ORDINANZA N. 116
ANNO 2005
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Fernanda CONTRI Presidente
- Guido NEPPI MODONA Giudice
- Piero Alberto CAPOTOSTI “
- Annibale MARINI “
- Franco BILE “
- Giovanni Maria FLICK “
- Francesco AMIRANTE “
- Ugo DE SIERVO “
- Romano VACCARELLA “
- Paolo MADDALENA “
- Alfio FINOCCHIARO “
- Alfonso QUARANTA “
- Franco GALLO “
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di ammissibilità del conflitto tra poteri dello Stato sorto a seguito delle disposizioni di cui all’articolo 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004) e all’articolo 2, comma 3, del decreto-legge 16 marzo 2004, n. 66 (Interventi urgenti per i pubblici dipendenti sospesi o dimessisi dall’impiego a causa di procedimento penale, successivamente conclusosi con proscioglimento), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 11 maggio 2004, n. 126, promosso dal Consiglio superiore della magistratura, con ricorso depositato il 14 dicembre 2004 ed iscritto al n. 279 del registro ammissibilità conflitti.
Udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 2005 il Giudice relatore Ugo De Siervo.
Ritenuto che il Consiglio superiore della magistratura ha promosso ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica e “ove occorra” del Governo, in relazione alle disposizioni di cui all’art. 3, comma 57, della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004), quale modificato dall’art. 1 del decreto-legge 16 marzo 2004, n. 66 (Interventi urgenti per i pubblici dipendenti sospesi o dimessisi dall’impiego a causa di procedimento penale, successivamente conclusosi con proscioglimento), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 11 maggio 2004, n. 126, e dell’art. 2, comma 3, del medesimo decreto-legge n. 66 del 2004, convertito in legge n. 126 del 2004;
che, secondo quanto riferisce il ricorrente, il Governo sarebbe intervenuto in via d’urgenza sulla disciplina introdotta dall’art. 3, comma 57, della legge n. 350 del 2003, la quale aveva introdotto una peculiare tutela risarcitoria in forma specifica per quei pubblici dipendenti che «abbiano subito un’ingiusta sospensione o che siano stati indotti ad abbandonare il pubblico impiego in ragione di un procedimento penale» successivamente conclusosi con la loro assoluzione;
che, mentre la citata disposizione, nella formulazione originaria, demandava la sua attuazione ad un regolamento, il Governo avrebbe ritenuto di provvedere mediante il decreto-legge n. 66 del 2004;
che la disciplina risultante dai due atti normativi richiamati individuerebbe tra i destinatari dell’intervento il pubblico dipendente che, essendo stato sospeso dal servizio o dalla funzione e comunque dall’impiego, o avendo chiesto di essere collocato anticipatamente in quiescenza a seguito di un procedimento penale, sia stato successivamente prosciolto;
che risulterebbe, inoltre, una netta diversificazione a seconda che il provvedimento di proscioglimento sia stato adottato con forma assolutoria piena, ovvero con formule assolutorie diverse, poiché nel primo caso il dipendente vanterebbe un vero e proprio diritto soggettivo perfetto al ripristino o prolungamento del rapporto d’impiego dinanzi al quale all’amministrazione non residuerebbe spazio alcuno per valutazioni discrezionali (art. 3, comma 57, della legge n. 350 del 2003), mentre nel secondo caso sulla domanda dell’interessato l’amministrazione avrebbe la facoltà di disporre il reintegro, previo accertamento negativo dei profili di responsabilità disciplinare (art. 3, comma 57-bis, della legge n. 350 del 2003);
che l’applicabilità di questa disciplina ai magistrati ordinari apparirebbe obbligatoria;
che il Consiglio superiore della magistratura lamenta anzitutto la lesione delle proprie prerogative di cui all’art. 10 della legge 24 marzo 1958, n. 195 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura), in quanto il Governo, intervenendo con un decreto-legge su norme concernenti l’ordinamento giudiziario, avrebbe impedito che, a causa della ristrettezza dei termini per l’emanazione e la conversione del decreto-legge, venisse chiesto il parere del CSM, reso necessario dal principio di leale collaborazione tra i poteri dello Stato;
