Ordinanza n. 255 del 2005

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ORDINANZA N. 255

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Piero Alberto

CAPOTOSTI

Presidente

- Guido

NEPPI MODONA

Giudice

- Annibale

MARINI

"

- Franco

BILE

"

- Giovanni Maria

FLICK

"

- Francesco

AMIRANTE

"

- Ugo

DE SIERVO

"

- Romano

VACCARELLA

"

- Paolo

MADDALENA

"

- Alfonso

QUARANTA

"

- Franco

GALLO

"

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), introdotto dall’art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354), promosso con ordinanza dell’8 aprile 2004 dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria sull’istanza proposta da M. I., iscritta al n. 688 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 33, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 4 maggio 2005 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con l’ordinanza in epigrafe, emessa nell’ambito di un procedimento «per differimento provvisorio dell’esecuzione della pena ex art. 684» del codice di procedura penale, il Magistrato di sorveglianza di Alessandria ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), introdotto dall’art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354), «nella parte in cui non consente l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare» nel caso «di condannato con pena residua superiore ai quattro anni»;

che il giudice a quo premette di essere chiamato a pronunciarsi sull’istanza con la quale un detenuto – condannato in via definitiva con pena detentiva residua superiore a quattro anni – ha chiesto l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare ai sensi del combinato disposto dei commi 1-ter e 1-quater dell’art. 47-ter della legge n. 354 del 1975;

che l’interessato risulterebbe affetto da patologie, non adeguatamente trattabili in istituto penitenziario, atte ad integrare la condizione di «grave infermità fisica» che in base al numero 2 dell’art. 147 del codice penale legittima il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena;

che non ricorrerebbe, tuttavia, il requisito previsto dall’ultimo comma dello stesso art. 147 – ossia l’insussistenza del concreto pericolo di commissione di delitti – avendo l’istante commesso numerosi delitti di particolare gravità ed essendo egli «gravemente recidivo» dopo l’ottenimento di benefici penitenziari e l’irrogazione di misure di sicurezza: con la conseguenza che la pura e semplice rimessione in libertà si tradurrebbe in un rischio «per l’interessato e la collettività»;

che il pericolo di recidiva costituirebbe, peraltro, una situazione di fatto, da accertare in correlazione al «regime sanzionatorio» concretamente applicato;

che, nella specie, la pericolosità sociale del soggetto – incompatibile con la mera scarcerazione – risulterebbe viceversa compatibile con la misura della detenzione domiciliare, che implica controlli, supporti e presidi sanzionatori dotati di efficacia deterrente, ivi compresa la possibilità di arresto immediato per evasione;

che sussisterebbe, per altro verso, il «periculum in mora», stanti le condizioni di salute dell’interessato ed il «cospicuo tempo di attesa» (non meno di un mese) necessario per la trattazione del procedimento davanti al tribunale di sorveglianza, competente a disporre la misura;

che l’istanza dell’interessato risulterebbe dunque fondata in punto di fatto: ma al suo accoglimento osterebbe la previsione del comma 1-quater dell’art. 47-ter della legge n. 354 del 1975, che consente l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare, da parte del magistrato di sorveglianza, unicamente nei casi di cui ai commi 1 e 1-bis dello stesso articolo: escludendo così – alla stregua di una pacifica lettura – l’ipotesi di cui al comma 1-ter (rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena, ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen.), che viene in considerazione nella specie;

che tale assetto normativo si porrebbe tuttavia in contrasto con gli artt. 3, 27 e 32 Cost., sotto plurimi profili;

che, in primo luogo, infatti, la norma denunciata impedirebbe irragionevolmente di adottare in via urgente l’unica misura – terapeutica e sanzionatoria – idonea a tutelare il diritto ad una pena umana, il diritto alla salute del condannato e la sicurezza dei cittadini;

che, in secondo luogo, essa equiparerebbe irragionevolmente situazioni diverse, quanto ai valori costituzionali in gioco: quella del condannato la cui pericolosità sociale è compatibile con la detenzione domiciliare, e quella del detenuto al quale tale misura non potrebbe essere concessa, neppure in via definitiva, a causa di una pericolosità del tutto incompatibile con forme di trattamento esterne;

che, in terzo luogo, nel caso di persona che versi nelle più gravi condizioni di salute le quali, in base all’art. 146 cod. pen., giustificano il rinvio obbligatorio dell’esecuzione della pena – situazione, questa, non direttamente rilevante nel procedimento a quo, ma concernente comunque «identici profili» – la norma impugnata equiparerebbe irragionevolmente, nella fase provvisoria, il condannato socialmente pericoloso a quello non socialmente pericoloso: impedendo di applicare al primo l’unica misura idonea (la detenzione domiciliare), e circoscrivendo la scelta alle due alternative – entrambe «costituzionalmente dubbie» – della scarcerazione pura e semplice (che priverebbe il condannato dei supporti necessari alla sua rieducazione e la collettività della tutela contro le sue aggressioni) o del mantenimento della carcerazione (che lederebbe la salute del condannato ed i «principi di … umanità»);

