Ordinanza n. 372 del 2005

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ORDINANZA N. 372

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto

CAPOTOSTI

Presidente

- Fernanda

CONTRI

Giudice

- Guido

NEPPI MODONA

"

- Annibale

MARINI

"

- Franco

BILE

"

- Giovanni Maria

FLICK

"

- Francesco

AMIRANTE

"

- Ugo

DE SIERVO

"

- Romano

VACCARELLA

"

- Paolo

MADDALENA

"

- Alfio

FINOCCHIARO

"

- Alfonso

QUARANTA

"

- Franco

GALLO

"

- Luigi

MAZZELLA

"

- Gaetano

SILVESTRI

"

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 13, comma 3-bis, e 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi con cinque ordinanze emesse dal Tribunale di Monza in data 23 gennaio 2003 (n. 2 ordinanze), 20 febbraio 2003, 3 aprile 2003 e 13 novembre 2005, rispettivamente iscritte ai numeri 594, 598, 861, 862 del registro ordinanze 2003, e 254 del registro ordinanze 2004, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 34, 35, 44, prima serie speciale, dell’anno 2003, e 15, prima serie speciale, dell’anno 2004.

  Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con le cinque ordinanze in epigrafe, di analogo tenore, il Tribunale di Monza ha sollevato questioni di legittimità costituzionale:

a) dell’art. 13, comma 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), che disciplina il rilascio del nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento a penale nel caso di arresto in flagranza o di fermo, per violazione degli artt. 3, 10, 13, 24 e 111 della Costituzione;

b) dell’art. 14, comma 5-ter, del medesimo d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto dall’art. 13 della legge n. 189 del 2002, che punisce con l’arresto da sei mesi ad un anno lo straniero che, senza giustificato motivo, si trattiene nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine impartito dal questore ai sensi del comma 5-bis del medesimo articolo, stabilendo, altresì, che in tal caso si procede a nuova espulsione con accompagnamento immediato alla frontiera, per violazione degli artt. 3, 13, 24, 25 e 27 della Costituzione;

c) dell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, aggiunto anch’esso dall’art. 13 della legge n. 189 del 2002 (ordinanze r.o. n. 594, n. 598 e n. 861 del 2003), ovvero dell’art. 13, comma 2, lettere a) e b), del medesimo decreto legislativo (ordinanze n. 862 del 2003 e n. 254 del 2004), nella parte in cui prevede l’arresto obbligatorio per il reato di cui al citato art. 14, comma 5-ter, per violazione degli artt. 3 e 13, terzo comma, della Costituzione;

che il rimettente – chiamato a procedere alla convalida dell’arresto in flagranza di uno straniero per il reato di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 nel 1998 – ritiene che tale norma incriminatrice non sia rispettosa del principio di tassatività della fattispecie penale, sancito dall’art. 25 Cost., stante la mancanza di specificazioni chiarificatrici della valenza della locuzione «senza giustificato motivo», che in essa compare – il cui significato dovrebbe essere, pertanto, arbitrariamente determinato dall’interprete – con conseguente compromissione anche del diritto di difesa del destinatario del precetto (art. 24 Cost.);

che la stessa norma - prevedendo una pena assolutamente sproporzionata per eccesso rispetto alla gravità del fatto ed applicabile al solo straniero - violerebbe altresì i principi di uguaglianza e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), di inviolabilità della libertà personale (art. 13 Cost.) e della finalità rieducativa della pena (art. 27, terzo comma, Cost.);

che il giudice a quo dubita, per altro verso, della legittimità costituzionale della disposizione — individuata, in tre delle ordinanze, nell’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998; e, nelle altre due, nell’art. 13, comma 2, lettere a) e b), del medesimo decreto legislativo — che stabilisce che per il reato in questione è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto;

che tale disposizione, in contrasto con l’art. 13 Cost., attribuirebbe infatti alla polizia giudiziaria un «potere autonomo e superiore», in materia di limitazione della libertà personale, rispetto a quello dell’autorità giudiziaria, non potendo all’arresto seguire l’applicazione di alcuna misura cautelare personale, stante la natura contravvenzionale della fattispecie criminosa;

 che il medesimo art. 14, comma 5-quinquies, d’altro canto, stabilendo che per il reato in parola si procede con rito direttissimo, limiterebbe anche il potere-dovere del pubblico ministero di porre immediatamente in libertà l’arrestato nei cui confronti non debba essere richiesta l’applicazione di misure coercitive, di cui all’art. 121 disp. att. cod. proc. pen.: con violazione, quindi, tanto dell’art. 13, secondo comma, Cost., per contrasto con l’esigenza costituzionale di controllo dell’operato della polizia giudiziaria; quanto dell’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento in peius rispetto alle persone arrestate per altri reati, anche molto più gravi;

che un ulteriore profilo di violazione dell’art. 3 Cost. emergerebbe dal raffronto con la disciplina prevista dall’art. 13, comma 13-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, che non impone l’arresto dello straniero espulso che rientri illegalmente nel territorio dello Stato: e ciò neanche quando – essendo stata l’espulsione disposta dall’autorità giudiziaria – la violazione venga a configurare un delitto punito con pena che consente l’applicazione di misure coercitive;

che il rimettente censura, ancora, l’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998, che disciplina il rilascio del nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale in sede di convalida dell’arresto;

che dalla correlazione del citato comma 3-bis con il comma 3 del medesimo articolo – che individua i limitati casi in cui il nulla osta può essere negato – deriverebbe, infatti, un sostanziale automatismo nel rilascio del nulla osta all’espulsione da parte del giudice che ha convalidato l’arresto, con conseguente immediato allontanamento dello straniero dal territorio nazionale a mezzo della forza pubblica;

