ORDINANZA N. 356
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ORDINANZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), promossi con ordinanze del 25 febbraio 2004 (n. 2 ordd.) dal Magistrato di sorveglianza di Bari, del 14 e del 22 aprile 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Foggia, del 28 aprile, del 3 maggio, del 27 e del 26 maggio, dell’8 luglio, del 23 marzo, del 27 aprile, del 6, del 20 e del 22 luglio, del 12 agosto, del 23 e del 22 luglio, del 9, del 6, del 9 (n. 2 ordd.) e del 17 agosto 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Bari, del 27 luglio 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Foggia, del 2 e del 15 ottobre 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Bari, del 22 ottobre 2004 dal Tribunale di sorveglianza di Bari, del 5, del 9 e del 10 (n. 2 ordd.) novembre 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Foggia, rispettivamente iscritte ai nn. da 651 a 653, 714, dal 716 a 718, 766, 767, 836, 837, da 881 a 885, da 915 a 920 e 987 del registro ordinanze 2004 ed ai nn. da 48 a 50 e da 60 a 63 del registro ordinanze 2005 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 32, 38, 41, 44, 45, 46 e 49, prima serie speciale, dell’anno 2004 e nn. 8 e 9, prima serie speciale, dell’anno 2005.
Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 6 aprile 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Magistrato di sorveglianza di Bari, con ventidue ordinanze emesse in date diverse ed aventi contenuto sostanzialmente identico, ha sollevato, per violazione degli artt. 3 e 27, terzo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lettera d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui consente ai condannati, i quali abbiano subito la revoca per fatto colpevole di una misura alternativa alla detenzione, l’ammissione al beneficio della sospensione dell’esecuzione della parte finale della pena detentiva;
che il rimettente è investito dell’esame di diverse istanze di concessione della sospensione condizionata della pena detentiva di condannati che, già ammessi a diverse misure alternative (affidamento in prova, semilibertà, detenzione domiciliare), ne avevano successivamente subìto la revoca “per violazioni al programma di trattamento”;
che ad avviso del rimettente l’art. 1, comma 3, lettera d), della legge n. 207 del 2003, nella parte in cui esclude dalla sospensione dell’esecuzione della parte finale della pena detentiva le persone che, dopo la condanna, siano state ammesse alle misure alternative contiene una espressione “francamente ambigua”, non essendo chiaro se l’esclusione riguardi solo i condannati che si trovino attualmente a beneficiare delle misure suddette, ovvero coloro che, già ammessi a tali misure, abbiano visto le stesse successivamente revocate per fatto loro imputabile;
che secondo il giudice a quo, l’art. 7 della citata legge n. 207 del 2003, che testualmente prevede: «le disposizioni della presente legge si applicano nei confronti dei condannati in stato di detenzione ovvero in attesa di esecuzione della pena alla data di entrata in vigore della medesima», sarebbe una “norma di chiusura”, finalizzata all’individuazione del criterio temporale per l’applicazione del beneficio, ma non individuerebbe le condizioni “sostanziali, soggettive ed oggettive” che consentono di godere della misura, individuate dall’art. 1 della legge citata;
che, prosegue il rimettente, tra le condizioni ostative è espressamente prevista quella che il condannato sia stato ammesso ad una misura alternativa alla detenzione, ma non anche l’attualità di tale condizione, e che per tale motivo la condizione ostativa deve ritenersi integrata anche nei confronti dei condannati che abbiano subito la revoca di una misura precedentemente disposta;
che una diversa interpretazione della norma, prosegue l’ordinanza, appare in contrasto con la Costituzione, poiché ancorerebbe ad un dato puramente aleatorio (l’essere o meno la misura alternativa in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 207 del 2003), ciò in violazione del principio di ragionevolezza;
che secondo il Magistrato di sorveglianza di Bari tale interpretazione discriminerebbe ingiustamente la condizione di chi, essendo stato ammesso ad una misura alternativa ed avendo ottemperato alle prescrizioni di legge, non ha subito la revoca del beneficio, da quella di colui che, avendo visto revocato il precedente beneficio, verrebbe a fruire comunque della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni;
che l’interpretazione criticata, prosegue l’ordinanza, violerebbe quindi anche l’art. 3 Cost. sotto il profilo del principio di eguaglianza, poiché se è vero che le due situazioni non sono identiche fra loro, è anche vero che il condannato che ha visto revocata una precedente misura alternativa viene ad essere nella condizione di godere del c.d. indultino, mentre chi ha tenuto una condotta osservante della legge e merita maggior tutela ne verrebbe escluso;