che il Consiglio risulterebbe esautorato delle sue funzioni più tipiche dall’introduzione di un automatico meccanismo di reintegrazione o di prolungamento del rapporto di lavoro dei magistrati, come si verificherebbe nell’ipotesi di istanza presentata a seguito di proscioglimento con formula piena, dal momento che il C.S.M. dovrebbe «totalmente prescindere dalla valutazione circa la rilevanza disciplinare dei fatti che hanno formato oggetto di procedimento penale, ai fini dell’accertamento, in termini di attualità, della idoneità e delle attitudini del richiedente ad esercitare nuovamente le funzioni»;
che, per quanto concerne le modalità del ripristino del rapporto di impiego, ulteriore lesione delle competenze attribuite al CSM si riscontrerebbe nell’art. 2, comma 3, del decreto-legge n. 66 del 2004, così come convertito dalla legge n. 126 del 2004, là dove si stabilisce che al magistrato riammesso in servizio venga conferita, in caso di anzianità non inferiore a dodici anni nell’ultima funzione esercitata, una funzione di livello immediatamente superiore anche in soprannumero, previa valutazione della sola anzianità di ruolo e delle attitudini desunte dalle ultime funzioni esercitate e, nel caso di anzianità inferiore, una funzione, anche in soprannumero, dello stesso livello;
che, nel caso di domanda dell’interessato di conferimento di funzioni di livello superiore, rimarrebbe al CSM la sola possibilità di assumere il provvedimento, valutando unicamente l’anzianità di ruolo del magistrato al momento della cessazione dal servizio, rimanendo ad esso sottratta la valutazione discrezionale in ordine alla «idoneità specifica, in concreto, del magistrato a rivestire quelle determinate funzioni in relazione al posto richiesto»;
che, sempre secondo quanto riferisce il ricorrente, sulla base di tale disciplina, alcuni magistrati, collocati anticipatamente in quiescenza a seguito di procedimenti penali dai quali sono poi risultati assolti con formula piena, avrebbero presentato istanza di riammissione nell’ordine giudiziario;
che, pertanto, l’Assemblea plenaria del Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 3 novembre 2004, ritenendo la disciplina lesiva della sfera di attribuzioni garantita dall’art. 105 della Costituzione, ha ritenuto di sollevare conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dinanzi a questa Corte;
che il ricorrente, in relazione all’ammissibilità del conflitto di attribuzione determinato da atti legislativi, richiama la giurisprudenza di questa Corte ed in particolare la sentenza n. 457 del 1999, secondo la quale qualora l’atto lesivo delle attribuzioni costituzionali sia un atto legislativo, lo strumento del conflitto sarebbe utilizzabile in via residuale rispetto alla questione di legittimità costituzionale in via incidentale;
che, a quanto si osserva nel ricorso, nel caso in questione non vi sarebbe «altro rimedio che l’elevazione del conflitto tra poteri per tutelare le attribuzioni», dal momento che il Consiglio non potrebbe dare attuazione parziale al disposto normativo provvedendo sulla domanda di riammissione ai fini della ricostruzione del solo rapporto di servizio senza procedere anche all’assegnazione delle funzioni giudiziarie, «attesa l’inscindibilità del rapporto funzionale dal rapporto di servizio»;
che l’alternativa possibile alla difesa immediata delle proprie attribuzioni attraverso il conflitto consisterebbe – secondo il ricorrente – nel negare ai magistrati istanti il diritto che la legge ha voluto assicurare, attendendo eventuali ricorsi in sede amministrativa allo scopo di sollevare in via di eccezione la relativa questione di legittimità costituzionale;
che tale soluzione, tuttavia, sarebbe preclusa dal divieto, per l’amministrazione, di disapplicare leggi della cui costituzionalità si dubita;
che – anche a voler ritenere superabile l’obiezione appena citata – in tal modo la tutela delle attribuzioni costituzionali del CSM dipenderebbe dall’eventuale impugnativa dei provvedimenti contra legem da parte degli interessati e dalla valutazione del giudice adito;