che, d’altra parte, la disciplina censurata non potrebbe essere giustificata sulla base di una ipotetica necessità, valutata dal legislatore, dell’intervento del giudice collegiale in rapporto alle fattispecie di cui al comma 1-ter dell’art. 47-ter della legge n. 354 del 1975, in quanto concernenti le pene più elevate, con correlata maggiore pericolosità del condannato;

che la scarcerazione di autori di gravissimi delitti, e per pene della stessa durata, può essere difatti disposta anche dal giudice monocratico, ad esempio per effetto del combinato disposto degli artt. 146 cod. pen. e 684 cod. proc. pen.;

che, in tali casi, viene dunque consentita al giudice monocratico l’adozione in via urgente di un provvedimento di liberazione pura e semplice del condannato, mentre gli è irragionevolmente preclusa l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare;

che è intervenuto nel giudizio di costituzionalità il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale ha eccepito, in via preliminare, l’inammissibilità della questione per difetto di rilevanza;

che, al riguardo, la difesa erariale osserva come, alla luce della giurisprudenza di legittimità, la disposizione del comma 1-ter dell’art. 47-ter della legge n. 354 del 1975 – in forza della quale, quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen., il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite di cui al comma 1 dello stesso art. 47-ter, può applicare la detenzione domiciliare – opera esclusivamente ove ricorrano i presupposti per il rinvio dell’esecuzione stabiliti dal codice penale: donde l’irrilevanza della questione nel caso concreto, in cui si discute di un condannato che versa bensì nelle condizioni di salute previste dall’art. 147, primo comma, numero 2, cod. pen. ai fini del rinvio facoltativo; ma che non può comunque beneficiare di quest’ultimo in virtù dell’ultimo comma dello stesso articolo, in quanto socialmente pericoloso;

che, nel merito, ad avviso dell’Avvocatura dello Stato, la questione sarebbe comunque infondata: la scelta di limitare la facoltà di concedere provvisoriamente la detenzione domiciliare ai casi descritti dai commi 1 e 1-bis dell’art. 47-ter dell’ordinamento penitenziario – escludendola per la diversa ipotesi cui al comma 1-ter – rientrerebbe nella discrezionalità del legislatore, dato che l’ipotesi esclusa non concreterebbe un vero e proprio caso di espiazione della pena nella forma della detenzione domiciliare, ma una particolare modalità di differimento dell’esecuzione della pena (differimento con detenzione domiciliare).

Considerato che il giudice rimettente dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 Cost., dell’art. 47-ter, comma 1-quater, della legge n. 354 del 1975, nella parte in cui non consente al magistrato di sorveglianza di applicare in via provvisoria la misura della detenzione domiciliare – oltre che nei casi indicati dai commi 1 e 1-bis – anche in quello contemplato dal comma 1-ter dello stesso art. 47-ter, vale a dire quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen.: ipotesi nella quale la predetta misura può essere adottata dal tribunale di sorveglianza anche se la pena che il condannato deve espiare supera il limite previsto dal citato comma 1 dell’art. 47-ter (quattro anni di reclusione, anche come residuo di maggior pena);

che l’eccezione di inammissibilità della questione per difetto di rilevanza, sollevata dall’Avvocatura dello Stato, non è fondata;

che appare infatti condivisibile l’assunto del giudice a quo, stando al quale il requisito cui il quarto comma dell’art. 147 cod. pen. subordina il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena (ipotesi che viene in considerazione nella specie) – ossia l’insussistenza del «concreto pericolo della commissione di delitti» – va valutato con riferimento al regime della cui applicazione si discute;

che, in tale ottica, la circostanza che la pericolosità del condannato risulti – per affermazione dello stesso giudice rimettente – incompatibile, nel caso concreto, con la liberazione pura e semplice, non esclude che possa essere comunque disposta la misura della detenzione domiciliare ex art. 47-ter, comma 1-ter, della legge n. 354 del 1975, ove tale misura – per i suoi contenuti, i controlli che ad essa accedono ed il regime sanzionatorio che presidia l’inosservanza delle relative prescrizioni – appaia viceversa idonea ad arginare l’anzidetta pericolosità: in tal caso, difatti, rispetto all’applicazione della detenzione domiciliare, il «concreto pericolo di commissione di delitti» dovrebbe ritenersi assente;

che, in effetti, l’introduzione – a seguito della novellazione dell’ordinamento penitenziario operata dalla legge n. 165 del 1998 – di una nuova ipotesi di detenzione domiciliare, concepita come alternativa rispetto al differimento dell’esecuzione della pena, si giustifica anche e soprattutto nella prospettiva di creare uno strumento intermedio e più duttile tra il mantenimento della detenzione in carcere e la piena liberazione del condannato (conseguente al rinvio): permettendo così di tener conto della eventuale pericolosità sociale residua di quest’ultimo e della connessa necessità di contemperamento delle istanze di tutela del condannato medesimo con quelle di salvaguardia della sicurezza pubblica;

