ORDINANZA N. 252
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Piero Alberto CAPOTOSTI Presidente
- Fernanda CONTRI Giudice
- Guido NEPPI MODONA "
- Annibale MARINI "
- Franco BILE "
- Giovanni Maria FLICK "
- Francesco AMIRANTE "
- Ugo DE SIERVO "
- Romano VACCARELLA "
- Paolo MADDALENA "
- Alfio FINOCCHIARO "
- Alfonso QUARANTA "
- Franco GALLO "
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 300, secondo comma, e 305 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza del 26 gennaio 2004 dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto nel procedimento civile vertente tra Paratore Irene Carmela ed altro e la SIAD spa (ora Aurora Assicurazione spa) ed altri, iscritta al n. 627 del registro ordinanze 2004 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2004.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 20 aprile 2005 il Giudice relatore Fernanda Contri.
Ritenuto che il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con ordinanza emessa il 26 gennaio 2004, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 300, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui non prevede che il processo è interrotto dal momento della decisione del giudice circa l’esistenza o l’idoneità dell’evento dichiarato, nei casi in cui sorga contestazione al riguardo, anziché - nei medesimi casi - da quello della dichiarazione del procuratore; e dell’art. 305 del medesimo codice, nella parte in cui non prevede che il termine per la riassunzione decorre dalla comunicazione del provvedimento del giudice anziché dalla dichiarazione dell’evento in udienza;
che il giudice rimettente precisa di aver già sollevato nello stesso giudizio la medesima questione di legittimità costituzionale, dichiarata manifestamente inammissibile per difetto di un’autonoma motivazione con ordinanza n. 118 del 2003, e ritiene di poterla riproporre, previa integrazione della motivazione ritenuta carente, non essendovi preclusioni derivanti dalla citata pronuncia;
che, a tal fine, il rimettente espone di essersi riservato di decidere con separata ordinanza in ordine alla interruzione del processo, a seguito della dichiarazione in udienza dell’evento interruttivo e del contrasto insorto tra le parti in ordine alla sua efficacia interruttiva, e che, a causa di un disguido della cancelleria, il provvedimento di interruzione era stato emesso con grande ritardo e comunicato alle parti quando il termine di riassunzione era già ampiamente scaduto, il che aveva consentito ai convenuti di eccepire l’estinzione del processo riassunto dagli attori oltre il termine di sei mesi dalla dichiarazione dell’evento;
che il giudice a quo richiama il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, in forza del quale solo l’evento e la dichiarazione di esso in udienza ad opera del procuratore della parte colpita devono ritenersi elementi costitutivi della fattispecie interruttiva, mentre il provvedimento del giudice assume mero valore dichiarativo di un effetto già verificatosi;
che tale orientamento, ad avviso del rimettente, si porrebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, poiché disciplinerebbe allo stesso modo fattispecie differenti, quali sono quella del procuratore che dichiari in udienza un evento pacificamente esistente e idoneo a determinare l’interruzione e quella in cui risulti controversa la stessa esistenza dell’evento o la sua idoneità a provocare l’interruzione; ed inoltre perché sarebbe stabilita la medesima decorrenza del termine per la riassunzione del processo, nonostante la diversità delle ipotesi che si verificano quando la pronuncia della interruzione avvenga con ordinanza riservata ovvero sia effettuata nella stessa udienza in cui il procuratore abbia reso la dichiarazione dell’evento;
che sussisterebbe anche una lesione del diritto di difesa delle altre parti del processo, costrette a subire una interruzione pur se vi siano dubbi sulla idoneità dell’evento dichiarato a produrre tale effetto, e della stessa parte interessata, la quale, in assenza della decisione del giudice, dovrebbe riassumere il processo, con il rischio del compimento di un’attività inutilmente onerosa qualora l’interruzione non sia dichiarata, ovvero dovrebbe attendere la comunicazione della decisione e, una volta dichiarata l’interruzione, si vedrebbe privata dell’intero termine semestrale o di parte di esso;
che il rimettente, in considerazione della prevalenza di tale orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione, esclude di poter aderire ad una diversa opzione interpretativa;
che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;
che la difesa erariale sottolinea in primo luogo come, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale della Corte di cassazione, l’interruzione del processo non dipenda dal provvedimento del giudice ma si verifichi per il solo fatto che la causa interruttiva sia stata dichiarata in udienza dal procuratore della parte e con decorrenza dal momento della dichiarazione;
che la espressa previsione legislativa delle cause di interruzione e delle modalità con cui esse possono essere fatte valere escluderebbe, secondo l’Avvocatura, la sussistenza delle prospettate lesioni del principio di eguaglianza e del diritto di difesa, poiché, non spiegando rilievo il provvedimento del giudice - di natura meramente dichiarativa - bensì la legale conoscenza dell’evento interruttivo, tutte le parti del processo riceverebbero lo stesso trattamento, essendo in grado di valutare, ai fini della condotta processuale da tenere, l’idoneità dell’evento dichiarato a determinare l’interruzione.
Considerato che il dubbio di legittimità costituzionale degli artt. 300, secondo comma, e 305 del codice di procedura civile è prospettato dal rimettente in relazione all’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della interruzione del processo, assume rilievo esclusivamente la dichiarazione in udienza dell’evento ad opera del procuratore della parte, indipendentemente dal provvedimento del giudice;
che tuttavia nella giurisprudenza di legittimità, sia anteriore sia successiva all’ordinanza di rimessione, si rilevano anche pronunce che si discostano dall’indicato orientamento e che, ai fini della decorrenza del termine per la riassunzione del processo, conferiscono rilievo al momento della comunicazione alle parti dell’ordinanza del giudice che abbia dichiarato l’interruzione, quando non ne sia stata data lettura in udienza, anziché al momento della dichiarazione in udienza dell’evento interruttivo;
che quindi il rimettente, avendo solo la facoltà, non già l’obbligo, di uniformarsi al prevalente orientamento giurisprudenziale, ben poteva interpretare la norma nel senso da lui ritenuto conforme a Costituzione (sentenze n. 91 del 2004 e n. 233 del 2003);
che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.
Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 300, secondo comma, e 305 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto con l’ordinanza in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2005.
F.to:
Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente
Fernanda CONTRI, Redattore
Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 1° luglio 2005.