ORDINANZA N. 366
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promossi con due ordinanze emesse dal Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, in data 22 novembre 2002, nei procedimenti penali a carico rispettivamente di M.T. e M. O., iscritte ai nn. 154 e 155 del registro ordinanze 2003, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con le ordinanze in epigrafe, di identico tenore, il Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga, ha sollevato, in riferimento agli artt. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 13, comma 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), aggiunto dall’art. 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifica alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui prevede che il giudice debba rilasciare il nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale in sede di convalida dell’arresto, senza poter tenere conto delle esigenze processuali relative alla difesa dell’imputato;
che il giudice a quo premette di essere chiamato alla convalida dell’arresto ed alla contestuale celebrazione del rito direttissimo nei confronti di uno straniero imputato del reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del d.lgs. n. 286 del 1998, per essersi trattenuto, senza giustificato motivo, nel territorio dello Stato in violazione dell’ordine del questore di lasciare il territorio stesso entro cinque giorni;
che, convalidato l’arresto, il rimettente dovrebbe rilasciare, ai sensi della norma impugnata, il nulla osta all’espulsione dell’imputato, il quale aveva peraltro chiesto termine a difesa, manifestando l’intenzione di partecipare personalmente al processo;
che in base a detta norma, infatti, il nulla osta può essere negato dal giudice solo per esigenze processuali concernenti l’accertamento della responsabilità di terzi o la persona offesa, ovvero quando si proceda per i delitti previsti dall’art. 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale (art. 13, comma 3-sexies, del d.lgs. n. 286 del 1998): non, invece, per esigenze attinenti alla difesa dell’imputato e per assicurare la sua partecipazione personale al giudizio;
che mentre, peraltro, nel caso di nulla osta all’espulsione rilasciato dal giudice per le indagini preliminari il diritto di difesa dell’imputato troverebbe tutela nell’art. 17 del d.lgs. n. 286 del 1998, che consente il rientro in Italia dello straniero espulso per l’esercizio del diritto stesso; nel rito direttissimo – reso obbligatorio per il reato in questione dall’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998 – l’espulsione, conseguente al nulla osta rilasciato dal giudice all’atto della convalida dell’arresto, priverebbe di fatto l’imputato della possibilità di partecipare al processo a suo carico, in violazione degli artt. 24, secondo comma, e 111, terzo comma, Cost.;
che non potrebbe neppure soccorrere, al riguardo, la previsione dell’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in forza della quale il giudice, acquisita la prova dell’avvenuta espulsione, «se non è stato ancora emesso il provvedimento che dispone il giudizio, pronuncia sentenza di non luogo a procedere»: previsione che, con la definizione del processo, fa venir meno la necessità della presenza della persona ad esso sottoposta;
che la disposizione da ultimo citata sarebbe destinata ad operare, infatti, soltanto nella fase degli «atti preliminari», come emergerebbe dai riferimenti al «provvedimento che dispone il giudizio» e alla «sentenza di non luogo a procedere»: atto, questo, proprio del giudice dell’udienza preliminare, non previsto nel giudizio direttissimo;
che in entrambi i giudizi di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Considerato che le ordinanze di rimessione risultano di identico tenore e che, pertanto, i relativi giudizi possono essere riuniti e definiti con unica decisione;
che, successivamente a dette ordinanze, questa Corte, con sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione «provvisoria» della libertà personale priva di qualsiasi giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione;
che, dopo tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha mutato il trattamento sanzionatorio della figura criminosa, trasformandola da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni — configurazione che (a differenza della precedente) consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive — fatta eccezione per l’ipotesi dell’ingiustificato trattenimento nel caso di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, la quale mantiene l’originaria natura contravvenzionale (comma 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge di conversione);
che, correlativamente, è stata ripristinata — per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto connotazione delittuosa — la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);
che la decisione della Corte e la novella legislativa dianzi indicate – pur non incidendo direttamente né sulla previsione in forza della quale per i reati considerati si procede con giudizio direttissimo, né sulla disciplina dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale – hanno comportato sensibili mutamenti delle concrete modalità operative dei meccanismi normativi sottoposti a scrutinio di costituzionalità;
che, in particolare, la sentenza n. 223 del 2004 è valsa a modificare – riguardo ai fatti di ingiustificato trattenimento commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (quali quelli oggetto dei giudizi a quibus) – le modalità di instaurazione del giudizio direttissimo: non potendosi procedere, infatti, all’arresto dell’imputato, alla presentazione diretta in udienza di quest’ultimo a norma dell’art. 558 cod. proc. pen. è venuta a sostituirsi la citazione a comparire con termine non inferiore a tre giorni (art. 450, comma 2, cod. proc. pen.), che assicura uno spazio temporale preventivo alla difesa, con possibili riflessi anche sull’operatività della previsione – evocata dal rimettente – di cui all’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria di non luogo a procedere nel caso di avvenuta espulsione, ove non sia «ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;
che, d’altra parte, una volta che per i fatti dianzi indicati non venga effettuato l’arresto, resta inoperante l’obbligo di rilascio immediato del nulla osta all’espulsione da parte del giudice in sede di convalida della misura, previsto dall’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, a loro volta, le successive modifiche legislative introdotte dal decreto-legge n. 241 del 2004, come integrato dalla relativa legge di conversione – ferma restando, ovviamente, l’impossibilità di applicare la nuova disciplina sostanziale ai fatti anteriormente commessi, trattandosi di novella in malam partem – alterano la sequenza procedimentale denunciata;
che, in particolare, l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere per il reato in questione, riguardo alle fattispecie trasformate in delitti – misura che impedisce il rilascio del nulla osta all’espulsione, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 – viene ad incidere sull’«automatismo» del meccanismo di espulsione degli stranieri imputati del reato stesso, contro cui si rivolgono, in sostanza, le censure del giudice a quo; e sposta, al tempo stesso, gli equilibri normativi fra le esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato e quelle connesse alla celebrazione del processo a suo carico;
che gli atti vanno pertanto restituiti al Tribunale rimettente, ai fini di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione alla luce dei sopravvenuti mutamenti del quadro normativo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Savona, sezione distaccata di Albenga.
Così deciso in Roma,nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.