ORDINANZA N. 310
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 143, primo comma, del codice di procedura civile e dell’art. 174, comma 6, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), promosso con ordinanza del 9 agosto 2004 dal Tribunale di L’Aquila sulle istanze riunite di fallimento proposte da Daicom S.a. ed altre contro Piccirilli Francesco, iscritta al n. 961 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 22 giugno 2005 il Giudice relatore Annibale Marini.
Ritenuto che il Tribunale di L’Aquila, con ordinanza del 9 agosto 2004, nel corso di un procedimento per dichiarazione di fallimento, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 143, primo comma, del codice di procedura civile, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, e dell’art. 174, comma 6, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione;
che il giudice rimettente, «verificata la ritualità della notificazione» al fallendo delle istanze di fallimento, «ai sensi dell’art. 143 c.p.c.», rileva che il sistema processuale, quanto alla disciplina delle notifiche, è stato «ridisegnato dal legislatore perseguendo l’obiettivo di tutelare il diritto del destinatario alla riservatezza dei dati personali», in particolare «mediante l’inserimento in busta chiusa delle copie degli atti consegnate a persone diverse dal destinatario»;
che il suddetto art. 143, primo comma, cod. proc. civ., prevedendo viceversa il deposito di copia dell’atto presso la casa comunale, senza alcuna cautela intesa ad evitarne l’ostensione del contenuto a terzi, determinerebbe, sotto il profilo della tutela del diritto alla riservatezza, una ingiustificata disparità di trattamento in danno della persona di cui non siano conosciuti la residenza, la dimora o il domicilio, in assenza del procuratore previsto dall’art. 77 cod. proc. civ.;
che, per altro verso, l’art. 174, comma 6, del decreto legislativo n. 196 del 2003, nell’eliminare – proprio a fini di tutela del diritto alla riservatezza – l’ulteriore formalità, precedentemente prevista dall’art. 143, primo comma, cod. proc. civ., dell’affissione di altra copia dell’atto nell’albo dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale si procede, avrebbe compromesso la possibilità stessa di conoscenza dell’atto da parte del destinatario, determinando «la completa elisione del diritto di difesa del destinatario della notificazione»;
che d’altro canto il legislatore ben avrebbe potuto mantenere la suddetta formalità senza pregiudicare il diritto alla riservatezza dell’interessato, ad esempio prevedendo l’affissione dell’atto in busta chiusa e sigillata;
che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di inammissibilità o di manifesta infondatezza della questione;
che le questioni proposte sarebbero innanzitutto – secondo la parte pubblica – prive di qualsiasi rilevanza;
che, nel merito, le questioni stesse sarebbero comunque non fondate, essendo in realtà volte a censurare non la ragionevolezza ma l’opportunità delle scelte effettuate dal legislatore.
Considerato che la questione relativa all’art. 143, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata sotto l’esclusivo profilo della disparità di trattamento tra forme diverse di notificazione quanto alla tutela del diritto alla riservatezza del destinatario, è sicuramente priva di rilevanza nel giudizio a quo, nel quale non viene in discussione la lesione di tale diritto;
che la questione stessa va perciò dichiarata manifestamente inammissibile;
che, per quanto riguarda l’art. 174, comma 6, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), il rimettente assume che l’eliminazione della formalità rappresentata dall’affissione di una copia dell’atto nell’albo dell’ufficio giudiziario dinanzi al quale si procede sarebbe lesiva dell’art. 24, secondo comma, della Costituzione in quanto determinerebbe «la completa elisione» del diritto di difesa del destinatario della notificazione;
che l’assunto del rimettente, secondo cui il diritto di difesa del destinatario della notificazione risulterebbe del tutto compromesso per effetto della disposizione abrogatrice, è all’evidenza privo di fondamento, ove si consideri che la suddetta formalità si aggiungeva, nell’originario testo dell’art. 143, primo comma, cod. proc. civ., a quella, tuttora prevista dalla norma, rappresentata dal deposito di una copia dell’atto nella casa comunale, deposito pur esso finalizzato a consentire la conoscibilità dell’atto stesso da parte del destinatario;
che la giurisprudenza di questa Corte è d’altro canto consolidata nell’affermare che le presunzioni legali di conoscenza sulle quali si fondano le forme di notificazione che non assicurano la conoscenza “reale” degli atti – quale appunto quella prevista dall’art. 143, primo comma, cod. proc. civ. – non contrastano con l’art. 24 della Costituzione se non quando il bilanciamento, discrezionalmente operato dal legislatore, tra l’interesse del notificante al compimento della notificazione e l’interesse del destinatario all’effettiva conoscenza dell’atto notificato risulti – il che, nella fattispecie, non appare – manifestamente irragionevole (ordinanze n. 119 del 2001e n. 591 del 1989);
che del pari non irragionevole deve ritenersi il bilanciamento operato dalla norma impugnata tra il richiamato interesse del destinatario all’effettiva conoscenza dell’atto e quello, con esso in parte collidente, relativo alla tutela della diritto alla riservatezza del medesimo destinatario;
che la questione va pertanto dichiarata manifestamente infondata.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 143, primo comma, del codice di procedura civile sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di L’Aquila con l’ordinanza in epigrafe;
b) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 174, comma 6, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), sollevata, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, dal medesimo Tribunale con la predetta ordinanza.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 luglio 2005.
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Annibale MARINI, Redattore
Depositata in Cancelleria il 22 luglio 2005.