che il ricorrente ha concluso chiedendo che questa Corte dichiari: a) che non spetta alle Camere, in violazione dell’art. 105 Cost. e del principio di leale collaborazione, convertire il decreto legge n. 66 del 2004, posto in essere, a sua volta, in violazione dell’art. 77 Cost., senza aver previamente assunto il parere del CSM, ai sensi dell’art. 10 della legge n. 195 del 1958; b) che non spetta al Parlamento (né al Governo in sede di adozione del decreto-legge n. 66 del 2004) stabilire, in violazione dell’art. 105 Cost., che la riammissione in servizio dei magistrati ordinari prosciolti avvenga senza che il CSM possa valutare la rilevanza disciplinare dei fatti che hanno formato oggetto di procedimento penale e che l’attribuzione ad essi delle funzioni avvenga senza che il CSM possa valutare l’idoneità specifica, in concreto, del magistrato a rivestirle in relazione al posto richiesto; che, invece, spetta al CSM, in base all’art. 105 Cost. e al principio costituzionale di leale collaborazione, fornire al Governo e al Parlamento il proprio parere in ordine ai progetti di legge in materia di ordinamento giudiziario.
Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, questa Corte è chiamata a delibare, senza contraddittorio tra le parti, esclusivamente se il ricorso sia ammissibile, valutando se sussistano i requisiti soggettivo ed oggettivo di un conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, rimanendo tuttavia impregiudicata ogni ulteriore determinazione anche in ordine alla stessa ammissibilità;
che, in relazione alla sussistenza dei requisiti soggettivi, in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, deve essere riconosciuta la legittimazione del Consiglio superiore della magistratura a sollevare conflitto di attribuzione, in quanto organo direttamente investito delle funzioni previste dall’art. 105 della Costituzione;
che, ancora dal punto di vista soggettivo, nessun dubbio può sussistere sulla legittimazione del Governo nel suo complesso e delle due Camere a resistere al conflitto;
che, con riferimento ai presupposti oggettivi, il ricorso è indirizzato alla garanzia della sfera di attribuzioni determinata da norme costituzionali, in quanto la lesione lamentata concerne competenze del Consiglio superiore della magistratura riconducibili all’art. 105 della Costituzione e che, dunque, sussiste la materia di un conflitto;
che, circa l’idoneità di atti aventi natura legislativa, quali quelli in questione, a determinare conflitto, non possono escludersi sulla base di questa preliminare valutazione le condizioni per riconoscerla;
che, comunque, solo in seguito alla piena esplicazione del contraddittorio sul punto potrà adottarsi una decisione definitiva;
che, conseguentemente, il ricorso – salva e impregiudicata la facoltà delle parti di proporre, nell’ulteriore corso del giudizio, istanze ed eccezioni su tutti i punti esaminati in questa sede di valutazione preliminare – deve essere dichiarato ammissibile.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, nei confronti del Governo della Repubblica, della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, il conflitto di attribuzione proposto dal Consiglio superiore della magistratura con il ricorso indicato in epigrafe;
dispone:
a) che la cancelleria di questa Corte dia immediata comunicazione della presente ordinanza al ricorrente Consiglio superiore della magistratura;
b) che, a cura del ricorrente, il ricorso e la presente ordinanza siano notificati al Governo della Repubblica, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri, alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica, in persona dei rispettivi Presidenti pro tempore, entro il termine di novanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati presso la cancelleria di questa Corte entro il termine di venti giorni fissato dall’art. 26, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 marzo 2005.
Fernanda CONTRI, Presidente
Ugo DE SIERVO, Redattore
Depositata in Cancelleria il 18 marzo 2005.