ORDINANZA N. 365
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’articolo 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), promosso con ordinanza emessa dal Tribunale di Roma in data 10 gennaio 2003, nel procedimento penale a carico di G. M. S., iscritta al n. 137 del registro ordinanze 2003, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2003.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.
Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe il Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, questione di costituzionalità dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), come modificato dall’articolo 12 della legge 30 luglio 2002, n. 189 (Modifiche alla normativa in materia di immigrazione e di asilo), nella parte in cui non prevede che il giudice possa negare il nulla osta all’espulsione dello straniero sottoposto a procedimento penale anche per inderogabili esigenze processuali valutate in relazione al diritto di difesa dell’imputato;
che il giudice a quo premette di aver convalidato l’arresto di uno straniero per il reato di ingiustificato trattenimento nel territorio dello Stato, di cui all’art. 14, comma 5-ter del d.lgs. n. 286 del 1998: arresto previsto come obbligatorio dal comma 5-quinquies del medesimo articolo;
che, in base alle norme denunciate, egli sarebbe quindi tenuto a rilasciare il nulla osta all’espulsione dell’imputato dal territorio dello Stato, non avendo applicato al medesimo la misura della custodia cautelare in carcere, né sussistendo le ulteriori condizioni che, alla stregua delle norme stesse, legittimano il diniego di detto nulla osta: vale a dire, inderogabili esigenze processuali valutate in relazione all’accertamento della responsabilità di altre persone o all’interesse della persona offesa;
che nella specie, tuttavia, l’imputato intenderebbe provare, nel giudizio di merito, sia la sua qualità di richiedente lo status di rifugiato; sia la circostanza di essere in possesso di un permesso di soggiorno scaduto da meno dei sessanta giorni previsti dalla legge ai fini dell’espulsione, nonché l’avvenuto rinnovo della relativa richiesta;
che il rilascio del nulla osta all’espulsione comprometterebbe quindi in modo rilevante il suo diritto di difesa, non integralmente garantito dalla sola presenza del difensore;
che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Considerato che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 223 del 2004, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 13 Cost., l’art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998, nella parte in cui stabiliva che per il reato di ingiustificato trattenimento dello straniero nel territorio dello Stato, previsto dal comma 5-ter del medesimo articolo, è obbligatorio l’arresto dell’autore del fatto: e ciò in quanto tale misura «precautelare» si risolveva in una limitazione «provvisoria» della libertà personale priva di qualsiasi giustificazione processuale, non potendo essere finalizzata all’adozione di alcun provvedimento coercitivo, data la natura contravvenzionale della fattispecie, né costituendo un presupposto del procedimento amministrativo di espulsione;
che, dopo tale pronuncia, il decreto-legge 14 settembre 2004, n. 241 (Disposizioni urgenti in materia di immigrazione), convertito, con modificazioni, in legge 12 novembre 2004, n. 271, ha mutato il trattamento sanzionatorio della fattispecie criminosa, trasformandola da contravvenzione in delitto punito con la reclusione da uno a quattro anni — configurazione che consente, ai sensi dell’art. 280 cod. proc. pen., l’applicazione di misure coercitive — fatta eccezione per l’ipotesi dell’ingiustificato trattenimento nel caso di espulsione disposta perché il permesso di soggiorno è scaduto da più di sessanta giorni e non ne è stato richiesto il rinnovo, la quale mantiene l’originaria natura contravvenzionale (comma 5-bis dell’art. 1 del decreto-legge n. 241 del 2004, aggiunto dalla legge di conversione);
che, correlativamente, è stata ripristinata — per le ipotesi di ingiustificato trattenimento che hanno assunto connotazione delittuosa — la misura dell’arresto obbligatorio (comma 5-quinquies, terzo periodo, dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998, come sostituito dall’art. 1, comma 6, del decreto-legge n. 241 del 2004);
che la decisione della Corte e la novella legislativa dianzi indicate — pur non incidendo direttamente né sulla previsione in forza della quale per il reato considerato si procede con giudizio direttissimo (art. 14, comma 5-quinquies, del d.lgs. n. 286 del 1998), né sulla disciplina dell’espulsione amministrativa dello straniero sottoposto a procedimento penale — hanno comportato sensibili trasformazioni delle concrete modalità operative del meccanismo sottoposto a scrutinio di costituzionalità;
che, in particolare, la sentenza n. 223 del 2004 è valsa a modificare — riguardo ai fatti di ingiustificato trattenimento commessi anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 271 del 2004 (quale quello oggetto del giudizio a quo) — le modalità di instaurazione del giudizio direttissimo: non potendosi procedere, infatti, all’arresto dell’imputato, alla presentazione diretta in udienza di quest’ultimo a norma dell’art. 558 cod. proc. pen. è venuta a sostituirsi la citazione a comparire con termine non inferiore a tre giorni (art. 450, comma 2, cod. proc. pen.), che assicura uno spazio temporale preventivo alla difesa, con possibili riflessi anche sull’operatività della previsione di cui all’art. 13, comma 3-quater, del d.lgs. n. 286 del 1998, in tema di declaratoria di non luogo a procedere nel caso di avvenuta espulsione, ove non sia «ancora stato emesso il provvedimento che dispone il giudizio»;
che, d’altra parte, una volta che per i fatti dianzi indicati non venga effettuato l’arresto, resta inoperante l’obbligo di rilascio immediato del nulla osta all’espulsione da parte del giudice in sede di convalida della misura, previsto dall’art. 13, comma 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998;
che, a loro volta, le successive modifiche legislative introdotte dal decreto-legge n. 241 del 2004, come integrato dalla relativa legge di conversione — ferma restando, ovviamente, l’impossibilità di applicare la nuova disciplina sostanziale ai fatti anteriormente commessi, trattandosi di novella in malam partem — alterano la sequenza procedimentale denunciata;
che, in particolare, l’applicabilità della misura della custodia cautelare in carcere in rapporto alle fattispecie che hanno assunto natura di delitto — misura che impedisce il rilascio del nulla osta all’espulsione, ai sensi dell’art. 13, commi 3 e 3-bis, del d.lgs. n. 286 del 1998 — viene ad incidere sull’«automatismo» del meccanismo di espulsione dello straniero cui la violazione è imputata; e sposta, al tempo stesso, gli equilibri normativi fra le esigenze di immediato allontanamento dello straniero illegalmente presente sul territorio dello Stato e quelle connesse alla celebrazione del processo a suo carico;
che gli atti vanno pertanto restituiti al giudice a quo, ai fini di una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione alla luce dei sopravvenuti mutamenti del quadro normativo.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti al Tribunale di Roma.
Così deciso in Roma,nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Giovanni Maria FLICK, Redattore
Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2005.