che tale automatismo, impedendo irrazionalmente al giudice una valutazione comparativa degli interessi coinvolti (gestione efficace dei flussi di immigrazione clandestina, da un lato; diritto di difesa e di partecipazione al processo, dall’altro), risulterebbe lesivo di plurimi precetti costituzionali;

che sarebbe violato, anzitutto, l’art. 10 Cost.: e ciò specie qualora l’espulsione immediata comportasse il rientro dello straniero in uno Stato nel quale gli sia impedito l’esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione;

che risulterebbero altresì compromessi il diritto di difesa (art. 24 Cost.) ed i principi del giusto processo (art. 111 Cost.), con particolare riguardo al diritto dell’imputato di essere informato nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, di disporre del tempo e delle condizioni necessari per preparare la propria difesa, di essere interrogato o rendere dichiarazioni al giudice, di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, e di acquisire ogni mezzo di prova a suo favore;

che i predetti diritti non potrebbero ritenersi adeguatamente tutelati, infatti, né dalla facoltà dello straniero espulso di rientrare nel territorio dello Stato per l’esercizio del diritto di difesa, previa autorizzazione del questore, prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, attese le insormontabili difficoltà materiali che si frappongono all’esercizio di tale facoltà; né dall’attività del difensore – spesso peraltro nominato d’ufficio – il quale dovrebbe farsi carico di complessi ed onerosi contatti col proprio assistito in ambito internazionale;

che i dubbi di legittimità costituzionale sarebbero inoltre accresciuti dal disposto del comma 3-quater dell’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, in forza del quale, nei casi di cui ai commi 3, 3-bis e 3-ter, il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, se non è stato ancora emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere: bloccando, difatti, l’esercizio dell’azione penale qualora l’espulsione sia stata concretamente eseguita, la norma impedirebbe allo straniero di accedere ad un giusto processo riguardo ai fatti contestatigli, con violazione, non soltanto degli artt. 24 e 111 Cost., ma anche dell’art. 3 Cost., in relazione agli artt. 5, comma 4, e 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali; nonché dell’art. 13 Cost., prefigurando la norma un caso di restrizione della libertà personale che non trova il suo naturale sbocco nel vaglio giurisdizionale;

che sarebbe censurabile, infine, anche la scelta legislativa di imporre, per il reato in questione, un “anomalo” rito direttissimo, impedendo così, per un verso, al pubblico ministero di esercitare l’azione penale secondo i criteri ordinari; e ostacolando, per un altro verso, l’esercizio del diritto di difesa dell’imputato, anche tramite l’eventuale svolgimento di indagini difensive tese al reperimento di prove di cause giustificative della sua permanenza nel territorio nazionale;

che in quattro dei giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente inammissibili o, in subordine, manifestamente infondate.

Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano questioni sostanzialmente identiche, onde i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia;

che, successivamente alle ordinanze stesse, questa Corte, con sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione provvisoria della libertà personale del tutto priva di giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione;

che, di seguito a tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha mutato il trattamento sanzionatorio della fattispecie criminosa, trasformandola da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni – configurazione che consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive – fatta eccezione per la sola ipotesi dell’ingiustificato trattenimento a seguito di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo, la quale conserva l’originaria natura contravvenzionale (comma 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge di conversione n. 271 del 2004);

che, correlativamente, è stata ripristinata, per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto natura di delitto, la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);

che la citata sentenza n. 223 del 2004 e le modifiche legislative dianzi indicate – pur non incidendo sulla previsione in forza della quale per il reato considerato si procede con giudizio direttissimo, né sulla disciplina dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale – hanno comportato anche mutamenti della cornice sistematica e delle concrete modalità operative dei meccanismi processuali sottoposti dal rimettente a controllo di costituzionalità;

che, in particolare, la sentenza n. 223 del 2004 è valsa a modificare – riguardo ai fatti di ingiustificato trattenimento commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (quali quelli oggetto dei giudizi a quibus) – le modalità di instaurazione del giudizio direttissimo: a seguito di tale sentenza, infatti, non potendosi procedere all’arresto dell’imputato e alla sua presentazione in udienza, a norma dell’art. 558 cod. proc. pen., il giudizio direttissimo viene instaurato attraverso la citazione a comparire, con un termine non inferiore a tre giorni (art. 450, comma 2, cod. proc. pen.), che assicura comunque uno spazio temporale preventivo alla difesa; con possibili riflessi anche sull’operatività della previsione di cui all’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria di non luogo a procedere nel caso di «avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;

che, d’altra parte, una volta che per i fatti indicati non venga effettuato l’arresto, resta inoperante l’obbligo di rilascio immediato del nulla osta all’espulsione da parte del giudice in sede di convalida della misura, previsto dall’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;

che, a loro volta, le successive modifiche legislative introdotte dal decreto-legge n. 241 del 2004, come integrato dalla relativa legge di conversione – ferma restando l’impossibilità di applicare la nuova disciplina sostanziale ai fatti anteriormente commessi, trattandosi di modificazione in malam partem – alterano la sequenza procedimentale avverso la quale il giudice rimettente indirizza le proprie censure;

che, in particolare, l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere per il reato in questione, relativamente alle fattispecie trasformate in delitti – misura che impedisce il rilascio del nulla osta all’espulsione, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 – viene ad incidere sul censurato “automatismo” del meccanismo di espulsione degli stranieri imputati del reato stesso; e sposta, nel contempo, gli equilibri normativi fra le esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato e quelle connesse alla celebrazione del processo a suo carico;

che, pertanto, gli atti vanno restituiti al giudice a quo, per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, alla luce dei sopravvenuti mutamenti della disciplina della materia.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  riuniti i giudizi,

ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Monza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.

F.to:

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.