposito della documentazione indispensabile per l’ulteriore svolgimento della procedura ne consenta la inerte pendenza sine die.

  Depongono in tal senso non solo e non tanto le norme nelle quali si ribadisce che l’avviso di vendita deve contenere l’indicazione (evidentemente, attuale) della destinazione urbanistica del terreno (art. 173-quater disp. att. cod. proc. civ.) e che al decreto di trasferimento, se previsto dalla legge, deve essere allegato il certificato di destinazione urbanistica dell’immobile (art. 591-bis), quanto la nuova formulazione dell’art. 569 cod. proc. civ. e l’analitica descrizione del compito dell’esperto, contenuta nell’art. 173-bis disp. att. cod. proc. civ.: norme, queste ultime, con le quali si chiarisce che la determinazione del valore dell’immobile deve sempre essere affidata ad un esperto, il quale deve provvedere alla «identificazione del bene, comprensiva dei confini e dei dati catastali» e deve, tra l’altro, quantificarne il valore dopo aver proceduto alla «verifica della regolarità edilizia e urbanistica del bene» (formula che presuppone, come logicamente pregiudiziale rispetto alla “verifica della regolarità urbanistica”, l’accertamento della destinazione urbanistica del terreno).

  3.– In conclusione, deve essere dichiarata infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dal giudice a quo, in quanto essa sollecita una pronuncia che, al fine di risolvere una contraddizione interna dell’art. 567 cod. proc. civ., estenderebbe ad un’ipotesi (quella in cui il creditore sia ricorso all’opera del notaio) – ragionevolmente disciplinata, ai fini dell’estinzione – quanto previsto, ma in contrasto con la ratio di tale istituto, per l’altra ipotesi di creditore che non si avvalga dell’opera del notaio: laddove anche tale ultima ipotesi, sulla base di una lettura sistematica della disciplina in questione (a fortiori, ciò vale per quella introdotta dal legislatore nel 2005), può essere interpretata in modo che – escludendosi la dichiarabilità dell’estinzione per la mancata produzione dell’estratto delle mappe censuarie e del certificato di destinazione urbanistica – sia risolto ogni contrasto con i principî costituzionali.

  E’ appena il caso di rilevare che, non potendo imputarsi alla norma censurata l’irragionevolezza lamentata dal ricorrente, ancor meno essa è censurabile in riferimento all’art. 111 Cost., dal momento che (a prescindere da altri rilievi) la mancata produzione dell’estratto delle mappe censuarie e del certificato di destinazione urbanistica non determina affatto «una quiescenza sine die della procedura d’espropriazione».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 567, commi secondo e quarto, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Caltanissetta con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2005.