che, continua il rimettente, in tal modo si legittimerebbe il “perverso gioco” di chi, al fine di essere ammesso all’indultino, provochi espressamente la revoca di una misura alternativa, specie se diversa dall’affidamento in prova, essendo la nuova misura introdotta dalla norma censurata automatica, ciò che crea una violazione dell’art. 27, terzo comma, Cost., per contrasto col principio costituzionale della finalità rieducativa della pena;
che secondo il giudice a quo il mancato inserimento tra le cause ostative alla concessione del beneficio della sospensione condizionata dell’esecuzione della pena delle ipotesi di cui all’art. 58-quater della legge 26 luglio 1975, n. 354 sarebbe irragionevole, dal momento che la disposizione citata vieta la concessione di misure le cui prescrizioni sono ben più rigorose di quelle del beneficio previsto dalla norma censurata, del quale il condannato potrebbe fruire anche nell’ipotesi in cui gli sia precluso di beneficiare delle altre misure alternative;
che la disposizione censurata viola anche il principio di eguaglianza e quello della finalità rieducativa della pena, consentendo ad un soggetto, rivelatosi con fatti concludenti poco affidabile e nei cui confronti sia stata disposta le revoca di precedenti benefici, di godere di un ulteriore beneficio, precluso invece a chi, non avendo commesso violazioni, si presenta come più meritevole;
che è intervenuto nei giudizi di legittimità costituzionale il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo alla Corte di dichiarare la questione inammissibile e comunque infondata;
che secondo l’Avvocatura la disposizione censurata non consente che coloro che siano stati ammessi ad una misura alternativa alla detenzione e che successivamente se la siano vista revocare possano ora godere del beneficio introdotto dalla legge n. 207 del 2003;
che l’art. 2, comma 3, della legge citata prevede che la sospensione della parte finale della pena “non si applica quando la persona condannata è stata ammessa alle misure alternative alla detenzione”, senza che ciò significhi la “sottoposizione attuale” alla misura alternativa, ma al contrario facendo riferimento esclusivamente ad una precedente ammissione;
che per tale ragione, prosegue l’Avvocatura, il semplice fatto che la persona condannata sia stata ammessa alla misura alternativa e sia uscita quindi dal regime detentivo penitenziario osta alla concessione del nuovo beneficio, restando del tutto indifferenti le vicende successive cha hanno riguardato la misura, e cioè se essa sia stata o meno revocata;
che, prosegue la memoria, il beneficio introdotto dalla legge n. 207 del 2003, pur non essendo propriamente una misura alternativa, presenta con queste alcune affinità e che il legislatore ha voluto, in sostanza, recepire per il nuovo istituto la disciplina già prevista dall’art. 58-quater, secondo il quale chi si vede revocata una misura alternativa non può ottenerne una nuova per i successivi tre anni;
che secondo l’Avvocatura la questione sollevata, lungi dall’evidenziare profili di legittimità costituzionale, vale solo a confortare una interpretazione della norma, conforme a Costituzione, fatta propria dallo stesso giudice a quo, essendo al contrario manifestamente assurde le conseguenze di una interpretazione opposta a quella offerta;
che il Magistrato di sorveglianza di Foggia, con sette ordinanze aventi contenuto sostanzialmente identico a quelle emesse dal Magistrato di sorveglianza di Bari, ha sollevato negli stessi termini la medesima questione di legittimità costituzionale;
che anche in questi giudizi è intervenuta l’Avvocatura generale dello Stato, svolgendo le medesime difese;
che altra ordinanza di contenuto identico è stata emessa dal Tribunale di sorveglianza di Bari, investito della decisione del reclamo proposto da un condannato avverso la ordinanza del Magistrato di sorveglianza di Foggia con la quale era stata dichiarata inammissibile la sua domanda di applicazione dell’ “indultino”.
Considerato che tutte le ordinanze in esame sollevano questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3, lett. d), della legge 1° agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), nella parte in cui consente l’ammissione al beneficio di coloro i quali abbiano subito la revoca, per fatto colpevole, di una misura alternativa alla detenzione, e che le questioni vanno quindi riunite;
che questa Corte, con la sentenza n. 278 del 2005, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata;
che occorre quindi restituire gli atti ai giudici rimettenti perché valutino, alla luce della citata sentenza della Corte, la perdurante rilevanza delle questioni sollevate nei giudizi a quibus.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
ordina la restituzione degli atti al Magistrato di sorveglianza di Foggia, al Magistrato di sorveglianza di Bari ed al Tribunale di sorveglianza di Bari.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28 settembre 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 30 settembre 2005.