ORDINANZA N. 358
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
- Luigi MAZZELLA "
- Gaetano SILVESTRI "
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), promossi con ordinanze dell’11, del 22 e del 28 dicembre 2004, e del 3 gennaio 2005 dal Magistrato di sorveglianza di Foggia, del 14 gennaio 2005 dal Magistrato di sorveglianza di Bari e del 19 gennaio 2005 dal Magistrato di sorveglianza di Foggia, rispettivamente iscritte ai nn. da 135 a 138, 196 e 197 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 11 e 15, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 luglio 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Foggia, con cinque ordinanze aventi contenuto identico, ha sollevato per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui consente l’ammissione al beneficio della sospensione dell’esecuzione della parte finale della pena detentiva ai condannati i quali abbiano subito la revoca, per fatto colpevole, di una precedente misura alternativa alla detenzione;
che il rimettente è investito dell’esame di istanze di concessione della sospensione condizionata della pena detentiva di condannati i quali, già ammessi a diverse misure alternative (affidamento in prova e detenzione domiciliare), ne avevano successivamente subìto la revoca “per violazioni al programma di trattamento”;
che secondo il giudice a quo, per consentire la concessione del beneficio non pare sufficiente il disposto dell’art. 7 della citata legge n. 207 del 2003, che testualmente prevede: «le disposizioni della presente legge si applicano nei confronti dei condannati in stato di detenzione ovvero in attesa di esecuzione della pena alla data di entrata in vigore della medesima», in quanto si tratterebbe di una norma di chiusura, finalizzata all’indicazione del criterio temporale per l’applicazione del beneficio, ma che non individuerebbe le condizioni sostanziali, soggettive ed oggettive, che consentono di godere della misura;
che per tale motivo, ad avviso del rimettente, la condizione ostativa ben potrebbe ritenersi integrata anche nei confronti dei condannati che, dopo essere stati ammessi ad una misura alternativa, ne abbiano successivamente subito la revoca;
che una diversa interpretazione della norma, prosegue l’ordinanza, fondata sul dato meramente letterale, appare in contrasto con la Costituzione, poiché ancorerebbe ad un dato puramente temporale - l’essere o meno la misura alternativa in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 207 del 2003 - la concessione del beneficio, ciò in violazione del principio di ragionevolezza;
che sotto altro profilo, sempre secondo il rimettente, una tale interpretazione discriminerebbe ingiustamente la condizione di chi, essendo stato ammesso ad una misura alternativa ed avendo ottemperato alle prescrizioni di legge, non ha subito la revoca del beneficio, da quella di colui che, avendo visto revocato il precedente beneficio, verrebbe a fruire comunque della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni;
che l’interpretazione criticata, prosegue l’ordinanza, viola anche l’art. 3 Cost. sotto il profilo della violazione del principio di eguaglianza, poiché se le due situazioni non sono identiche fra loro, il condannato che ha visto revocata una precedente misura alternativa viene ad essere nella condizione di godere del c.d. indultino, mentre chi ha tenuto una condotta osservante della legge e delle prescrizioni e merita maggior tutela ne verrebbe escluso;
che in tal modo si legittimerebbe il “perverso gioco” di chi, al fine di essere ammesso all’indultino, provoca espressamente la revoca di una misura alternativa, specie se diversa dall’affidamento in prova, essendo automatica la concessione della nuova misura introdotta dalla norma censurata, ciò che crea una violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., per contrasto col principio costituzionale della finalità rieducativa della pena;
che ad avviso del giudice a quo, il mancato inserimento tra le cause ostative alla concessione del beneficio della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena delle ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esecuzione delle misure privative e limitative della libertà) sarebbe dunque irragionevole, dal momento che la disposizione citata vieta la concessione di misure le cui prescrizioni sono ben più rigorose di quelle del beneficio previsto dalla norma censurata, del quale il condannato potrebbe però fruire, seguendo l’interpretazione criticata, anche nell’ipotesi in cui gli sia precluso di beneficiare delle altre misure alternative;
che la disposizione censurata violerebbe inoltre sia il principio di eguaglianza, sia quello delle finalità rieducativa della pena, consentendo ad un soggetto, rivelatosi con fatti concludenti poco affidabile, nei cui confronti sia stata disposta le revoca di precedenti benefici e che potrebbe addirittura aver commesso reati durante l’esecuzione di una precedente misura, di godere di un ulteriore beneficio, precluso invece a chi, non avendo commesso violazioni, si presenta come più meritevole;
che è intervenuto nei giudizi di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile o comunque infondata;
che secondo l’Avvocatura lo stesso rimettente ha riconosciuto che la disposizione censurata consente una interpretazione conforme a Costituzione diversa da quella offerta con le ordinanze di rimessione, nel senso di precludere a coloro che siano stati ammessi ad una misura alternativa alla detenzione, e che successivamente se la siano vista revocare, di poter godere del beneficio introdotto dalla legge n. 207 del 2003;
che il rimettente, anziché concludere, in coerenza con detta interpretazione, rigettando le istanze di concessione del beneficio, ha inopinatamente sollevato la questione di legittimità costituzionale sul presupposto di una diversa interpretazione prospettata in via ipotetica;
che l’interpretazione secondo Costituzione, prosegue la memoria, è stata accolta dalla stessa giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che «la lettera della legge, nel momento in cui fa riferimento al condannato che ha beneficiato della misura alternativa, identifica una categoria di soggetti e non richiede come condizione che la misura alternativa sia in atto» (Cass., sez. I penale, sentenza 14 novembre 2004, n. 43153);
che la stessa giurisprudenza di legittimità, continua l’Avvocatura, ha evidenziato che la sospensione condizionata concessa con la legge n. 207 del 2003 è un mezzo di recupero sociale, che essa è infatti preclusa ai soggetti di particolare pericolosità sociale ed è corredata da prescrizioni e controlli sul modello dell’affidamento in prova al servizio sociale ed è espressamente equiparata alle misure alternative e soggetta come queste a revoca;
che tali decisioni confermano la ragionevolezza della scelta legislativa di escludere dal beneficio i soggetti cui sia stata revocata una precedente misura alternativa;
che anche il Magistrato di sorveglianza di Bari, con ordinanza di contenuto sostanzialmente identico a quelle emesse dal Magistrato di sorveglianza di Foggia, ha sollevato negli stessi termini la medesima questione di legittimità costituzionale;
che anche in questo giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, svolgendo le medesime difese di cui alle precedenti ordinanze.
Considerato che tutte le ordinanze in esame sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui consente l’ammissione al beneficio di coloro i quali abbiano subito la revoca, per fatto colpevole, di una misura alternativa alla detenzione, e che i relativi giudizi vanno quindi riuniti;
che questa Corte, con la sentenza n. 278 del 2005, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata;
che occorre quindi restituire gli atti ai giudici rimettenti perché valutino, alla luce della citata sentenza della Corte, la perdurante rilevanza delle questioni sollevate nei giudizi a quibus.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Foggia ed al Magistrato di sorveglianza di Bari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 settembre 2005.