ORDINANZA N. 369
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto
CAPOTOSTI
Presidente
- Fernanda
CONTRI
Giudice
- Guido
NEPPI MODONA
"
- Annibale
MARINI
"
- Franco
BILE
"
- Giovanni Maria
FLICK
"
- Francesco
AMIRANTE
"
- Ugo
DE SIERVO
"
- Romano
VACCARELLA
"
- Paolo
MADDALENA
"
- Alfio
FINOCCHIARO
"
- Alfonso
QUARANTA
"
- Franco
GALLO
"
- Luigi
MAZZELLA
"
- Gaetano
SILVESTRI
"
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 3-bis, e 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi con ordinanze emesse dal Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia, in data 21 novembre 2002, nel procedimento penale a carico di N. A., e in data 30 aprile 2004, nel procedimento penale a carico di T. F. I., rispettivamente iscritte ai nn. 249 del registro ordinanze 2003, e 671 del registro ordinanze 2004, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell’anno 2003, e n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con le ordinanze in epigrafe, di analogo tenore, il Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 25 e 111 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 13, commi 3 e 3-bis, e 14, commi 5-ter e 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dalla legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo);
che il rimettente - chiamato a procedere, con rito direttissimo, nei confronti di cittadini extracomunitari tratti in arresto per il reato di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998 − dubita della legittimità costituzionale tanto della norma incriminatrice ora citata che delle norme processuali ad essa collegate;
che la prima viene censurata sia sotto il profilo della lesione del principio di determinatezza – e, di conseguenza, del diritto di difesa – stante la mancata indicazione di «parametri obiettivi» di identificazione dei «giustificati motivi» che, alla stregua del suo dettato, legittimano la permanenza nel territorio dello Stato dello straniero colpito da provvedimento di espulsione; sia sotto il profilo della violazione del principio di uguaglianza, trattandosi di «norma di diritto penale speciale per gli immigrati», che colpisce una particolare ipotesi di inosservanza dei provvedimenti dell’autorità (l’ordine di lasciare il territorio dello Stato, rivolto dal questore allo straniero), punendola con pena più severa di quella stabilita in via generale dall’art. 650 del codice del penale;
che, quanto alle norme processuali collegate, il giudice a quo ritiene che la previsione, per il reato in questione, del rito direttissimo «obbligatorio» (art. 14, comma 5-quinques, del d.lgs. n. 286 del 1998) si risolverebbe – per la ristrettezza dei termini che caratterizzano tale rito – in una lesione del diritto di difesa, impedendo all’imputato una piena comprensione dell’accusa, anche sul piano linguistico, nonché l’effettivo esercizio delle diverse opzioni difensive, anche in punto di accesso ai riti alternativi;
che sarebbe censurabile, ancora — in quanto illegittimamente discriminatoria in danno dei cittadini extracomunitari – la previsione dell’arresto obbligatorio per il reato de quo (art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998), ad onta della sua natura contravvenzionale e, dunque, fuori dei limiti ordinariamente stabiliti dagli artt. 380 e 381 del codice di procedura penale;
che, da ultimo, le disposizioni dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 – rendendo praticamente automatico il rilascio, da parte del giudice, del nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale per il reato considerato, nulla osta cui consegue l’immediato allontanamento dell’imputato dal territorio dello Stato – comprometterebbero anch’esse il diritto di difesa, venendo a costituire una sorta di «privilegio tecnico-processuale» per la pubblica amministrazione non giustificato da esigenze di rango costituzionale;
che ad evitare il predetto vulnus non basterebbe, d’altro canto, la facoltà di rientro in Italia dello straniero espulso ai fini dell’esercizio del diritto di difesa, prevista dall’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, essendo il rientro subordinato ad autorizzazioni amministrative non «coordinabili con le scadenze processuali» e che comunque comportano oneri economici non sostenibili dall’imputato;
che nel primo dei due giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.
Considerato che le ordinanze di rimessione sollevano identiche questioni e che, pertanto, i relativi giudizi vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia;
che, successivamente alle ordinanze stesse, questa Corte, con sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione provvisoria della libertà personale del tutto priva di giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione;
che, di seguito a tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha modificato la fattispecie criminosa considerata, trasformandola da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni – configurazione che consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive – nel caso di espulsione disposta per ingresso illegale nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 13, comma 2, lettere a) e c), del d.lgs. n. 286 del 1998, ovvero per non avere lo straniero tempestivamente richiesto il permesso di soggiorno «in assenza di cause di forza maggiore», o per essere stato il permesso revocato o annullato; conservandone, invece, l’originaria natura contravvenzionale nell’ipotesi residuale di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato chiesto il rinnovo (comma 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge di conversione n. 271 del 2004);
che, correlativamente, è stata ripristinata, per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto natura di delitto, la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);
che la citata sentenza n. 223 del 2004 e le modifiche legislative dianzi indicate – pur non incidendo sulla previsione in forza della quale per il reato considerato si procede con giudizio direttissimo, né sulla disciplina dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale – hanno comportato anche mutamenti della cornice sistematica e delle concrete modalità operative dei meccanismi processuali sottoposti dal rimettente a controllo di costituzionalità;
che, in particolare, la sentenza n. 223 del 2004 è valsa a modificare – riguardo ai fatti di ingiustificato trattenimento commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (quali quelli oggetto dei giudizi a quibus) – le modalità di instaurazione del giudizio direttissimo: a seguito di tale sentenza, infatti, non potendosi procedere all’arresto dell’imputato e alla sua presentazione in udienza, a norma dell’art. 558 cod. proc. pen., il giudizio direttissimo viene instaurato attraverso la citazione a comparire, con un termine non inferiore a tre giorni (art. 450, comma 2, cod. proc. pen.), che assicura comunque uno spazio temporale preventivo alla difesa; con possibili riflessi anche sull’operatività della previsione di cui all’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria di non luogo a procedere nel caso di «avvenuta espulsione, se non è ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;
che, d’altra parte, una volta che per i fatti indicati non venga effettuato l’arresto, resta inoperante l’obbligo di rilascio immediato del nulla osta all’espulsione da parte del giudice in sede di convalida della misura, previsto dall’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, a loro volta, le successive modifiche legislative introdotte dal decreto-legge n. 241 del 2004, come integrato dalla relativa legge di conversione – ferma restando l’impossibilità di applicare la nuova disciplina sostanziale ai fatti anteriormente commessi, trattandosi di modificazione in malam partem – alterano la sequenza procedimentale avverso la quale il giudice rimettente indirizza le proprie censure;
che, in particolare, l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere per il reato in questione, relativamente alle fattispecie trasformate in delitti – misura che impedisce il rilascio del nulla osta all’espulsione, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 – viene ad incidere sul censurato “automatismo” del meccanismo di espulsione degli stranieri imputati del reato stesso; e sposta, nel contempo, gli equilibri normativi fra le esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato e quelle connesse alla celebrazione del processo a suo carico;
che, pertanto, gli atti vanno restituiti al giudice a quo, per una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza delle questioni sollevate, alla luce dei sopravvenuti mutamenti della disciplina della materia.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Trani, sezione distaccata di Ruvo di Puglia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.