che, nel merito, peraltro, la scelta di riservare l’applicazione della misura de qua al solo giudice collegiale (il tribunale di sorveglianza, che comprende anche esperti non togati, ai sensi dell’art. 70 della legge n. 354 del 1975), escludendo “anticipazioni” in via urgente da parte del giudice monocratico (magistrato di sorveglianza) – scelta che evidentemente evoca le garanzie di maggior ponderazione assicurate dalla decisione del collegio – rientra nell’ambito dell’ampia discrezionalità spettante al legislatore nella disciplina degli istituti processuali: discrezionalità che – al di là di ogni possibile valutazione di merito, estranea al sindacato di costituzionalità – non può ritenersi esercitata, nel frangente, in modo manifestamente irrazionale ed arbitrario, anche in una cornice di sistema;

che per quanto attiene, in particolare, alla coerenza interna della disciplina della detenzione domiciliare, appare difatti agevole rinvenire la ratio del differente trattamento dell’ipotesi di cui al comma 1-ter dell’art. 47-ter rispetto a quelle di cui ai commi 1 e 1-bis – per le quali l’applicazione provvisoria ad opera del magistrato di sorveglianza è viceversa ammessa – nella circostanza che la prima fattispecie prescinde, a differenza delle seconde, da ogni limite di pena; con conseguente idoneità ad operare anche in rapporto ad autori di reati di estrema gravità (ivi compreso l’ergastolano), che debbano ancora espiare l’intera pena loro inflitta o gran parte di essa;

che sul piano, poi, della coerenza generale del sistema, la circostanza che, in base all’art. 684, comma 2, cod. proc. pen., il magistrato di sorveglianza possa ordinare in via provvisoria il differimento dell’esecuzione della pena o la liberazione del condannato detenuto, allorché abbia fondato motivo di ritenere sussistenti i presupposti di cui agli artt. 146 e 147 cod. pen., non si traduce – contrariamente a quanto mostra di ritenere il giudice a quo – in un elemento di contraddizione, tale da rendere assolutamente ingiustificabile la negazione al giudice monocratico – in presenza dei medesimi presupposti ed a parità di pena da espiare – del potere di applicare provvisoriamente la detenzione domiciliare, che pure può essere considerata un quid minus rispetto alla sottrazione “secca” all’esecuzione della pena;

che, con particolare riferimento all’ipotesi del rinvio facoltativo – l’unica che viene in rilievo nel giudizio a quo (con conseguente inconferenza delle censure del rimettente focalizzate sulla distinta ipotesi del rinvio obbligatorio) – l’assetto normativo censurato riflette, infatti, il diverso grado di pericolosità sociale del condannato;

che mentre, cioè, in situazione di pericolosità sociale assente – tale, dunque, da permettere la liberazione pura e semplice del condannato, alla luce dell’art. 147, quarto comma, cod. pen. – il legislatore ha consentito l’intervento, in via provvisoria, del giudice monocratico; in presenza, invece, di un residuo margine di pericolosità sociale – preclusivo di detta liberazione – il legislatore ha inteso riservare in via esclusiva la concessione della detenzione domiciliare al giudice collegiale;

che, in sostanza, dunque, sono due gli indici che, cementandosi tra loro, giustificano – rendendola non palesemente irrazionale – la riserva al collegio di ogni decisione, nell’ipotesi de qua: ossia il livello della pena e la residua pericolosità sociale del condannato;

che quanto, poi, agli ulteriori parametri della rieducazione del condannato, del divieto di pene contrarie al senso di umanità (art. 27 Cost.) e del diritto alla salute (art. 32 Cost.), deve ribadirsi che, nella specie, si discute di ipotesi di rinvio facoltativo della esecuzione della pena, che presuppongono condizioni di salute del condannato non a tal segno inconciliabili con la detenzione carceraria da escludere – com’è, invece, per le ipotesi di rinvio obbligatorio – ogni possibile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della collettività: tanto è vero che – alla stregua di una previsione la cui legittimità costituzionale non è posta in discussione dal giudice a quo – ove la pericolosità sociale del condannato risultasse incompatibile, non solo con la liberazione pura e semplice, ma anche con la detenzione domiciliare, l’esecuzione della pena nelle forme ordinarie dovrebbe comunque essere attuata o proseguita;

che, per completezza, va aggiunto che alle esigenze più urgenti del condannato nel limitato periodo “interinale” rispetto alla decisione del tribunale di sorveglianza potrebbe eventualmente sopperirsi, nei congrui casi, tramite lo strumento generale del ricovero in ospedali civili o in altri luoghi esterni di cura, previsto dall’art. 11, secondo comma, della legge n. 354 del 1975: provvedimento per il quale è competente il magistrato di sorveglianza;

che la questione deve essere dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-quater, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), introdotto dall’art. 4 della legge 27 maggio 1998, n. 165 (Modifiche all’articolo 656 del codice di procedura penale ed alla legge 26 luglio 1975, n. 354), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 27 e 32 della Costituzione, dal Magistrato di sorveglianza di Alessandria con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria l'1  luglio 2005.